Da tre giorni la periferia nordest di New Delhi è teatro di scorribande organizzate da gruppi ultrahindu locali, scesi in strada in forze per colpire la comunità musulmana della capitale indiana. Sabato scorso alcune centinaia di persone, in maggioranza donne, avevano iniziato un sit-in di protesta nei quartieri a maggioranza musulmana di Jaffrabad e Chand Bagh, replicando le modalità di resistenza messe in campo da più di due mesi a Shaheen Bagh, Delhi Sud.
Identiche anche le istanze: i manifestanti avevano deciso di bloccare una delle arterie principali della zona per protestare contro il Citizen Amendment Act (Caa) e la promessa di implementazione del National Register of Citizens (Nrc), due misure care all’esecutivo della destra hindu guidato da Narendra Modi ed entrambe giudicate «anti-musulmani».
IL GIORNO SEGUENTE, un esponente locale del Bharatiya Janata Party (Bjp, il partito di Modi) improvvisava un comizio a Jaffrabad, minacciando «caos» se la polizia non avesse sgomberato il sit-in di protesta entro tre giorni. Col calare della sera, la folla ultrahindu ha iniziato a mettere a ferro e fuoco i quartieri. Armati di bastoni, spranghe di ferro e pistole artigianali, per tutta la notte hanno devastato strade e negozi, malmenando chiunque sembrasse musulmano.
Numerosi video della mattanza, pubblicati sui social network, mostrano decine di persone in delirio mentre lanciano bombe molotov contro magazzini, esercizi commerciali e case, al grido di «Jai Shri Ram»: «Evviva il dio Ram», divinità diventata simbolo del nazionalismo settario hindu dalla fine degli anni ’80. Lunedì e martedì, stesso copione. I residenti musulmani sotto attacco hanno risposto con sassaiole e colpi di arma da fuoco, alimentando una spirale di caos entrata nell’obiettivo dei media nazionali.
Reporter sul campo hanno raccontato di aver subìto pestaggi e minacce da parte della folla ultrahindu. Ad alcuni è stato intimato di consegnare gli smartphone per cancellare le registrazioni; ad altri è stato chiesto di provare la loro religione, abbassandosi i pantaloni per dimostrare di non essere circoncisi e, quindi, evitarsi il pestaggio. La stampa indipendente indiana ha diffuso una serie di video esemplari del clima di odio anti-musulmano incentivato da esponenti della maggioranza hindu al governo.
IN UN VIDEO GIRATO nel pomeriggio di martedì si vedono alcuni uomini sul tetto di una moschea nella località di Ashok Nagar, quartiere a maggioranza hindu di Delhi Nordest. La moschea è data alle fiamme e mentre una folla, fuori inquadratura, urla «Jai Shri Ram» e «Hindukon ka Hindustan» («India agli Hindu»), un ragazzo si arrampica sul minareto e issa una bandiera raffigurante Hanuman, dio dalle fattezze di scimmia del pantheon hindu. In un altro video, un gruppo di hindu carica verso i musulmani mentre un poliziotto li incita a tirare sassi contro la fazione opposta.
Numerosi osservatori hanno accusato la polizia di New Delhi di aver sostanzialmente lasciato campo libero ai violenti ultrahindu, talvolta partecipando ai disordini, intervenendo solamente in seguito per «riportare la calma». Mentre scriviamo, il bilancio delle vittime indica 13 morti – tra cui un poliziotto – e più di cento feriti, molti da arma da fuoco.
NELLA NOTTE di martedì la polizia ha sgomberato il sit-in di Jaffrabad e ha ricevuto ordini di sparare a vista in alcune zone della periferia nordest della capitale, dove vige il divieto di assembramento di tre o più persone. L’esplosione di violenza dell’ultimo weekend a Delhi impone riflessioni impietose sullo stato della democrazia indiana, a fronte di una cronologia dei fatti francamente inquietante.
Un esponente del partito di governo minaccia violenze; centinaia di persone, sostenitori del Bjp, mettono a ferro e fuoco interi quartieri; la polizia – che a New Delhi è sotto il controllo diretto del ministero degli interni federale, guidato da Amit Shah, braccio destro di Modi – sembra lasciar correre e addirittura partecipare ai pogrom; in 48 ore nessun membro del governo centrale rilascia alcuna dichiarazione in merito.
Il tutto mentre è in corso la visita ufficiale nel Paese del presidente statunitense Donald Trump, per due giorni al centro di un’operazione di propaganda mediatica senza precedenti nella storia recente dell’India, compreso un comizio agiografico tenuto nello stadio del cricket più grande del mondo nel Gujarat. Specchietto per le allodole di cui non parleremo, annotando solo la firma di un contratto di vendita di armamenti dagli Usa all’India per un valore di tre miliardi di dollari.
[Pubblicato su il manifesto]