Ora che Narendra Modi è ufficialmente il nuovo primo ministro indiano, ripercorrere i mesi della campagna elettorale più spettacolare e costosa della storia del subcontinente – 5 miliardi di dollari complessivi – dà ben la misura dell’impresa compiuta dal machiavellico ex chief minister del Gujarat. Proiettato come “uomo della provvidenza”, l’India vede in Modi un leader con le caratteristiche del demiurgo in grado di plasmare il futuro che verrà.
La Modi Wave, la marea che ha investito la politica nazionale e travolto in una sconfitta senza precedenti l’Indian National Congress (Inc) della dinastia Nehru-Gandhi, ha iniziato a montare lenta e inesorabile nel settembre 2013, quando dalla lotta intestina tra le fazioni interne del Bharatiya Janata Party (Bjp) è emersa la candidatura di Modi a portabandiera del partito della destra nazionalista hindu, superando le riserve di LK Advani, che ha sempre mal sopportato l’esuberanza accentratrice di NaMo.
Sistemati gli oppositori interni, Modi ha avuto campo libero per impostare una campagna elettorale disegnata a propria immagine e somiglianza: una maratona di comizi in ogni angolo del paese sostenuta da una presenza solida sui media e sui social network, arricchita da novità come la tecnologia degli ologrammi 3D, commissionata all’azienda italiana Musion Das Hologram.
Davanti ad un elettorato da record, oltre 810 milioni di aventi diritto, in piena sindrome da disaffezione nella politica tradizionale e frustrato da un Inc incapace di trainare l’economia nazionale fuori dal pantano della crisi – crescita vicino al 5 per cento contro stime del 7 – Modi ha saputo dettare la propria agenda dei sogni poggiata sul concetto di vikas (progresso, in hindi) ed esemplificata dall’esperienza di due mandati consecutivi alla guida del suo “Shining Gujarat”, lo stato dell’India occidentale elevato a modello di sviluppo nazionale.
Campione di retorica delle masse, forte di un’infanzia passata ad aiutare il padre al banchetto del chai, presentandosi come portavoce degli umili in contrasto con le élite oxfordiane della “casta” dell’Inc, Modi è riuscito dove nessun altro prima di lui, nel Bjp, aveva fatto: i risultati definitivi sanciscono una maggioranza inedita nella storia della destra indiana, 282 seggi in parlamento contro i 44 di un Inc mai così in crisi.
Un plebiscito inaspettato dalla maggioranza degli osservatori che ora permette a Modi di governare libero dai ricatti dei partiti regionali, storicamente aghi della bilancia in coalizioni di governo fragili e soggette alla periodica permalosità dei leader locali.
Al fianco della propaganda sui media tradizionali, le seconde file del Bjp hanno intessuto legami con le sacche di voto dell’India rurale, toccandone i nervi scoperti e facendo leva sul voto in base all’appartenenza castale, religiosa, etnica soffiando sul fuoco dei contrasti comunitari che rappresentano l’enorme scheletro nell’armadio di Modi.
Nel 2002, mentre era chief minister del Gujarat, un “incidente” alla stazione di Godra – c’è chi dice scatenato da un diverbio tra un venditore di chai musulmano e un gruppo di militanti di estrema destra hindu – lasciò sul campo una cinquantina di morti, tutti hindu. L’evento scatenò una rappresaglia durissima, con pogrom anti musulmani in tutto lo stato. I morti furono più di duemila e Modi – legato a doppio filo con l’organizzazione paramilitare della destra hindu Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), di cui è stato militante sin dall’età di 8 anni – fu accusato di fiancheggiamento e di non aver impedito la tragedia.
Una macchia che, sebbene non vi siano ancora sentenze giuridiche di colpevolezza, è stata presto dimenticata dal grande elettorato indiano, stregato dal campione del progresso.
Il “modello Gujarat”, fatto di agevolazioni fiscali per attrarre investimenti stranieri e realizzazione di grandi opere, piace molto ad India Inc. e ai mercati, pur sollevando dubbi circa l’efficacia di una crescita del Pil alla quale, secondo le principali agenzie internazionali, non corrisponde un miglioramento dell’Human Development Index.
Il Gujarat, con la sua crescita superiore al 6 per cento di media negli ultimi dieci anni, è tra gli stati più floridi del paese; ma in termini di educazione, alfabetismo e salari minimi naviga intorno alla media, superato da altri potenziali “modelli”, come il Tamil Nadu e il Kerala.
Intervistato da China Files, Vivek Kumar (professore di sociologia politica presso la Jawaharlal Nehru University) ha ricordato la svendita di terreni agricoli gujarati ad aziende amiche – la Adani Group, su tutte – mentre “la Central Gujarat University da cinque anni ha sede in un ex scuola materna”. Esempio plastico di un modello pericoloso e, sempre secondo Kumar, difficilmente applicabile con successo su scala nazionale.
Ora, con una squadra di governo fatta di uomini fidati appuntati ai dicasteri più delicati (Rajnath Singh, ex Rss, agli Interni; Arun Jaitley alle Finanze e alla Difesa), Modi si prepara a traghettare un’India stanca e sognatrice verso nuovi orizzonti di grandeur e progresso. La sfida del demiurgo è cominciata.
[Scritto per East – Rivista di Geopolitica; foto credit: ibitimes.com]