Il Bharatiya Janata Party (Bjp), partito di governo guidato da Narendra Modi, è uscito con le ossa rotte dalle elezioni locali del Bihar. Una sconfitta che pesa molto a livello nazionale, provando che Modi non è imbattibile e che il suo modello di sviluppo inizia a scricchiolare. Le elezioni locali del Bihar hanno riconsegnato all’elettorato un risultato difficilmente prevedibile in tutta la sua potenza prima della fine del conteggio. La gioiosa macchina del consenso del Bharatiya Janata Party (Bjp), con Narendra Modi a guidare la carica del «vikas» (progresso, parola chiave della campagna di NaMo) che non arriva mai, è stata frantumata da un’alleanza di partiti locali più l’Indian National Congress (Inc), uniti come mai prima nell’opposizione allo strapotere della destra indiana. 178 seggi a 58, asfaltati. E in India già si respira l’inizio della fine di Modi.
Per capire la portata della disfatta del Bjp in Bihar occorre fare qualche passo indietro. La prendiamo larga ma poi ci arriviamo, promesso.
Il Bihar è uno stato che viaggia intorno ai 100 milioni di abitanti, ed è stato considerato per anni un cancro insanabile del paese: un concentrato di povertà e mancanza di opportunità che ha generato – e genera – a ciclo continuo criminalità, corruzione e masse di disperati che emigrano in altri stati in cerca di fortuna.
La manovalanza bihari soddisfa efficacemente la richiesta di carne da sfruttamento degli strati lavorativi più bassi della crescita indiana, riversandosi nelle grandi città dell’India del Nord per diventare rikshawalla, domestiche, controllori di biglietti del bus e conducenti, barbieri lungo il ciglio della strada, raccoglitori di immondizia.
Qui a Delhi, assieme ai migranti dell’Uttar Pradesh, i bihari rappresentano realisticamente la sezione sociale degli ultimi, il primo gradino della piramide alimentare del progresso. Tanto che dare del «bihari» a qualcuno, per i delesi bene, equivale ad un insulto. Bihari poveraccio.
Nel frattempo, in Bihar, due mandati consecutivi alla guida dello stato di Nitish Kumar (leader del Janata Dal United, Jdu) dalla prima metà degli anni Duemila introducevano nella gestione della Cosa Pubblica bihari un modello improntato su crescita ed equità sociale, con un’attenzione particolare ai bisogni primari delle classi disagiate.
All’epoca alleato del Bjp (quindi all’opposizione rispetto al governo federale dell’Inc a New Delhi), Nitish Kumar diventa la personificazione di un modello Bihar concorrente al modello Gujarat di Narendra Modi, registrando crescite da sogno (intorno all’8 per cento), una considerevole spinta in avanti nelle infrastrutture dello stato e – probabilmente il fiore all’occhiello della gestione Kumar – un incremento della scolarizzazione, soprattutto femminile. La distribuzione di biciclette nelle zone rurali, considerando la conseguente discesa a picco dei tassi di rinuncia agli studi, ha avuto e continua ad avere un che di miracoloso.
I successi del passato hanno contribuito a consolidare la posizione di Kumar tra la popolazione locale, facendogli valere la fama di politico giusto, laico e in contatto con la sua gente.
Durante le scorse elezioni nazionali, a metà del 2014, il matrimonio di convenienza tra Kumar e il Bjp va in frantumi e il leader del Jdu si presenta a capo dell’Armata Brancaleone del Third Front, un’ammucchiata di primedonne della politica che non avrebbe mai avuto alcuna speranza contro la fabbrica dei sogni di NaMo. E infatti viene spazzata via dalla cosiddetta Modi Wave.
La sconfitta in Bihar alle nazionali sembra aver messo fine a un ciclo, archiviato un modello vincente a livello locale pronto ad essere sostituito da quello panindiano di «vikas» (progresso, in hindi, parola d’ordine dell’Era Modi), una ricetta nazionale che prevede la ripartenza dell’economia indiana grazie a un nuovo assetto da Fabbrica del Mondo – semplificazione burocratica e fiscale, soprattutto, assieme a diminuzione dei diritti dei lavoratori e a un’elasticità pericolosa sulla tutela ambientale – così da far convergere nel paese fiumi di investimenti stranieri che porteranno a cascata posti di lavoro, benessere e felicità.
Il tutto, ritirando la mano dello stato, tagliando la spesa pubblica e facendo fare «naturalmente» al privato quello che prima faceva la macchina governativa di stampo socialista.
Ma il mantenimento delle promesse di Modi, a un anno e mezzo dai primi sintomi di annuncite, sembra ritardare ben oltre la soglia della pazienza elettorale: di posti di lavoro nuovi non ce ne sono, di investimenti sì ma ben lontano da quanto auspicato, e nel frattempo si intensificano gli scontri intercomunitari, avanza l’intolleranza estremista hindu, si susseguono dichiarazioni incendiarie di leader del Bjp che giocano alla polarizzazione del voto fino a fare dell’esito elettorale in Bihar – che azzardo! – un referendum sull’operato di Modi, una professione di fede ai dettami della destra hindu.
