Il governo Modi ha creato una cellula investigativa ad hoc per raccogliere informazioni circa i correntisti indiani con conti cifrati in Svizzera. Secondo i dati più recenti, nei quattro cantoni sarebbero depositati almeno 1,7 miliardi di euro: fondi neri che vanno ad alimentare l’economia parallela nel paese.
Contanti. L’economia indiana si basa soprattutto sui contanti: carte di credito, debito e bancomat sono strumenti generalmente poco utilizzati. Se si escludono le grandi città ed i luoghi dedicati alle classi benestanti, la totalità degli acquisti quotidiani avviene tramite cartamoneta e le ricevute sono piuttosto rare.
In un paese in cui circa 600 milioni di persone vivono con meno di due dollari al giorno, l’utilizzo di denaro liquido più che una scelta è una consuetudine obbligata.
Economia di sussistenza e conto in banca sono infatti due elementi che difficilmente trovano punti di incontro. Laddove si verifica la rara possibilità di qualche magro risparmio, scatole di metallo e materassi restano gli strumenti preferiti. La situazione è piuttosto diversa quando si tratta di cittadini indiani molto ricchi, che sembrano avere un’approfondita conoscienza degli strumenti bancari e non disdegnano affatto l’utilizzo di istituti di credito esteri, specialmente svizzeri.
Secondo il rapporto della Banca Nazionale Svizzera (Bns), che raccoglie i dati forniti da ottanta banche della regione alpina, i cittadini indiani possiederebbero depositi per un totale di 140 miliardi di rupie – circa 1,7 miliardi di euro in valuta corrente.
Solo una minima parte di questo denaro, poco meno di 70 milioni di euro, è composto da fondi fiduciari; la maggior parte risiede in conti cifrati intestati a privati cittadini indiani, il cui anonimato rimane garantito dalle leggi elvetiche in materia. Ciò che preoccupa Delhi è l’incremento della fuga di capitali rispetto all’anno scorso – circa il 35 per cento – quando il report della Bns quantificava il denaro indiano in terra alpina in poco più di 1,1 miliardi di euro.
Nonostante le cifre siano importanti, l’India non è tra i migliori clienti: le prime posizioni sono saldamente occupate dal Regno Unito con circa 316 miliardi di euro, dagli Stati Uniti con circa 170 e dal paradiso fiscale caraibico delle Indie Occidentali Britanniche con i loro 87,5.
La grande circolazione di denaro contante rende i flussi economici indiani difficilmemte quantificabili – e quindi tassabili -, sottraendo ingenti somme alle casse pubbliche ed alimentando una cospicua “economia parallela” le cui dimensiono restano difficili da stimare. Secondo un calcolo condotto dal gruppo di studi creatosi in seno alla Banca Mondiale nel 2010, il denaro “nero” indiano sarebbe pari ad una cifra compresa tra il 23 ed il 26 per cento del prodotto interno lordo nazionale.
Meno ottimisti si sono dimostrati il National institute of public finance and policy, il National institute of finance management ed il National institute of applied economic research, secondo i quali il fenomeno si aggirerebbe intorno al 30 per cento del Pil. Tradotto in denaro, significherebbe che una cifra compresa tra 316 e poco più di 410 miliardi di euro sfugge al controllo del governo indiano, somme che non si nascondono sotto i materassi.
Parte di questi contanti circola senza sosta nelle strade del paese, alimentando l’economia quotidiana dei venditori al dettaglio e dei molti piccoli artigiani. Somme più importanti però, non possono che essere depositate nei paradisi fiscali dove secondo l’antica regola del pecunia non olet, non è richiesta la provenienza delle somme in entrata.
In questo senso, i dati diffusi dalla Bns risultano di scarso aiuto: le somme citate nel recente report risultano essere proprietà privata facente capo direttamente a cittadini autodichiaratisi indiani, una mossa difficilmemte adottata dai detentori di fondi neri che preferiscono agire tramite società frammentate e delocalizzate in più paesi. Inoltre, i dati forniti dalla Banca nazionale svizzera ricoprono solo ottanta dei 283 istituti di credito attivi nei cantoni.
Il 27 maggio Narendra Modi ha istituito un tribunale investigativo con il mandato specifico di seguire gli spostamenti sospetti di denaro in uscita dall’India con l’obbiettivo di arginare il fenomeno e riportare capitali all’interno dei confini nazionali. Ridurre la fuga di liquidità verso l’estero potrebbe aiutare l’India ad incrementare eventuali investimenti produttivi e finanziamenti in settori strategici.
Il contrasto all’economia parallela, inoltre, è un tassello fondamentale nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Il circuito economico “nero” è infatti una sorta di zona grigia in cui confluiscono sia il denaro proveniente dalla manomissione di attività legali – falsi in bilancio, false fatture, ribassi della produzione, etc. – che da attività tipicamente criminali.
Questo secondo aspetto assume in India una rilevanza sociale piuttosto importante: tra i campi illegali più redditizi figurano il traffico di eroina, lo sfruttamento minorile e le miniere illegali, tutte attività che costringono una parte della popolazione povera a ritmi e condizioni di lavoro disumane e in molti casi mortali.
Il denaro “nero”, inoltre, sfuggendo a tutte le statistiche è tradizionalmemte usato per corruttele e tangenti, le stesse che con buone probabilità hanno ostacolato fino ad oggi una seria iniziativa di contrasto.
[Foto credit: forexzig.com]
* Daniele Pagani (@paganida) laureato in Storia contemporanea all’Università degli Studi di Siena, vive a New Delhi dall’inizio del 2014 e ha appena concluso un internship presso il quotidiano nazionale The Hindu. Il suo blog è Impicci.