India – Immunità in bilico per Mancini

In by Simone

L’India ha alzato il livello della tensione, minacciando di non riconoscere l’immunità del nostro Ambasciatore. La partita si gioca sul filo del diritto e, tra due comunicati italiani apparentemente discordanti, salta fuori un precedente pericoloso per Mancini. Ecco la possibile strategia della Corte suprema.
La Corte suprema indiana, reagendo in modo scomposto all’affronto italiano del non-ritorno dei due marò in India, il 14 marzo ordina a Mancini di non lasciare il Paese, annunciando un’udienza in aula per il 18 marzo in cui lo stesso Ambasciatore – di persona o tramite avvocato – doveva spiegare alla Corte le motivazioni del mancato ritorno dei due fucilieri. Un atto dovuto: Mancini, firmando la deposizione che garantiva il mantenimento della parola dell’Italia, aveva messo nero su bianco che si sarebbe preso “full responsibility” degli eventi.

Successivamente, la Corte ha ordinato a tutte le autorità del Paese di non permettere a Mancini di lasciare l’India, eventualità che il nostro Ambasciatore non aveva mai preso in considerazione.
Il Ministro degli Esteri e quello degli Interni, spiegando di essere “vincolati” all’ordine della Corte, predispongono controlli in tutti gli aeroporti indiani. Mancini, libero di muoversi per tutto il territorio indiano, per lasciare il Paese necessiterebbe di un permesso speciale della Corte suprema.
Dopo essersi fatti scappare sotto al naso i due marò, i giudici indiani sono intenzionati a blindare l’Ambasciatore in India ad ogni costo.

L’ordine viene reiterato il 18 marzo, quando la Corte suprema sposta l’udienza del nuovo caso Mancini al 2 aprile. Le parole dei giudici sono durissime e spiegano che l’Ambasciatore italiano ha “perso la fiducia della Corte”.

Il Presidente della Corte suprema indiana Altamas Kabir, furioso, spiega all’avvocato di Mancini, mr. Rohatgi:

“Siete tornati in Italia dopo aver firmato una deposizione scritta. Non ci saremmo mai aspettate che l’Ambasciatore italiano potesse comportarsi in questo modo. […] La persona che è venuta a questa Corte in qualità di richiedente (petitioner, ovvero Mancini, ndt) non crediamo possa godere di alcuna immunità”.

L’affidavit firmato da Mancini, che aveva preso l’incarico di Ambasciatore a Delhi da poco più di due mesi, è diventato il nocciolo della nuova crisi diplomatica tra le due Nazioni.

L’Ambasciatore, in qualità di diplomatico, dovrebbe poter godere dell’immunità nei confronti della giustizia indiana, come sancito chiaramente dalla Convenzione di Vienna sull’immunità diplomatica del 1961. La libertà di movimento dei diplomatici in terra straniera e l’esenzione dalla responsabilità personale delle azioni del proprio governo – “ambasciator non porta pena” – sono alla base della storia della diplomazia mondiale.

Le autorità indiane sostengono però che Mancini, garantendo per i marò, si sia compromesso davanti alla Corte non in qualità di Ambasciatore, ma in quanto “individuo”. Perché la sua firma avesse il minimo valore contrattuale, ovvero “i marò vanno in Italia e io do la mia parola e me ne prendo piena responsabilità”, automaticamente l’immunità diplomatica doveva decadere, in quanto nel caso i marò non fossero tornati la Corte indiana non avrebbe avuto nessuna controparte, verificandosi una violazione del principio di parità delle parti, sancito dalla Costituzione indiana nell’articolo 14.

In sostanza: per l’India Mancini non poteva garantire per i marò e contemporaneamente proteggersi dietro lo scudo dell’immunità. Delle due l’una, altrimenti si sarebbe configurata una condizione di "impunità".

La mossa della Corte suprema può essere definita dura, provocatoria e biliosa, ma non ancora definitiva.
La Corte ha infatti lasciato intendere di essere intenzionata a non riconoscere l’immunità di Mancini, ma ha rimandato la decisione definitiva al 2 aprile, data del rinvio dell’udienza.

La questione è intricata e le autorità indiane hanno un margine di manovra legale molto limitato.
Innanzitutto, la scadenza della licenza per il voto dei due marò è fissata per il 22 marzo, tra tre giorni: fino a quel momento, la Corte suprema non ha il potere di agire legalmente in alcun modo, essendo la questione legale tecnicamente ancora aperta.

Ordinando al governo il controllo degli aeroporti – e il governo indiano è obbligato ad eseguire gli ordini della Corte suprema – i giudici hanno compiuto un azzardo, avvicinandosi pericolosamente alla violazione della Convenzione di Vienna. Ma, provando a mettersi nei panni della massima Corte di giustizia indiana, la forzatura potrebbe godere ancora oggi di lievi, ma pur sempre esistenti, basi di legalità.

