Nella notte di giovedì 24 novembre il cadavere di Kishanji è stato ritrovato nella foresta del Bengala Occidentale del sud, a fianco al suo fidato AK47. Nemico pubblico per lo Stato, amato da contadini e minoranze tribali, la morte del leader simbolo della lotta naxalita è un colpo letale inferto al terrorismo maoista
La morte del comandante della guerriglia maoista Kishanji potrebbe essere un colpo letale inferto al gruppo militare antagonista dei naxaliti, in guerra aperta contro le istituzioni indiane da oltre cinquant’anni e descritte dal premier Manmohan Singh come “una delle principali minacce alla sicurezza del Paese”.
Dalla notte di giovedì 24 novembre la notizia è rimbalzata su tutti i media nazionali e locali: Kishanji è stato ucciso dalle forze speciali in un violento scontro a fuoco nella giungla del distretto di Midnapore, Bengala Occidentale del sud, al confine con lo stato del Jharkhand.
Il Ministero degli Interni si è detto “sicuro al 99%” che il cadavere corrisponda all’identikit dell’uomo simbolo della guerriglia naxalita, in attesa che la scientifica fughi ogni dubbio.
La morte del leader, stratega di guerra del gruppo armato di stampo maoista molto amato nelle zone rurali dell’India centro-orientale e che gode delle simpatie di intellettuali del calibro di Mahasweta Devi (scrittrice e attivista indiana), segna un’ulteriore escalation nella tensione tra le forze governative del Bengala Occidentale e i guerriglieri.
Pochi mesi fa Mamata Banerjee, primo ministro del Bengala Occidentale, aveva firmato una tregua coi naxaliti, trattando il progressivo disarmo delle truppe.
Il mese scorso i maoisti hanno infranto i patti, uccidendo alcuni politici locali del Trinamool Party – il partito di Mamata – come rappresaglia.
Senza dubbio le possibilità di un dialogo tra due parti si affievoliscono radicalmente, mentre sull’agguato a Kishanji sembra spuntare l’ombra di un tradimento dall’interno.
“L’inutile e smidollata polizia del Bengala non è in grado di prendermi”.
Una settimana prima di morire, in un’intervista su un canale in lingua telugu, Mallojula Koteshvar Rao – meglio noto col suo nome di battaglia, Kishan – con queste parole aveva lanciato una nuova sfida alle autorità del Bengala Occidentale, da oltre trent’anni all’inseguimento del leader maoista per le foreste e i villaggi dell’India centro-orientale.
Kishanji, come veniva chiamato apponendo il suffisso -ji a titolo onorifico, era diventato il personaggio simbolo della lotta armata naxalita.
Sfrontato ed incurante del suo status di ricercato speciale dalle forze dell’ordine indiane, negli ultimi anni rilasciava spesso interviste su quotidiani mainstream e si concedeva a richiestissime dichiarazioni in diretta tv: rigorosamente di spalle, gamchha (asciugamano a quadretti tipico dell’India) a coprire il capo, AK47 a tracolla.
Un’ostentazione di sicurezza che nel pomeriggio di giovedì 24 novembre gli è costata la vita.
Un migliaio di uomini della polizia regolare del Bengala Occidentale, coordinato dalle squadre speciali CoBRA, erano sulle tracce di Kishanji e Suchitra Mahato – guerrigliera vedova di un ex capo dell’offensiva naxalita, Sashadhar Mahato – già da alcuni giorni.
Secondo le ricostruzioni della stampa nazionale, la polizia ha irrotto nell’abitazione di uno studente universitario simpatizzante maoista a Bakshole, Bengala Occidentale del sud.
Nell’appartamento sono stati ritrovati un pc portatile e delle lettere che le autorità hanno descritto come “scritte da Kishanji”, segno che la pista seguita era corretta.
Nel pomeriggio, l’accerchiamento nella foresta e lo scontro a fuoco di 30 minuti. Il corpo di Kishanji, accanto al suo fucile AK47 e ad un apparecchio acustico – aveva 56 anni – è stato trovato assieme ad altri due cadaveri, probabilmente parte del gruppo di guardie del corpo che lo proteggevano giorno e notte.
Laureato in legge nel 1978, Kishanji era già attivo politicamente nell’area giovanile del Partito comunista indiano (marxista leninista), creando nel 1975 la piattaforma nazionale “All-India Revolutionary Students Forum”.
