Gardiner Harris, inviato del New York Times a New Delhi, ha scritto un pezzo durissimo e terrificante (nel senso che se vivi a Delhi e lo leggi poi fatichi a dormire dal terrore) sull’inquinamento atmosferico della capitale indiana. Che non solo pare sia la città con l’aria più inquinata al mondo, ma stacca anche le altre di un bel po’.Il pezzo, piuttosto lungo e molto documentato, vuole lanciare giustamente l’allarme sui livelli di inquinamento dell’aria toccati qui a New Delhi quest’inverno. Che l’aria fosse spesso irrespirabile qui ce ne eravamo accorti tutti, specie nel mese di dicembre, quando una coltre grigia ha aleggiato perennemente su tutta la città. La differenza tra constatare, guardando fuori dalla finestra, che l’aria fa schifo, e quantificare il livello di schifo è proprio quella che Harris vuole colmare col suo pezzo.
In cifre
Le rilevazioni condotte lungo i mesi di dicembre e gennaio hanno indicato una quantità di polveri sottili (PM2,5) nell’aria che respiriamo a New Delhi di 226 microgrammi per metro cubo. Indicazione scientifica che significa pochissimo per i non esperti, come chi scrive. Meglio metterla così, come fa Harris: nello stesso periodo le rilevazioni fatte a Pechino hanno misurato una quantità media di PM2,5 nell’aria della capitale cinese di 95 microgrammi per metro cubo.
Significa che rispetto all’inquinatissima Pechino – e sono stati scritti fiumi di inchiostro su questo tema, negli anni – New Delhi vanta un tasso di inquinamento dell’aria quasi triplo.
Il pezzo prosegue elencando i rischi per la salute, che sono concreti per tutti, in particolare per i bambini, aggiungendo un elenco delle precauzioni prese da chi può permetterselo, cioè i ricchi e gli expat. L’ambasciata americana, ad esempio, ha ordinato 1800 depuratori d’aria da installare sia negli uffici diplomatici sia nelle case dei funzionari, lamentando nel contempo un sostanziale disinteresse dei media indiani sul tema, scalfito solo di recente da un timido allarme in coppia con la necessità di "ripulire il paese". E qui ci sarebbero un po’ di riflessioni da fare.
Potersi permettere il lusso delle preoccupazioni
Primo: il problema dell’inquinamento se lo pone chi ha consapevolezza dei rischi alla salute, ovvero un minoranza miserrima della popolazione indiana che intercetta le informazioni del caso. Penso, ad esempio, a chi ha bancarelle qui sotto casa, che ogni giorno fa un micro falò di plastica e rifiuti vari fregandosene altamente dl potenziale inquinante.
Penso anche al ragazzo che ogni mattina alle 8 passa a ritirare la nostra immondizia (tutta in un secchio solo, il differenziato non esiste) e rifletto sul fatto che io non ho la minima idea di dove finisca tutto quello che noi buttiamo. So solo che il vetro viene riciclato con successo, tutto il resto non credo.
Penso agli scarichi dei riksha, ai conati di vomito che salgono quando si passa vicino a un fiume o a un torrente; alla totale non curanza di tutti noi che viviamo a New Delhi e siamo abituati a buttare tutto in terra, i cestini sono rarissimi; alla quantità di polvere che si alza dalle migliaia di cantieri aperti in tutta la città, sia governativi sia di privati che si restaurano la casa o che magari si costruiscono un altro piano. E il tutto, pur fermandomi a riflettere, non mi fa cadere in uno stato di shock. Credo ormai che sia normale vivere così, almeno qui.
Questo perché credo che il problema dell’inquinamento sia un problema da primo mondo, un problema da "benestanti", e il paragone viene meglio col cibo: mentre io, che qui sono un ricco benestante, potrei anche permettermi di farmi il problema della qualità del cibo che compro e mangio (bio o non bio), la gran parte delle persone che mi circonda in città ha ancora il problema fondamentale di mangiare o non mangiare. Punto.
Crescita vs difesa ambientale
Non si tratta di terzomondismo, ma di appurare la realtà dei fatti. L’India è un paese che ancora sta vivendo uno slancio mentale di crescita, crescita a tutti i costi. L’obiettivo non è migliorare le condizioni ambientali del paese, ma arricchirsi e produrre il più possibile il più velocemente possibile. In questo senso vanno le politiche di sviluppo promosse da Narendra Modi – da Make in India in avanti – affiancate da una campagna per la pulizia del paese che ogni giorno che passa si mostra sempre più come una pagliacciata. L’ha chiamata Swachh Bharat (India pulita, in hindi) e invita tutti i funzionari pubblici a prendere in mano la scopetta e pulire le strade.
Nel sito dedicato all’iniziativa si possono vedere una serie di foto del prima e dopo pulizia, ma i rifiuti raccolti dove vanno a finire poi? Non è dato sapere.
Swachh Bharat può avere un certo effetto come ampliamento della consapevolezza generale in termini di inquinamento e riciclaggio, assieme a decine di inziative private, eventi organizzati in posti (alberghi, conference hall, giardini) spesso inaccessibili per la stragrande maggioranza della popolazione.
Insomma, le speranze di vedere in tempi brevi un miglioramento sensibile delle condizioni ambientali qui in India sono misere.
È troppo tardi?
L’impressione è che tutto qui stia accadendo troppo tardi: la maggioranza della popolazione indiana, prima di potersi permettere di preoccuparsi della propria salute, ha bisogno di risposte a problemi molto più immediati come mangiare, vestirsi, trovare un lavoro, vivere una vita dignitosa magari fuori da uno slum.
Credo occorra raggiungere una masa critica di "benessere" per far sì che il problema dell’inquinamento sia davvero percepito come un problema di tutti (e lo è, sto parlando di percezione) così che tutti si sentano in dovere di contribuire alla soluzione.
Come si fa ad andare da chi abita in uno slum senza acqua, perché lo Stato non riesce a portargliela, e dirgli che deve iniziare a prendere in mano lo scopettino e pulire il viale "per la collettività?". La stessa "collettività" alla quale va benissimo che quella persona viva in quelle condizioni e anzi si lamenta perché gli brucia la plastica sotto casa?
Siamo al solito problema delle due Indie: una minoranza (20 per cento?) che sta bene o benissimo ed è nella posizione di preoccuparsi per la propria salute; un’altra enorme che vuole prima di tutto stare come gli altri, poi al limite si penserà a come farlo nel modo più salubre possibile.
I passi vengono fatti tutti,: la politica inizia a parlare di energie alternative, stringe accordi per spingere sul solare, promette di ripulire i fiumi indiani (missione monstre, per chi abbia mai visto un fiume indiano) tralasciando molti dettagli, e la buona notizia è che finalmente di inquinamento si inizia a parlare.
Il timore è che sia troppo tardi e che la velocità del potenziale inquinante del paese – inevitabile, in una campagna di realizzazioni di infrastrutture e nuovi poli industriali in un’India che ancora si nutre di energia proveniente dal carbone per oltre il 60 per cento del fabbisogno – sia di gran lunga superiore alla viralità della consapevolezza di pratiche quotidiane più salubri. E siccome per crescere bisogna inquinare – e la missione di Modi per la sua India è quella di crescere il più in fretta possibile – allora il gioco è fatto. Prima cresciamo, poi vediamo cosa si può fare per l’inquinamento.
Respirando 226 microgrammi di PM2,5 per metro cubo.
[Scritto per East online; foto credit: ibtimes.co.in]