Media e social della Repubblica popolare commentano il terzo mandato del premier indiano, tra timori e accuse per le tensioni sul confine conteso al desiderio di mostrare le disfunzionalità della democrazia di Nuova Delhi
“Una tragedia”. Un utente di Weibo accoglie così la notizia che Narendra Modi resterà per altri cinque anni alla guida dell’India. È uno dei tanti, tantissimi, che commenta sui social media cinesi l’esito delle elezioni. Mercoledì l’argomento era tra i primi trend dei portali e aggregatori di notizie. Il tono non è esattamente celebrativo. Il primo ministro indiano è visto dai più come un nemico, pronto a rafforzare i rapporti con gli Stati uniti in ottica anti cinese. In molti danno a lui la colpa del nuovo picco di tensioni sulla frontiera contesa, sfociate in violenti scontri con decine di morti nel giugno 2020. Da allora, i diversi round negoziali non hanno prodotto accordi sostanziali e la situazione resta “volatile”. Durante la campagna elettorale, Modi non ha mancato di farsi vedere non lontano dalle regioni di confine. A marzo, è stato annunciato l’invio di un’unità di diecimila soldati negli stati indiani di Uttarakhand e Himachal Pradesh.
Molti additano poi la “misoginia indiana”. Nelle settimane e nei mesi del voto, sui social cinesi e internazionali (a partire da X) c’è stata un’ampia diffusione di video di violenze sulle donne. Pestaggi in pubblico, anche di gruppo. Nessuna coordinata spazio temporale certa, ma la sentenza unanime è che si tratti dell’India, desiderosi di mostrarne il volto peggiore.
Sui media di stato di Pechino, invece, si dà una lettura politica poco lusinghiera dei risultati ottenuti dal Bjp. “Modi ha vinto, ma ha comunque perso”, titola l’articolo più letto in materia sull’aggregatore di Weibo, che enfatizza il netto calo di consensi per un premier la cui azione potrebbe essere “congelata” nei prossimi anni. Le ragioni della battuta d’arresto vengono individuate nella “insoddisfazione per l’elevato tasso di disoccupazione”, ma anche nella “povertà e disuguaglianza”. Si sottolinea come al fianco del crescente numero di milionari, quasi il 90% della popolazione in età lavorativa indiana guadagni meno del reddito medio. La descrizione, funzionale a mettere in primo piano le disfunzionalità della democrazia indiana, è quella di un paese frammentato e socialmente ingiusto. Pervaso peraltro anche dall’odio interno, visto che si indugia sulla “divisione tra indu e musulmani” e dalla “presa di mira” del governo contro giovani, agricoltori e minoranze religiose. Contestualmente, si elogia l’opposizione e in particolare il Partito del Congresso per essersi preso in carico questi temi.
Il tabloid nazionalista Global Times sostiene che col Modi ter sia “difficile avere aspettative positive sulle relazioni bilaterali”. I timori non sono legati solo alla situazione del confine, ma anche al commercio, visto il programma Made in India e il tentativo di Modi di presentare l’India come un’alternativa al mercato cinese. Obiettivo assai arduo da raggiungere, anche perché come sentenzia l’analista Xu Juan, “queste elezioni sono un punto di svolta che trasformano Modi da leader forte a leader debole”.
Il governo cinese ha fatto comunque i complimenti al premier indiano, con una dichiarazione standard in conferenza stampa di Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri. Xi Jinping, che nel 2023 non si è presentato al G20 ospitato da Modi a Nuova Delhi, si prepara invece a ricevere il premier del Pakistan. Già, perché Shehbaz Sharif si trova in una visita di cinque giorni in Cina, che lo ha già visto passare per l’hub tecnologico di Shenzhen, città simbolo delle riforme economiche di quel Deng Xiaoping a cui di recente Xi sembra volersi richiamare. La coincidenza di tempi, voluta o meno, è senz’altro interessante perché ricorda all’India che la Cina sta coltivando con successo diverse amicizie nel suo vicinato. Comprese le Maldive, che col nuovo presidente hanno preso una linea molto favorevole a Pechino.
Anche Modi non ha mancato di lanciare un messaggio indiretto. Mercoledì, ha infatti risposto pubblicamente su X alle congratulazioni del neo presidente taiwanese Lai Ching-te, che Pechino considera un separatista. “Mi auguro che i legami si facciano più stretti”, ha scritto il premier indiano, “lavoreremo per una partnership economica e tecnologica reciprocamente vantaggiosa”. Modi sarà anche stato scelto da dio, ma di certo non dai cinesi.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.