La cittadina di Raigarh (Chhattisgarh, 150mila abitanti, in India davvero -ina) dal 4 gennaio ha una nuova sindachessa transgender: Madhu Bal Kinnar, 36 anni, nata uomo, presentatasi come candidata indipendente. È la prima volta che succede in India, non che non ci avessero già provato… La notizia ha fatto il giro del mondo per l’evidente coefficiente "strano ma vero", fermandosi comprensibilmente alla meraviglia di un paese in grado di eleggere un sindaco transgender. Ma qui in India l’analisi della storia – nel senso di evento Storico – fa emergere altri spunti molto interessanti per inquadrare lo stato delle cose nel subcontinente.
Madhu, come tutti i transgender (hijra, in hindi), era stata ripudiata dalla famiglia dopo diversi tentativi "correttivi". Pur sentendosi donna già fin da piccolo, l’allora Naresh Chauhan era stato costretto a sposarsi, diventando padre di tre bambini.
Poi, racconta Indian Express, la svolta: lascia tutto, cambia nome e sesso, inizia a vivere da hijra, la comunità dei transgender indiani che – marginalizzati dalla società indiana – crea sistemi di mutuo soccorso, legami comunitari paralleli che spesso riprendono la struttura delle sette religiose. Gli hijra più anziani diventano guru, saggi, insegnano alle più giovani come sopravvivere: elemosina nei treni – setacciati palmo a palmo tutte agghindate, battendo le mani per attirare l’attenzione dei viaggiatori -, spettacoli di danza in strada, prostituzione, danzatrici alle feste di matrimonio o "battesimo", forti della credenza che un hijra (una donna nel corpo di un uomo) abbia il potere di lanciare maledizioni. Averla alla propria festa e omaggiarla con laute ricompense è un’assicurazione contro la jella.
Nel mese di dicembre Madhu, dietro indicazione del proprio guru, decide di correre per le elezioni locali da indipendente, sfidando i candidati dei partiti panindiani di Indian National Congress e Bharatiya Janata Party (che cercava la rielezione). Contro ogni aspettativa e spendendo solo 60mila rupie (meno di mille euro) per la campagna elettorale – condotta porta a porta con le proprie sorelle – vince con uno scarto di oltre 4000 voti dal secondo (del Bjp).
Madhu, che è anche dalit, diventa la prima sindachessa transgender dell’India per un mix di coincidenze ottimali: è riuscita a infilarsi nel vuoto rappresentativo che i grandi partiti indiani scontano nei piccoli centri, dove le alchimie elettorali sono gestite a livello clientelare e corporativo, slegate da fenomeni nazionali come la Modi Wave, ad esempio; è risultata una candidata credibile che, promette, farà gli interessi prima di tutto dei dalit e degli hijra ("basta elemosina in treno, darò lavori nel settore municipale a tutti gli hijra"), con un occhio di riguardo all’approvvigionamento dell’acqua e alla ristrutturazione della rete idrica (problemi basilari, ben lontani dalle gesta dello "sviluppo" preannunciate a livello nazionale da Narendra Modi); infine, fattore determinante, si candida dopo che nel mese di aprile la Corte suprema ha riconosciuto pieni diritti civili ai transgender.
Una precondizione che ha scongiurato il rischio di annullamento delle elezioni, come invece capitò per ben due volte nello stato del Madhya Pradesh. Pur vincendo alle urne, nel 1999 e nel 2009 l’elezione di due sindache trans furono invalidate poiché quei posti erano riservati a donne, non a transessuali.
[Scritto per East online; foto credit: indianexpress.com]