Nel 1980 da una costola del CPI-ML nasce il People’s War Party, di stampo maoista e radicale, impegnato nella guerriglia a difesa dei diritti delle popolazioni tribali e dei contadini, del quale Kishanji fu giovanissimo segretario dal 1982 al 1985.
Il gruppo ingloberà i terroristi naxaliti (da Naxalbari, il villaggio del Bengala Occidentale da cui presero il nome), dichiarati illegali in India dal 1967, iniziando così un’opera di espansione che dalle campagne del Bengala Occidentale porterà l’influenza dei guerriglieri fino agli stati del Chhattisgarh, Orissa, Andhra Pradesh, Maharashtra, Jharkhand, Uttar Pradesh e Bihar.
Accusati di fare gli interessi della borghesia imprenditoriale bengalese, delle multinazionali e di arricchirsi alle spalle dei contadini, i politici del CPI-ML, gli strati benestanti della società bengalese e le forze dell’ordine entrarono nel mirino del terrorismo naxalita fin dagli inizi degli anni Settanta. I guerriglieri ingaggiarono numerosi scontri a fuoco con la polizia, anche nel centro di Calcutta.
Dopo una battuta di arresto e frammentazione del movimento, negli anni Novanta e Duemila l’offensiva maoista, capitanata proprio da Kishanji, riprende vigore a partire dal Bengala Occidentale, tanto che il premier indiano Manmohan Singh arriverà ad indicare il gruppo di terroristi come “una delle principale minacce alla sicurezza del Paese”.
Nel 2006 la presenza di naxaliti nel territorio indiano è imponente: 15000 guerriglieri attivi, un quinto delle foreste indiane sono sotto il loro controllo e il loro potere si espande su 160 dei 604 distretti nei quali la federazione indiana è suddivisa.
I naxaliti intervengono nei movimenti di protesta di Nandigram nel 2007, al fianco dei contadini in cerca di maggiori compensazioni per le terre espropriate dal governo, e di Lalgarh nel 2008-09, questa volta a difesa dei diritti degli adivasi, le minoranze tribali dello Stato.
Solo nel 2010, i terroristi naxaliti sono stati protagonisti di numerose ed efferate azioni violente: un attacco ad un campo d’addestramento della polizia in Chhattisgarh nel mese di aprile – condotto da un migliaio di guerriglieri – lascia sul campo 76 cadaveri tra i cadetti delle forze dell’ordine, requisendo centinaia di munizioni; a maggio, i terroristi fanno saltare un autobus, sempre in Chhattisgarh, uccidendo 15 poliziotti e 20 civili.
Nell’estate del 2011 i rapporti tra naxaliti e governo del Bengala Occidentale sembrano distendersi.
Mamata Banerjee, primo ministro dello Stato dell’India orientale, tenendo fede al suo programma di governo firma una tregua coi guerriglieri, impegnandosi ad un disarmo reciproco ed a trattative politiche coi rappresentanti del movimento.
Lo stesso Kishanji – che aveva a suo tempo minacciato di morte in diretta tv il predecessore di Mamata, Buddhadeb Bhattacharjee, promotore di politiche industriali ai danni dei contadini locali – aveva accolto con favore l’apertura del dialogo tra le due parti, esponendosi ripetutamente in prima persona a difesa del primo ministro, attaccata nel mese di agosto da avversari politici al governo centrale di Delhi.
La tregua è stata però improvvisamente interrotta proprio dai naxaliti, che agli inizi di novembre hanno ucciso alcuni esponenti del Trinamool Party – partito di governo in Bengala Occidentale – come rappresaglia. Da qui l’intensificarsi dell’offensiva militare governativa, parallela al tentativo di riprendere il filo del dialogo.
Alla notizia della morte del leader maoista, Mamata Banerjee – che, ironia della sorte, stava seguendo Balmiki Pratibha, un’opera teatrale di Tagore su un bandito della foresta redento a uomo di pace – ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione.
Con la morte di Kishanji, che indiscrezioni danno come “venduto” dagli avversari all’interno dei naxaliti alle forze di polizia, il dialogo tra i terroristi e il governo bengalese diventa un’ipotesi quantomeno remota, mentre le autorità hanno già alzato il livello di allarme nello Stato temendo una reazione violenta dei guerriglieri.
Nella notte di giovedì 24 novembre, nel villaggio nativo di Kishanji, nello stato dell’Andhra Pradesh, una folla si è radunata spontaneamente a commemorare la morte del leader maoista, intonando canti tradizionali in suo onore.
[Foto credit: naxalwar.wordpress.com]