Sugli stupri, la società indiana si trova a fare i conti con se stessa. Da molte parti si ripete che serve un cambio di mentalità radicale. Anche perché i recenti casi di stupro, da dicembre 2012 a oggi, sono solo la punta dell’iceberg. Ad alimentare il dibattito ora anche un video satirico con protagoniste due star dello showbiz. Lo stupro e l’assassinio di Nirbhaya a Delhi, lo scorso dicembre; una fotoreporter violentata a Mumbai, ad agosto; un’assistente universitaria, sabato 5 ottobre, si dà fuoco davanti alla casa della chief minister della capitale, dopo che per anni aveva denunciato molestie sessuali sul posto di lavoro, inascoltata dalle autorità di polizia.
Queste alcune tra le vicende di violenza di genere emerse negli ultimi mesi sulla stampa indiana, in un’emergenza stupri che in India è finalmente diventata questione di dibattito pubblico, un tema antico e spinoso che da troppo era stato affrontato esclusivamente dal punto di vista della sicurezza.
La violenza di genere come fallimento delle forze dell’ordine.
La piaga dello stupro nel paese affonda le radici in tradizioni antiche: l’humus della società patriarcale, in coppia con un senso di pudore e di “onore” della donna che spesso sfocia nella segregazione, in India ha prodotto senza sosta episodi di violenza atroci, ignoti alla maggioranza dell’opinione pubblica mondiale poiché relegati – al massimo – tra le righe della cronaca locale in lingua locale.
Eppure le cifre ufficiali avrebbero dovuto imporre un’attenzione maggiore. Secondo i dati del National Crimes Record Bureau, ogni venti minuti in India una donna viene stuprata. Un’altra statistica illuminante indica che nel 2012 in tutto il paese sono stati denunciati alle forze dell’ordine 24.923 casi di violenza sessuale.
Una percentuale realisticamente bassa rispetto alla totalità dei crimini commessi che, specie nelle zone rurali, non vengono nemmeno riportati all’attenzione della polizia, arrivando a casi in cui la famiglia della vittima le impone il matrimonio col violentatore. È una questione di onore.
Ma qualcosa è cambiato e sta cambiando. La vicenda di Jyoti Singh Pandey, a lungo nota come Nirbhaya, “l’impavida”, ha scosso l’opinione pubblica nazionale come mai prima. Nel dicembre 2012 Pandey e il suo “amico” – mai descritto dalla stampa indiana come compagno o fidanzato – vengono aggrediti su un autobus a Delhi sud da cinque uomini che, a turno, violenteranno la studentessa di 23 anni lasciandola in fin di vita sul marciapiede.
La ragazza morirà due settimane dopo in un ospedale di Singapore, mentre nella capitale migliaia di ragazzi e ragazze scendono in strada e a manifestare contro l’inazione del governo, incapace di garantire alle proprie cittadine un ambiente sicuro dove poter, banalmente, vivere la vita di tutti i giorni.
La paura di essere violentate si ripercuote sul panorama sociale dell’India quotidiana: difficile, soprattutto in una metropoli come Calcutta, vedere ragazze o donne in giro da sole quando cala la sera.
Stesso discorso anche nelle zone rurali, dove una ragazza trovata a girare in bicicletta, di notte, nelle strade deserte della campagna bengalese viene prontamente fermata dalle forze dell’ordine e sgridata per un comportamento incomprensibile: le strade, pur deserte, in India per le donne sole sono pericolose per definizione.
La mobilitazione della società civile, che spingeva per una riflessione più profonda della società patriarcale indiana, è stata subito dirottata dalle forze politiche, che ne hanno fatto arma contundente per attaccare il governo unicamente sulla questione della sicurezza, come se il problema degli stupri sia imputabile solo alla mancanza di polizia per le strade, a pene troppo blande per gli stupratori.
L’approccio alla questione di genere nel paese è sempre stato di arginamento di una condizione di bestialità dell’uomo giudicata immutabile, congenita. L’uomo, frustrato da un esistenza che tradizionalmente non concepisce il sesso prematrimoniale come pratica sana e naturale nella crescita dell’individuo, secondo il senso comune non è in grado di domare i suoi istinti lussuriosi.
Per questo l’unica soluzione è ridurre al minimo la possibilità che uomo e donna sconosciuti possano condividere spazi comuni. Si va dalle carrozze nei treni e nella metropolitana riservati alle donne alla rigida gerarchia degli autobus: davanti, vicine allo sguardo vigile del conducente, le donne non accompagnate; dietro, un lato per le donne e uno per gli uomini.
L’unico ambiente definito “sicuro” nella vita di una donna indiana – quando non costretta a uscire meglio se in compagnia di uno zio, un fratello o un familiare di sesso maschile – è la casa. Una convinzione smentita però dalle statistiche.
