La sovrappopolazione è un problema che Delhi tenta di risolvere da 60 anni, con scarsi risultati. C’è chi pratica la sterilizzazione forzata ai danni di poveri, tribali ed analfabeti, ma anche chi prova ad usare la fantasia, sperimentando metodi di convincimento alternativi come lotterie e spot televisivi.
Shyam Lal (nome di fantasia) è un ragazzo tribale di sedici anni e il 16 febbraio è andato all’ospedale di Rewa, una piccola cittadina del Madhya Pradesh, stato centrale dell’India. Si sentiva la febbre e ha chiesto aiuto ai medici. Gli mettono degli aghi, perde conoscenza ed al risveglio gli viene comunicato che va tutto bene, è guarito. Nel frattempo, l’hanno anche sterilizzato.
Così inizia il reportage di Anuradha Raman, che sul magazine Outlook India racconta la vicenda delle sterilizzazioni forzate in Madhya Pradesh: uno scabroso intreccio tra politica, sanità e controllo delle nascite che ha fatto guadagnare a Shyam Lal il record di “più giovane sterilizzato d’India”.
Sedici anni e una vita davanti senza la possibilità di fare figli, una maledizione non semplice da metabolizzare per un adolescente tribale: nella sua comunità, forse più che nel resto dell’India non adivasi (così vengono chiamati i primordiali abitanti del subcontinente), l’uomo è più Uomo quanta più discendenza riesce a lasciare dopo di sé.
Il controllo delle nascite è una delle priorità in India, un Paese lanciato verso una sovrappopolazione esagerata (oltre 1,2 miliardi secondo l’ultimo censimento del 2011) e già in una fase di sorpasso che nel 2030 – secondo le previsioni – farà mangiare la polvere all’attuale detentrice del primato, la Cina (oltre 1,33 miliardi, ma i dati risalgono al 2010).
In Madhya Pradesh la pratica ha trovato una declinazione anche politica grazie all’ambizione di Shivraj Singh Chauhan, chief minister dello Stato in quota BJP (Bharatiya Janata Party, partito conservatore hindu), che aveva annunciato ai suoi elettori una sterilizzazione di massa spettacolare: 700000 entro il 31 marzo 2012.
Secondo Outlook India, il 12 marzo 2012, gli ospedali del Madhya Pradesh erano poco sopra le 370000 operazioni: poco più di metà.
Decisamente indietro rispetto alla pretenziosa tabella di marcia, gli ospedali dello Stato hanno iniziato ad operare in massa donne e uomini, pescando in particolare tra la popolazione tribale analfabeta.
I pazienti talvolta non vengono informati (come nel caso di Shyam Lal), altre volte l’amministrazione si improvvisa come strozzino, minacciando le famiglie più indigenti di togliere loro i benefit garantiti dalla previdenza indiana – ad esempio una tessera per acquistare riso e farina a prezzi calmierati – se non si sottoporranno a vasectomia o sterilizzazione tubarica.
L’ostacolo del machismo
Nonostante programmi di controllo delle nascite siano in vigore in India dal 1951 sotto diverse forme, negli ultimi anni il governo indiano ha cercato di invogliare la popolazione a partecipare ai programmi di family planning con mezzi reputati più convincenti.
Si va dalle lotterie con frullatori, motociclette ed automobili Tata Nano in palio in Rajasthan alle biciclette donate agli uomini disposti ad una vasectomia in Kerala. Un regalo prestigioso, racconta Indian Express che al Christian Medical College and Hospital – promotore dell’iniziativa – costa più di 2600 rupie a bicicletta, intorno ai 35 euro.
E’ interessante notare come la percentuale delle donne sterilizzate sia molto più alta che quella maschile: in Madhya Pradesh, ad esempio, per ogni dieci donne sterilizzate c’è un solo uomo che abbia subito una vasectomia.
La cultura machista indiana gioca un ruolo preponderante, tanto che nelle zone rurali è credenza comune che un uomo sterile sia automaticamente meno virile, meno forte, meno in salute. Così tante mogli, pur di risparmiare al marito un depotenziamento tale della sua virilità a tuttotondo, si offrono loro per la legatura delle tube.
