La Corte suprema ha suggerito al governo di diminuire ogni anno i sussidi destinati ai voli Air India per i pellegrini musulmani diretti alla Mecca. Tutti d’accordo con qualche accusa di favoritismo per la minoranza islamica nazionale. Ma in realtà i sussidi hanno aiutato solo Air India.
Basta sussidi per il pellegrinaggio alla Mecca, ma tra dieci anni.
Lo scorso 8 maggio la Corte suprema indiana, rispondendo ad un’istanza legale, si è rivolta al governo centrale di Delhi, “consigliando” di ridurre progressivamente i sussidi che ogni anno la Federazione indiana versa per aiutare i fedeli musulmani a intraprendere l’Haj, il pellegrinaggio canonico alla Mecca, uno dei cinque pilastri dell’Islam.
La dichiarazione di Aftab Alam e Ranjana Prakash Desai – i due giudici che presiedevano la Corte, il primo musulmano – ha aperto una mini polemica interna su più fronti e ci ha dato l’occasione di scoprire un nuovo lato curioso dell’amministrazione della cosa pubblica indiana quando ha a che fare con le minoranze religiose interne. E non solo.
L’Haj è uno dei cinque pilastri dell’Islam: secondo il Corano, almeno una volta nella vita, ogni buon musulmano che sia in grado fisicamente ed economicamente di sostenere il viaggio è tenuto a visitare in pellegrinaggio la moschea al-Haram, alla Mecca, il luogo più sacro dell’Islam.
Fino al 1973 i fedeli musulmani indiani ogni anno – la data varia in base al calendario musulmano, che è lunare – si sono recati in Arabia Saudita in nave. La decisione del governo indiano di chiudere i collegamenti navali, in favore degli spostamenti aerei, obbligò quindi i fedeli a rivolgersi alle compagnie aeree, con prezzi decisamente più onerosi.
Indira Gandhi, all’epoca alla guida dell’esecutivo, decise che la differenza tra il biglietto in nave e quello aereo per Gedda – l’aeroporto più vicino alla Mecca – ce la metteva Delhi, a patto che i fedeli volassero con la compagnia di bandiera Air India.
L’usanza è rimasta intatta per quasi quarant’anni. A cambiare, in modo esponenziale, sono stati il numero dei pellegrini e il prezzo del biglietto.
Oggi in India il 14 per cento della popolazione è musulmano – fanno 174 milioni di persone, più o meno – e ciò fa dell’India il terzo paese musulmano al mondo dopo Indonesia e Bangladesh.
Nel 2011, secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Aviazione civile indiano, Delhi ha speso 605 crore (87 milioni di euro), tasse escluse, in sussidi per l’Haj di più di 125mila musulmani indiani.
Gli aiuti vengono applicati solo sulla tariffa aerea di Air India. In molti hanno notato come i prezzi si gonfino enormemente proprio in periodo Haj: Tehelka indica che un normale volo andata e ritorno per l’Arabia Saudita costa 25mila rupie (360 euro), ma in alta stagione di pellegrinaggio il biglietto Air India si gonfia fino a più del doppio del prezzo standard, col governo dell’Unione che interviene pagando 38mila rupie (550 euro) per ogni pellegrino.
Alla fine, il fedele che si reca alla Mecca compra un pacchetto tutto compreso preparato dall’Haj Committee of India – il comitato ufficiale incaricato di organizzare ogni anno il pellegrinaggio dall’India – dove alla voce biglietto aereo deve sborsare solamente 12mila rupie (173 euro). Il resto del volo lo offre Delhi.
Per accedere agli aiuti economici delle casse dello stato occorre soddisfare due criteri: deve essere il primo pellegrinaggio alla Mecca e bisogna avere più di sessant’anni.
L’Haj Committee of India è incaricato dal governo di raccogliere le domande di sussidio, che saranno poi vagliate dall’esecutivo. Nel 2011 ne sono arrivate più di 300mila.
La proposta di ridurre di anno in anno l’ammontare dei sussidi fino ad eliminarli definitivamente nel 2022 ha trovato d’accordo gran parte della politica indiana.
Il partito nazionalista hindu Bharatiya Janata Party (Bjp) sostiene che va bene levare i sussidi, ma il governo dovrebbe comunque aiutare i pellegrini in altri modi meno dispendiosi. Più netti invece i comunisti, che hanno colto l’occasione per attaccare ogni genere di sussidio, mentre il Ministero della Giustizia di Delhi ha fatto sapere di aver iniziato la discussione per un eventuale ritiro degli aiuti.
L’organizzazione ultranazionalista paramilitare Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) ha accolto le parole della Corte suprema con entusiasmo, criticando la decisione iniziale di fornire aiuti economici ad una minoranza religiosa “in un paese che dice di trattare tutte le religioni allo stesso modo”.
Dalla comunità musulmana sono arrivate reazioni discordanti: si varia da posizioni radicali che descrivono i sussidi come un “diritto” della popolazione musulmana, ad altre che considerano la “paghetta” di Delhi un insulto all’Islam, visto che il versetto 97 della terza sura del Corano spiega molto chiaramente che l’Haj lo può fare solo chi abbia risorse economiche appropriate.
Prendere dei soldi da Delhi, seguendo alla lettera il libro sacro dell’Islam, vuol dire barare.
Paradosso dentro al paradosso, la Corte suprema indiana aveva giustificato la sua proposta di ridurre i sussidi, e magari destinare i soldi a programmi educativi rivolti alla comunità musulmana, proprio citando i passi del Corano. Un mix di istituzioni statali e testi sacri che non è andato giù a molti difensori della laicità dello Stato – e anche a qualche hindu in malafede.
L’unica cosa certa, e che mette d’accordo proprio tutti, è che in questi quarant’anni Air India ha sostanzialmente monopolizzato i trasporti dei pellegrini musulmani indiani, assicurandosi ogni anno decine e decine di migliaia di biglietti venduti a prezzi spropositati.
Il che dovrebbe tranquillizzare gli estremisti hindu: Delhi non stava aiutando i pellegrini musulmani, ma la sua compagnia di bandiera che – incidentalmente – è di proprietà del governo.
Si erano spiegati male. Trattasi di autosussidio.