I rappresentanti di India e Cina a colloquio qualche giorno fa a Delhi. Una visita formale, senza troppe sorprese, ma che ha comunque propiziato un primo assaggio del "Modi-pensiero", a meno di un mese dalle elezioni. Tra anglicismi, e tanta retorica, il premier Modi ha esposto le sue teorie per il futuro del paese. Pochi giorni fa si è tenuto in pompa magna qui a Delhi il primo contatto ufficiale tra India e Cina dall’insediamento di Narendra Modi. Il colloquio bilaterale tra i ministri degli Esteri dei due paesi è stata pura formalità, grandi speranze ma niente di concreto sul piatto. Molto più interessante, nel tentativo di decifrare il Modi-pensiero, quello che il nuovo primo ministro indiano ha dichiarato alla vigilia del colloquio. Retorica a secchiate.
Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’omologa indiana Sushma Swaraj si sono incontrati lo scorso weekend qui nella capitale, dando vita al classico scambio di convenevoli e promesse di facciata che forse, quando a parlare saranno Modi e Xi Jinping (che dovrebbero vedersi più tardi quest’anno) potranno tradursi davvero in un cambio di passo nei rapporti commerciali tra India e Cina e, magari, affrontare con la volontà di sbloccare la situazione una serie di problemi come il rapporto privilegiato che la Cina ha riservato al Pakistan, la questione tibetana e soprattutto, le discordie sui territori himalayani reclamati da entrambe le parti sin dalla guerra sino-indiana del 1962.
La Cina è il primo partner commerciale indiano, con un interscambio che si aggira attorno ai 70 miliardi di dollari l’anno. Piccolo particolare: Delhi soffre di un deficit commerciale nei confronti di Pechino in continuo rialzo dall’inizio degli anni 2000. Secondo il quotidiano Hindustan Times, nel 2001-02 si attestava a 1 miliardo di dollari; oggi siamo già a 40.
Per invertire la rotta indiana, Modi dovrà riuscire a penetrare maggiormente nel mercato cinese, offrire a Pechino qualcosa che non ha (dura) o qualcosa che le convenga prendere dall’India. Questione di competitività, tema che il primo ministro Modi durante la presentazione del volume Getting India Back on Track: An Action Agenda for Reform – una marchettata dei successi del Gujarat compilata da Bibek Debroy, Ashley J. Tellis e Reece Trevor, con una prefazione di Ratan Tata – ha affrontato con la stampa in un profluvio di slogan americaneggianti e dichiarazioni d’intenti magniloquenti.
Secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, NaMo ha spiegato che per raggiungere e competere con la Cina il paese ha bisogno di percorrere il sentiero del progresso abbracciando l’ultima trovata del Modi-pensiero: la teoria delle 3 S, ovvero skill, scale and speed. (Nota: interessante rilevare come Modi fino a questo momento abbia sempre utilizzato slogan retorici in lingua hindi – vikas al posto di progresso, su tutti – e ora viri su concetti più english friendly).
Skill: investire in figure professionali attualmente bistrattate come insegnanti, infermieri e paramedici, utili per migliorare le condizioni interne e buoni anche per l’esportazione, ché – quoto – "un commerciante che gira il mondo porterà indietro solo dollari e sterline, mentre un insegnante influenza intere generazioni di esseri umani".
Scale: pensare in grande, pensare "più ai treni superveloci che agli interregionali", sfruttare l’esplosione demografica indiana per contrastare l’avanzata di una Cina in continuo invecchiamento.
Speed: riferimento ai treni superveloci e in generale alle nuove arterie della comunicazione 2.0, "non highways ma I-ways" (sic!), cablare il paese con fibra ottica che possa far viaggiare idee (Nota: nella capitale, come ho scritto ieri, l’energia elettrica non basta nemmeno per l’aria condizionata).
In evidente trance agonistica da retorica di massa, Modi ha proseguito nella spiegazione della sua "vision" prendendo a prestito il tricolore indiano, annunciando una rivoluzione per colore: una seconda "green revolution" – dopo le storiche riforme agricole degli anni Sessanta – che punti ad ottimizzare la produzione agricola; la "white revolution" – anche questo un revival, dopo l’omonima misura varata negli anni Settanta per potenziare la produzione e distribuzione di latte e latticini in India – che incrementi la produzione di latte e soprattutto (come in Gujarat) abbia un occhio di riguardo per la salute del bestiame; una "saffron revolution" – rivoluzione zafferano, con disambiguazione dichiarata essendo lo zafferano il colore generalmente associato ai paramilitari della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) – intesa come investimenti nel settore dell’energia alternativa, quella solare in particolare; infine, la "blue revolution" – presa dal colore della Ruota dell’Imperatore Ashok al centro della bandiera – come potenziamento dell’industria ittica, incluso gli "allevatori di specie esotiche".
Infine, a chi chiedeva cosa ci fosse in programma per affronare la sfida del cambiamento climatico e la protezione ambientale, pare Modi abbia risposto che "una civiltà che ha trattato i fiumi come le proprie madri non ha bisogno di lezioni di protezione ambientale dall’Occidente".
Agevoliamo i risultati del trattamento riservato ai corsi d’acqua nazionale dalla civiltà indiana.
E tanti auguri a chi dovrà trattare con Narendra Modi.
[Anche su East; foto credit: amritafoundation.wordpress.com ]