Oppure, come surrogato di mascolinità, alcuni anni fa sempre in Madhya Pradesh le autorità distribuivano il porto d’armi ad ogni uomo che accettava di farsi sterilizzare. “Per non farli sentire meno uomini” spiegava l’amministrazione del distretto di Shivpuri nel 2008, dove l’iniziativa ha registrato un successo senza precedenti: nelle prime 10 settimane, secondo il Washington Times più di 200 uomini si erano già sottoposti all’operazione, ed altri non vedevano l’ora.
Anche chi, come uno degli intervistati nel pezzo del quotidiano americano, era otto anni che provava ad ottenere il porto d’armi, e per otto anni la sua domanda era stata respinta. Ora, scambiando la sua fecondità con un’arma da fuoco, il sogno si è avverato.
Un problema di comunicazione
Il nocciolo della questione risiede nell’opera di convincimento degli strati sociali più bassi, contestualmente quelli che in India procreano di più, prigionieri del vortice dell’agricoltura estensiva poco redditizia e che, secondo i loro calcoli, potrebbe progredire parallelamente al numero di braccia impiegate nella coltivazione.
E’ comprovato che una maggiora alfabetizzazione, soprattutto femminile, abbasserebbe il rapporto di fertilità, ovvero la media dei figli nati da una donna nel corso della sua vita. In Italia il rapporto è 1,54, negli Stati Uniti 2,06, in Cina 1,39. In India siamo intorno ai 2,62, con punte di 4 negli stati meno sviluppati come il Bihar.
Nonostante la scolarizzazione femminile sia stata incentivata notevolmente negli ultimi anni, è necessario per il governo indiano trovare un metodo per diminuire le nascite da subito, convincendo il suo popolo che “Meno figli è bello”.
Ci avevano provato negli anni ’60, ideando il logo di un triangolo rosso rovesciato che, secondo Delhi, doveva comunicare in modo intelligibile da tutti la proporzione ideale di una famiglia indiana: due genitori, un figlio.
Il logo è stato esportato in molti Paesi del terzo mondo ed ancora oggi campeggia sulle confezioni di preservativi, sopra le cliniche convenzionate per programmi di pianificazione familiare, sulle porte dei consultori. Ma, dati alla mano, la campagna non è stata un grande successo. C’è bisogno di un’alternativa.
Il governo del Bihar, ad esempio, recentemente ha chiesto a BBC Media Action di pensare ad uno spot televisivo che possa veicolare in modo chiaro e diretto il messaggio.
Radharani Mitra, direttrice creativa di BBC Media Action, ha presentato ad un convegno sulle politiche della popolazione a Londra un piccolo spot incentrato sul mantra “1-3-2” (Ek Tin Do, in hindi), ovvero far passare almeno tre anni tra la nascita del primo figlio e del secondo.
La scena: una giovane coppia è seduta sotto un albero, la figlia appena nata dorme avvolta in una coperta davanti alla madre. Il marito inizia a flirtare con la moglie, carezzandola ed avvicinandosi sempre di più, ma lei lo blocca e gli canticchia “Ek Tin Do”. “Da dove viene questo mantra?” chiede lui. “Me l’hai insegnato tu…” risponde lei, usando il suo fascino per convincerlo del falso.
Il mantra glie l’hanno insegnato al consultorio locale, come si scopre in un flashback del marito, che però è ben felice di prendersi il merito di quella piccola formula magica che ha permesso alla famiglia di avere un solo figlio, risparmiare, essere in salute e felici e, addirittura, poter regalare un bel paio di orecchini alla sua amata.
La formula vincente, secondo Mitra, è proprio questa: mostrare i benefici immediati dell’avere meno figli combattendo sul piano concreto degli affetti materiali.
Meno figli, più soldi. Lampante, senza scomodare la geometria.
[Scritto per Lettera43] [Foto credit: hrbrief.org]