La scrittrice Nilanjana Roy, in un brillante articolo pubblicato da The Hindu il 20 dicembre del 2012, rifacendosi a report governativi del 2011, indica che nel 94 per cento dei casi di stupro denunciati gli stupratori sono persone che conoscono la vittima. Nel 34 per cento dei casi gli stupratori sono vicini di casa, ma a fare notizia sono sempre casi eccezionali di violenza cruenta e "casuale": per strada, sui mezzi pubblici, fuori dal raggio di protezione immaginario della famiglia.
Lo stupro, insomma, è solo la punta dell’iceberg di una società patriarcale che in India, salvo limitatissimi ghetti di indiani occidentalizzati nelle grandi metropoli, ancora oggi rimane lo scheletro delle relazioni interpersonali.
Annie Zaidi, scrittrice e giornalista impegnata nella battaglia per l’emancipazione femminile in India, sostiene che le nuove leggi contro gli stupratori – che hanno esteso la pena massima all’esecuzione capitale – non aiuteranno a migliorare le cose: “Le modifiche legali possono essere significative, ma molto dipende dalla loro applicazione da parte dei giudici e della polizia. Abbiamo già una serie di leggi che si occupano di violenza di genere, ma non sono applicate”.
Secondo Zaidi serve invece un deciso cambio di mentalità, “smettere di concentrarsi solo sull’onore, sulla castità, sul controllo della propria sessualità. L’introduzione di lezioni di femminismo nelle scuole farebbe bene a tutti”.
Nel dibattito si è recentemente inserita una novità atipica, un modo di trattare il fenomeno mai sperimentato prima nel paese. Qualche settimana fa è stato pubblicato su Youtube un video satirico intitolato “It’s your fault”, ideato dal collettivo di comici All India Bakchod (AIB) e interpretato da Kalki Koechlin, attrice di Bollywood, e Juhi Pande, VJ di Channel V.
Montato come un breve manuale di istruzioni, in poco più di tre minuti le due protagoniste spiegano ad un pubblico femminile immaginario come, in realtà, la colpa degli stupri sia integralmente imputabile alle donne, assolvendo l’universo maschile da ogni responsabilità.
La casistica, dal dress code alla spiegazione delle statistiche arrivando ad elencare le principali cause della degenerazione femminile – mangiare spaghetti saltati, usare il telefono cellulare, comportarsi in modo irrispettoso con gli uomini – riprende alla lettera una serie di dichiarazioni celebri e aberranti rilasciate alla stampa negli ultimi mesi dai gruppi più tradizionalisti e bigotti del paese: gli uomini di fede come Asaram Bapu – attualmente sotto processo per pedofilia – e gli esponenti dei gram panchayat (una sorta di "consiglio del villaggio", l’unità minima dell’amministrazione nazionale indiana) dell’Haryana.
Il video, che ha raggiunto 2,5 milioni di visualizzazioni, prende di mira anche il comportamento della polizia: in un passaggio, Koechlin consiglia al pubblico di donne immaginario: "Se non sei stata già umiliata a sufficienza, vai dalla polizia, che là di certo ti spiegheranno perché è tutta colpa tua!"
“L’anno scorso riflettevamo su come occuparci della reazione della polizia davanti alle vittime di stupri, ma non avevamo nulla di concreto per le mani” ha spiegato a China Files Gursiram Khamba, autore del collettivo AIB.
“Dopo una serie di sketch pubblicati su Youtube coi produttori di NH7 abbiamo iniziato a riflettere su cosa potevamo fare per affrontare il tema della violenza di genere, una questione di estrema importanza. Abbiamo deciso di non tenere un approccio tradizionale e paternalistico, tipo le pubblicità progresso in televisione, ci siamo detti ‘vediamo come possiamo parlarne con la comicità’, che è ciò che sappiamo fare meglio”.
Grazie alla partecipazione di Koechlin e Pande, due superstar dell’entertainment indiano, anche i media tradizionali hanno sostenuto la causa, proiettando il video satirico in una dimensione mondiale.
“Molti ci hanno chiesto di tradurre il video in altre lingue” ha spiegato Khamba “e per quanto ne sappiamo ne esiste già una versione in francese e una in portoghese, mentre altri paesi hanno ripreso il video originale in inglese. Questo indica come il problema delle violenze di genere sia rilevante non solo in India ma in tutto il mondo, dall’America Latina agli Usa e l’Europa”.
Se il video ha avuto il pregio di bucare il tabù degli stupri nel paese come questione sociale, i comici di AIB sono comunque convinti che nuove leggi e annunci ufficiali non aiuteranno a cambiare la condizione delle donne in India: “Finché la società indiana rimarrà ancorata alla tradizionale struttura patriarcale non si potrà trovare nessuna soluzione alla violazione di diritti fondamentali che le donne subiscono ogni giorno”.
[Scritto per La Nacion; foto credits: ibtimes.com]