Nel rimpasto di Gabinetto di domenica scorsa è brillato il grande assente di sempre, Rahul Gandhi. Il leader che tutti aspettano nel Congress anche questa volta ha deciso di tenersi alla larga da cariche di governo, deciso a rafforzare il suo partito. E forse non ha tutti i torti.
Sarebbe stato sorprendente – anche se non sconvolgente, giacché in politica tutto è possibile – vedere Rahul Gandhi entrare nel governo Singh con l’ultimo rimpasto di Gabinetto della scorsa settimana, considerando le consuetudini della famiglia a cui appartiene.
Con una sola eccezione, infatti, nessun membro della dinastia Nehru-Gandhi ha mai servito il Paese, né a livello regionale né a quello nazionale nel governo di altri: direttamente al vertice o niente. Una tendenza ricordata recentemente dal Sunday Guardian che ha messo in fila le storie politiche della famiglia più potente dell’India.
Non era affatto scontato, nel lontano 1937, che l’India sarebbe diventata indipendente dieci anni dopo; eppure Jawaharlal Nehru, allora il più noto leader delle United Provinces – il territorio che durante il Raj britannico corrispondeva grosso modo all’attuale Uttar Pradesh – non prese mai nemmeno in considerazione l’idea di guidare il primo governo del Congress che si formò nella regione, neppure come possibile trampolino verso la leadership nazionale post indipendenza. O i piani alti a Delhi o niente: non importa quanto tempo bisogna attendere o quanto desolante sia la situazione politica nel frattempo.
Da allora, l’unica eccezione alla regola familiare si verificò quando Indira Gandhi divenne ministro per l’Informazione e le Telelcomunicazioni nel governo di Lal Bahadur Shastri. Ma, nata per combattere ai massimi livelli com’era, si stancò comunque presto di una sfida così insignificante.
Divenne presidente dell’Indian National Congress nel 1959, quando il padre Jawaharlal Nehru era ancora vivo, e come tale svolse lo stesso anno un ruolo cruciale nella dismissione del primo governo comunista in Kerala, così come nella gestione del periodo che seguì alla sconfitta militare subita ad opera della Cina nel 1962.
Eppure non divenne mai ministro nel governo del padre, esempio seguito poi anche da suo figlio Rajiv, che non considerò mai necessario entrare nel suo, nemmeno per allenarsi un po’ all’incarico che l’attendeva.
La sua vedova, Sonia Gandhi, non potè diventare Premier nel 2004, ma Manmohan Singh, che lo fece al posto suo, sarebbe stato certamente felicissimo di continuare a guidare solo le Finanze in un suo governo.
Come di consueto, prima di un rimpasto si scatenano indiscrezioni e pettegolezzi di ogni genere, e così molti avevano immaginato che questa volta Rahul stesse pianificando di volare verso il futuro seduto sul comodo tappeto magico del ministero degli Esteri, che poi ovviamente non è comodo affatto.
Ma, come detto, in famiglia ci si siede solo alla guida del governo nazionale, tutt’al più a quella dell’opposizione, come accadde a suo padre Rajiv tra il 1989 e il 1991. Se dopo le prossime elezioni del 2014 anche a Rahul dovesse succedere di trovarsi in quei frangenti, il ruolo gli proporzionerà comunque l’affetto dell’elettorato e una vitale esperienza in presa diretta sulla complessità del governare in India.
Ed è forse proprio a questo scenario che si sta preparando principalmente Rahul Gandhi, valutando le problematiche interne al Congress molto più accuratamente di quanto sembra stiano facendo i veterani del partito, compresa la sua stessa madre.
La corruzione dilagante e la modesta performance del governo di Singh con ogni probabilità peseranno parecchio nelle urne del 2014; ma un eventuale risultato negativo potrebbe essere ulteriormente aggravato dal sostanziale collasso avvenuto nel frattempo nella struttura stessa del Congress, che a livello regionale scompare regolarmente in caso di sconfitta: peso massimo quando è al potere, diventa peso piuma quando lo perde.
Il fenomeno è dovuto in parte alla Teoria dell’Onda, cioè quell’idea radicatissima nel partito secondo la quale si crede che l’elettorato indiano identifichi a priori il Congress con governi genericamente solidali e stabili, piuttosto che con un’entità organizzata portatrice di una specifica ideologia, e pertanto non si perde tempo a consolidare quest’ultima.
Ma non è un caso se invece le formazioni maggiormente ideologizzate, quali sono il BJP o le Sinistre, godano di una base assai più organizzata e fedele di quella del Congress.
E’ quindi perfettamente logico che Rahul, che può ragionevolmente attendersi di avere davanti a sé almeno altri tre decenni di attività politica, preferisca con lungimiranza occuparsi ora del problema e prepararsi così ad eventuali turbolenze.
Perché le tempeste che minacciano il Congress metteranno alla prova non soltanto le abilità del capitano, ma anche la solidità della sua nave e al momento il Congress imbarca acqua come un gommone bucato.
I tentativi di Rahul di tappare le falle nella chiglia, cominciando col rafforzarla a partire dal Youth Congress, fino ad ora non hanno avuto grande successo, ma è fondamentale che persista nel suo intento finchè i quadri non ne prenderanno atto e lo seguano nell’opera.
Vittoria e sconfitta sono eventi ciclici ed è bene che sia così. La coalizione che diede vita al governo Singh nel 2009, la UPA II, è ormai andata in pezzi, forse anche perchè ci si era illusi di aver guadagnato un posto permanente alla mensa del potere, ma un partito deve essere sempre pronto a sopravvivere anche alla sconfitta.
Dopo quella subita ad opera del Janata Party nel 1977, Indira Gandhi salvò il Congress grazie a due principali punti di forza: la sua straordinaria empatia coi diseredati indiani e soprattutto un’organizzazione di partito che non si era ancora polverizzata come quella attuale.
Ma, in caso di disfatta, Rahul non avrebbe nessuna di queste due carte da giocarsi e quelli che lo attendono potrebbero quindi essere giorni davvero duri, se non riuscirà nel suo intento di riorganizzare e rafforzare il Congress a livello nazionale. E non c’è rimpasto che possa nel frattempo alleviare la sua preoccupazione.
[Anche su GuidaIndia; foto credit: indiaeveryday.in]
*Alessandra Loffredo è fondatrice e redattrice di GuidaIndia