Si tratta di un bluff, una minaccia estesa al nostro Ambasciatore, che finché non arriverà allo scontro con le autorità indiane di frontiera è destinato a vivere sulla graticola, appeso a un’immunità messa in discussione ma non ancora ufficialmente disconosciuta.

Se Mancini andasse all’aeroporto e pretendesse di uscire dal Paese facendo valere l’immunità diplomatica, solo allora la Corte suprema sarebbe costretta a pronunciarsi definitivamente, spiegando punto per punto, citando gli articoli e le leggi a sostegno della propria tesi, quali sarebbero le motivazioni del non riconoscimento dei diritti sanciti dalla Convenzione di Vienna.
Un’eventualità che, probabilmente, non si verificherà, col rischio di un’escalation dello scontro diplomatico a livello internazionale.

Proprio per evitare l’allargamento della disputa, ieri l’Unione Europea ha deciso di tirarsi fuori dai giochi. In una nota il portavoce dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Ue Catherine Ashton si è limitato ad esortare entrambi gli Stati al rispetto della Convenzione di Vienna, chiarendo che l’Ue “non fa parte della disputa legale” e “perciò non può prendere posizione”.

All’astuzia indiana ha risposto ieri la Farnesina con due comunicati: uno in inglese, inviato alle autorità di Delhi, e uno in italiano.

In quello in inglese si legge:

Any restriction to the freedom of movement of the Ambassador of Italy in India including any limitation to his right of leaving the Indian territory, will be contrary to the International Obligations of the receiving State to respect his person, freedom, dignity and function.

Una frase declinata al futuro, che lascia intendere le “obligations” non siano state ancora violate.
Le cose cambiano nella versione italiana, pubblicata qualche ora dopo sul sito della Farnesina:

1) VIOLAZIONE IMMUNITA DIPLOMATICHE: La decisione della Corte Suprema di precludere al nostro Ambasciatore di lasciare il Paese senza il permesso della stessa Corte costituisce una evidente violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche che codifica principi universalmente riconosciuti. Continuiamo a far valere anche formalmente questo principio, fondamentale per le relazioni tra gli Stati, e principio-cardine di diritto consuetudinario e pattizio costantemente ribadito dalla Corte Internazionale di Giustizia.

La frase stavolta è al presente. Per il pubblico italiano le violazioni sono già in corso.

Tutto ruota intorno all’articolo 32 della Convenzione di Vienna, che recita:

1. Lo Stato accreditante può rinunciare all’immunità giurisdizionale degli agenti diplomatici e delle persone che ne godono in virtù dell’articolo 37.

2. La rinuncia dev’essere sempre espressa.

3. Un agente diplomatico o una persona fruente dell’immunità giurisdizionale in virtù dell’articolo 37, che promuova una procedura, non può invocare questa immunità per alcuna domanda riconvenzionale connessa con la domanda principale.

4. La rinuncia all’immunità giurisdizionale per un’azione civile o amministrativa non implica una rinuncia quanto alle misure d’esecuzione dei giudizio, per la quale è necessario un atto distinto.

In virtù di tutto ciò, pare chiaro che senza un esplicito ritiro dell’immunità da parte dell’Italia, Mancini non rischi alcun pericolo. In particolare il paragrafo 4 dell’articolo 32 indica che la prima rinuncia  può valere per un giudizio cosiddetto di cognizione – "sei colpevole/sei innocente" – mentre per l’applicazione del giudizio cosiddetto d’esecuzione – "sei stato condannato quindi o vai in prigione o paghi una penale" – è necessario un secondo "atto di rinuncia distinto" che, ovviamente, non verrà mai accordato dal governo italiano.

Ma a rendere tutto ancora più incerto è spuntato fuori un precedente molto simile che, qui in India, ha visto negare l’immunità di uno Stato in condizione molto simili a quella italiana.
Lo ha scovato il quotidiano The Hindu lo scorso 16 marzo:

In Indian National Steamship Company v. Maux Faulbaum, the Calcutta High Court held that the Government of Indonesia in approaching the Calcutta High Court for relief had waived its sovereign immunity. Consistent state practice in other jurisdictions supports this view that when a state itself institutes proceedings before a foreign national court, it relinquishes its immunity. Italy, and by necessary implication its Ambassador, cannot, in law, be allowed to have its cake and eat it too.

Questo potrebbe essere l’asso nella manica della Corte suprema, la mano vincente in una partita giocata sul filo del rasoio destinata a risolversi il prossimo 2 aprile.

[Foto credit: telegraph.co.uk]