India – Ritorno in Birmania

In by Simone

Dopo 25 anni, complice la stagione di riforme economiche in corso in Birmania, l’India ritorna a bussare al Paese dei Pavoni. La visita di Singh vuole rilanciare i rapporti tra i due vicini: tante promesse, prestiti agevolati e la speranza di poter accedere alle risorse naturali birmane. E la Cina non gradisce.
Erano 25 anni che un premier indiano non si recava in visita ufficiale in Birmania. Il 28 maggio scorso la missione diplomatica capitanata da Manmohan Singh ha finalmente interrotto un digiuno di rapporti vis à vis di un quarto di secolo tra due paesi che hanno avuto, ed hanno, tantissimi legami.

Dal destino comune di colonie britanniche fino al 1937, quando il Paese dei Pavoni si sganciò per trovare l’indipendenza dal Regno Unito nel 1948, le strade di India e Birmania non potevano che continuare ad incrociarsi grazie ai punti di contatto culturali, religiosi – leggi buddhismo –  e commerciali, con quel confine lungo 1600 km che divide le regioni del nord-est indiano dal prolungamento naturale, e fisionomico, delle popolazioni indigene.

L’abbraccio del fratello maggiore indiano è venuto però a mancare proprio nel momento del bisogno, quando la giunta militare che ancora oggi governa il paese – sotto rinnovate spoglie pro democrazia – represse nel sangue le manifestazioni del 1988.

Il mancato interventismo indiano, in linea con l’isolamento mondiale ad eccezione di Pechino, è stato visto dalla popolazione birmana come una sorta di tradimento: il movimento pro democrazia birmano si aspettava molto di più dalla “più grande democrazia del mondo”.

Nonostante i forti rapporti affettivi che legano l’eroina della democrazia Aung San Suu Kyi ed il subcontinente indiano – il padre era amico intimo del primo ministro Nehru, la madre ha servito come ambasciatrice birmana a Delhi e il premio Nobel per la pace stesso ha vissuto e studiato nella capitale indiana – la scricchiolante India dei primi anni Novanta, nel bel mezzo della propria apertura economica, ha preferito mantenersi defilata sul piano internazionale e non affrontare a muso duro una giunta militare problematica e, soprattutto, appoggiata dai cinesi.

Memore di alcune macchie storiche, Manmohan Singh si è presentato in Birmania col metaforico cappello in mano, conscio che nella nuova stagione di riforme ed apertura economica che si sta aprendo nel paese confinante, l’India per recuperare il tempo perduto deve iniziare a dare, prima di avere.

La sequela di accordi firmati lunedì tra i due governi lascia ben intendere la volontà indiana di tornare a giocare un ruolo di primo piano nella regione, partecipare al banchetto mondiale delle risorse birmane ed assicurarsi un posto in prima fila, finché ne rimarranno.

Singh è arrivato nella nuova capitale Naypyidaw dopo i rappresentanti di Bangladesh, Gran Bretagna, Stati Uniti e Corea del Sud. Non proprio una partenza sprint.

I due paesi si sono impegnati a terminare entro il 2016 la famigerata Trilateral Highway, un’autostrada che dovrebbe collegare il nord-est indiano alla Thailandia, passando per la Birmania: in termini commerciali, si tratta di una risorsa estremamente importante. Resta da vedere se alle promesse – come purtroppo raramente succede in India – seguiranno anche i fatti.

Inoltre Delhi ha aperto una linea di credito di 500 milioni di dollari, in prestito agevolato a Naypyidaw per lanciare l’ammodernamento delle infrastrutture nel paese e sviluppare i collegamenti lungo il confine.

Anche nel settore dell’educazione l’India ha provato a giocare i pezzi forti del suo soft power, promettendo di realizzare un nuovo Myanmar Institute of Information Technology, di intensificare gli scambi accademici e di facilitare l’accesso alle università indiane per i giovani birmani, oltre ad offrirsi per un “corso di parlamento” per i nuovi deputati che dovranno animare la democrazia birmana.

La presenza a Yangon – ex capitale birmana e centro economico del paese – dei rappresentanti delle grandi compagnie indiane come Tata, Airtel, Jinda Steel e Bharti dimostra come l’India punti molto anche sul proprio settore privato per innescare un vortice di scambi virtuosi che possa aprire le porte alle risorse naturali birmane.

Gas naturale e il petrolio della baia del Bengala, giacimenti di ferro nelle colline del nord, energia idroelettrica: questi i tesori sui quali l’India, assieme al resto del mondo, vuole mettere le mani.

Lo scontro sarà tenace e, complice la malizia dei mezzi d’informazione occidentali, la visita indiana in Birmania è stata interpretata come una mossa strategica sullo scacchiere regionale che contrappone – e come non potrebbe? – Delhi e Pechino.

Non c’è dubbio che una maggiore presenza indiana nella regione rosicchierebbe le fondamenta dello strapotere che la Cina ha potuto stabilire in Birmania in oltre vent’anni di sostanziale monopolio economico.

Per rendere l’idea, nell’anno fiscale 2010-2011, tra investimenti privati e statali, la Cina ha pompato nel mercato birmano 20 miliardi di dollari; l’India invece, stando alle speranze dichiarate da Singh, entro il 2015 vuole raggiungere un volume di scambi bilaterali con la Birmania pari a 3 miliardi di dollari.

Nonostante il peso cinese nell’economia birmana, paragonato agli spiccioli indiani, abbia dimensioni mastodontiche, gli altoparlanti di Pechino non si sono lasciati scappare l’occasione di stuzzicare Delhi.

Un editoriale del 29 maggio del Global Times intitolato La gita in Birmania mostra l’illusione indiana, mette ripetutamente il dito nella piaga del complesso di inferiorità indiano nei confronti della Repubblica popolare.

Tra le altre frecciatine velenose, si legge: “Alcuni media indiani sono ossessionati dal descrivere uno scenario di competizione tra Cina ed India. Ciò è probabilmente causato dalla smania di essere considerati importanti come la Cina”.

Se le lingue biforcute della propaganda cinese sputano il loro veleno – estratto da massicce dosi di verità – quando sentono gli interessi della madrepatria intaccati da agenti esterni, allora le manovre indiane in Birmania potrebbero davvero cogliere due piccioni con una fava: rilanciare rapporti economici fondamentali con un vicino troppo a lungo bistrattato e rosicchiare terreno sotto i piedi di Pechino.

Meglio tardi che mai.

[Foto credit: reporterindia.com]