La parabola dell’Aam Aadmi Party (Aap), il “partito dell’uomo comune” noto in Italia con l’approssimativa dicitura de “i grillini indiani”, in India è entrata decisamente nella fase discendente. Ed ecco che da secondo partito della capitale dopo il Bjp di Modi alle elezioni cittadine, dopo le elezioni nazionali sono emersi diversi problemi. Un’analisi del post-voto. Reduci dal successo inaspettato alle scorse elezioni locali di New Delhi, dove all’esordio emersero prepotentemente come seconda formazione politica nella capitale dopo il Bharataiya Janata Party (Bjp), il miracolo non si è ripetuto nella tornata elettorale nazionale, facendo venire a galla tutti i limiti di un partito proiettato a “terza via” politica del paese.
Il computo finale dei seggi vinti da Aap si è fermato ben al di sotto delle aspettative più catastrofiche: solo quattro seggi alla Lok Sabha (la camera bassa del parlamento centrale indiano), tutti vinti nello stato del Punjab. A New Delhi, pur migliorando in termini di voti assoluti la performance delle elezioni locali (33 per cento delle preferenze, contro il 28 per cento di alcuni mesi fa), negli scontri diretti coi candidati del Bjp sono stati spazzati via: su sette seggi disponibili nella capitale, tutti sono andati alla formazione della destra hindu nazionale.
Nel resto del paese l’incisività del “nuovo che avanza” si è confermata assolutamente marginale, con un misero 2 per cento dei voti totali, facendo venire al pettine i nodi che, dati alla mano, al momento impediscono al partito – formatosi dalla costola del Movimento Anticorruzione guidato da Anna Hazare – di presentarsi come un’alternativa plausibile all’elettorato disilluso dal fallimento dell’Indian National Congress e “troppo moderato” per votare il Bjp.
Secondo Vivek Kumar, professore di sociologia politica presso la Jawaharlal Nehru University di New Delhi, ad Aap manca un’organizzazione capillare sul territorio che possa andare oltre le sacche di benessere delle grandi metropoli indiane.
"New Delhi è piccola, un territorio facile da gestire, anche perché qui la gente ha la pancia piena. Ma se ci si muove fuori, nella campagna (quasi l’80 per cento del territorio indiano, ndr), tra le masse povere e disoccupate, nessuno lavorerà gratis per la campagna elettorale: hanno bisogno di soldi. Là non c’è la corrente elettrica, non si può fare campagna elettorale attaccati al pc” ha spiegato Kumar a China Files, riferendosi all’uso dei nuovi media e dei social network che ha contraddistinto Aap.
“Manca la rappresentanza delle fasce meno ricche, dei tribali, delle caste basse: nessuno ha mai speso una parola per loro. Li vedi in tv tutti eleganti e impettiti, questi “gora babu” (“ricchi bianchi”, riferimento ai burocrati inglesi dell’epoca imperiale) di Aap: e i rappresentanti degli “altri” dove sono?”
L’elettorato di New Delhi, roccaforte di Aap, non ha perdonato al proprio leader Arvind Kejriwal la caduta del governo locale della capitale, dove il partito dell’uomo comune guidava un esecutivo di minoranza con l’appoggio esterno del Congress di Sonia Gandhi.
Dopo 49 giorni di governo, spesi in una sorta di “rivoluzione continua” con sit-in di protesta e polemiche al posto di far passare istanze care al proprio elettorato come l’abbassamento delle bollette elettriche e il miglioramento della rete idrica, Kejriwal si è dimesso sbattendo la porta, polemizzando contro la legge federale che impedisce ai governi locali di legiferare in maniera indipendente su temi come la lotta alla corruzione.
Le dimissioni, secondo gli strateghi di Aap, avrebbero dovuto lanciare la campagna elettorale nazionale: un calcolo drammaticamente errato, per il quale lo stesso Kejriwal si è scusato – tardivamente – pubblicamente.
A fine maggio, davanti ai giudici che si stavano occupando delle accuse di diffamazione mosse contro Kejriwal da Nitin Gadkari (ex presidente del Bjp al quale Kejriwal aveva dato del ladro), il leader di Aap si è rifiutato di pagare la cauzione di 10mila rupie (intorno ai 120 euro), dicendosi pronto “ad andare in carcere per le proprie idee”, slogan di gandhiana memoria.
La Corte è stata quindi costretta a trasferirlo nel carcere di Tihar, dove ha soggiornato una manciata di giorni nella sostanziale noncuranza della stampa nazionale. L’ennesima prova di un partito “di disturbo”, immaturo, capace di mobilitazioni impressionanti a livello urbano ma completamente estraneo alla realtà rurale del paese.
E senza il voto delle campagne, insegna Modi col suo record di 282 seggi in parlamento (non succedeva da 30 anni, per un partito singolo), in India non si va da nessuna parte.
[scritto per Lettera 43; foto credit: indiatoday.in]