«Se perderemo, in Pakistan faranno festa» ha detto una decina di giorni fa Amit Shah, braccio destro di Modi fin dai tempi dell’amministrazione Gujarat e ora presidente del Bjp.
Dall’altra parte della barricata, Nitish Kumar, Lalu Prasad (del Rashtriya Janata Dal, Rjd) e l’Indian National Congress formano una versione ridotta del Third Front (soprannominata dalla stampa «Mahagathbandhan», Grande Alleanza) basandosi su un calcolo aritmetico – si dice fatto dallo stesso Kumar – che avrebbe assicurato i consensi di chi non si riconosce nel piano di sviluppo filo-hindu del Bjp: dalit, tribali, caste basse e musulmani. E il resto ce lo giochiamo.
Mentre le ultime fasi del voto si consumavano in Bihar, a livello nazionale prendeva piede la protesta contro l’intolleranza del governo e dei suoi alleati più a destra, organizzazioni e partiti dell’Hindutva, contribuendo a caricare di simbolismo il risultato delle urne.
Il Bjp ha continuato imperterrito a pre annunciarsi vincitore, ostentando una sicurezza evidentemente malriposta che avrebbe dovuto rafforzare i consensi in Bihar. Un teatrino che si è rivelato tale nella tarda mattinata di domenica, quando tutti i canali all news indiani stavano già iniziando a descrivere l’ennesima vittoria – di misura – del Bjp ben prima che uscissero i primi exit poll, basandosi su proiezioni del voto mai così sfasate.
Coi primi dati dalle urne si è capito le cose sono andate diversamente, fino ad arrivare a quello definitivo, schiacciante: 178 seggi della coalizione contro i 58 del Bjp.
Mentre l’entità della sconfitta si faceva più chiara, sono arrivate le prime bordate contro la politica del «divide et impera» del Bjp: Rahul Gandhi, tornato sugli schermi grazie alla resurrezione dell’Inc in Bihar, che tuona contro l’arroganza di Modi e gli consiglia di stare un po’ più in India al posto che starsene sempre un giro (una dichiarazione che solo un mese fa sarebbe stata coperta da un coro di pernacchie su scala continentale); Lalu Prasad che descrive Modi come un’attivista del gruppo estremista hindu Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) e «niente di più», minacciando battaglia prima in Uttar Pradesh e Bengala Occidentale (dove si voterà l’anno prossimo) e poi a New Delhi, in parlamento; Arvind Kejriwal, chief minister di New Delhi e leader dell’Aam Aadmi Party (Aap) che si congratula con la popolazione del Bihar che ha votato «contro l’intolleranza» del Bjp; lo stesso Nitish Kumar, come sempre pacatissimo è già in modalità «statista», che prende posizione a favore della protesta degli intellettuali.
Oggi, l’India si è svegliata con una nuova alternativa sul tavolo, per molti una speranza: un’alleanza ampia ed eterogenea che sappia mettere da parte le differenze e i personalismi in favore di un’opposizione dura sia a livello locale sia al parlamento centrale (dove, tra l’altro, la sconfitta in Bihar non permetterà al Bjp di aumentare il numero dei parlamentari del gruppo in Raja Sabha, la camera alta del paese, dove il partito di governo rimane in minoranza e dove si infrangono tutte le proposte di legge passate in Lok Sabha, la camera bassa) in grado di battere il modello neoliberista hindu del Bjp.
Servirà un’alchimia difficilissima da raggiungere e la sfida, in Bihar, inizia già da oggi. Inc, Lalu Prasad e Nitish Kumar dovranno dimostrare di essere coesi anche alla fine della campagna elettorale, senza pestarsi i piedi e governando il Bihar con una sorta di centralismo democratico: si discute, anche aspramente, a porte chiuse, ma quando si esce in pubblico la posizione è una sola, e a quella ci si attiene.
Ma rimane il fatto che l’elettorato del Bihar non ha più creduto alle promesse (ancora non mantenute) di Modi, segnando la fine dell’onnipotenza del Bjp in modalità campagna elettorale.
Modi, per la prima volta dall’inizio del suo mandato, si ritrova ora a dover governare in presenza di un’opposizione, a dover gestire una sconfitta: una novità assoluta per il personaggio, una Caduta degli Dei che ora sarà interessante vedere in evoluzione.
L’India ha scoperto che Modi non è imbattibile, che il suo «vikas» non è l’unica via percorribile dal paese e che, con enorme fatica, esiste uno spazio di manovra per proporre un’alternativa politica concreta che rinunci alle tensioni intercomunitarie come metodo di creazione del consenso e che provi a governare nel nome di tutti.
Dopo un anno e mezzo, ce n’eravamo quasi tutti dimenticati.
[Scritto per East online; foto credit: indianexpress.com]