Una nave di supporto a operazioni di anti-pirateria è stata fermata al largo delle coste indiane, sospettata di aver acquistato illegalmente del carburante. Dopo l’Enrica Lexie, l’India si lancia in un nuovo caso internazionale che fa emergere la mancanza di coordinazione tra stati e lotta alla pirateria.
Le autorità indiane dello stato del Tamil Nadu – sud-est dell’India – dieci giorni fa hanno intercettato la Seaman Guard Ohio, nave battente bandiera della Sierra Leone ma di proprietà della AdvanFort, una società americana con sede in Virginia specializzata in operazioni anti-pirateria.
I controlli sono scattati quando la nave è entrata all’interno delle acque territoriali indiane – il cui limite è di 12 miglia nautiche – nei pressi del porto di Tuticorin, proprio di fronte alla costa nord-occidentale dello Sri Lanka, una zona di mare decisamente turbolenta tra contrasti nazionali sui diritti di pesca e il mercato di contrabbando di armi, carburante e migranti cingalesi.
La guardia costiera indiana, fatta rientrare la nave in porto, ha controllato carico e documenti, rilevando una serie di presunte irregolarità che mettono in luce il vuoto legislativo circa le operazioni private a contrasto della pirateria, un business che dal Golfo di Aden al largo della Somalia si estende per tutto l’Oceano Indiano fino a toccare l’estremo orientale del Golfo del Bengala, nei pressi dello Stretto di Malacca, braccio di mare dove le attività legate alla pirateria – non solo sequestri di navi, ma soprattutto contrabbando – sono molto diffuse.
Sulla Seaman Guard Ohio ci sono infatti 35 armi semi-automatiche, 5.680 munizioni e 1.500 litri di gasolio: un carico per il quale, stando alla versione delle autorità indiane, non sono stati prodotti i relativi permessi necessari una volta varcate le acque internazionali. Per questo, dopo due giorni di interrogatorio, è scattato il fermo per tutti i 35 membri dell’equipaggio, tra cui 25 guardie di sicurezza private: sei inglesi, 15 estoni, un ucraino e quattro indiani.
Gli uomini della nave sono accusati di aver violato una serie di leggi indiane inerenti al possesso di armi e materiale bellico a bordo e all’approvvigionamento di carburante. Dalla sede centrale di AdvanFort, negli Usa, negano ogni condotta irregolare: "Le armi a bordo sono tutte completamente legali. Sono tutte registrate. Sono state comprate legalmente e utilizzate per proteggere le navi nell’area ad alto rischio [pirateria]" ha spiegato il presidente di AdvanFort, William H. Watson, all’agenzia di stampa indiana Press Trust of India.
Secondo AdvanFort la Seaman Guard Ohio è un’imbarcazione di supporto operativo, ovvero provvede all’alloggio e al rifornimento di guardie private impegnate in operazioni anti-pirateria che transitano dalla nave di un cliente ad un’altra.
In un primo momento il problema, hanno spiegato ufficiali indiani alla stampa, è il riconoscimento delle guardie e delle loro operazioni davanti alla legge indiana applicata all’interno delle proprie acque. Se i documenti in possesso dell’equipaggio sono quindi validi in acque internazionali, non lo sono all’interno delle 12 miglia nautiche, dove subentrano le leggi nazionali in materia doganale e di contrabbando che l’India pare intenzionata ad applicare, lecitamente, alla lettera.
Negli ultimi sviluppi della vicenda, che proprio oggi (lunedì 21 ottobre) dovrebbe essere discussa davanti ad una Corte statale, le autorità indiane avrebbero arrestato cinque pescatori indiani accusati di aver venduto illegalmente proprio alla Seaman Guard Ohio quei 1.500 litri di carburante sospetti.
Al di là dell’aspetto burocratico, non è chiaro come mai la Seaman Guard Ohio abbia deciso di entrare nelle acque territoriali indiane, per giunta in una zona fuori dalla fascia cosiddetta “ad alto rischio pirateria”, che si ferma ufficialmente sulla costa ovest della penisola indiana (l’India, a fronte di attività di pirateria quasi inesistenti lungo i propri confini marittimi, da anni protesta in sede internazionale perché la zona venga ristretta lontano dalle proprie coste).
La nave americana sostenava addirittura di aver chiesto il permesso alla guardia costiera, in cerca di riparo dal ciclone Phailin; versione non confermata dalle autorità locali, che anzi fanno notare come il ciclone fosse attivo decisamente più a nord, lungo le coste dell’Andhra Pradesh e dell’Orissa. Oggi invece la AdvanFort ha avanzato accuse contro le autorità costiere indiane, colpevoli di aver attratto con l’inganno l’imbarcazione nelle acque territoriali.
La presenza di una nave carica di armi, munizioni e carburante entro le acque indiane è quindi risultata sospetta, aprendo nella peggiore delle ipotesi il dubbio di attività illecite come il contrabbando di materiale bellico o di gasolio.
Insomma, dopo il caso dell’italiana Enrica Lexie – diverso nella dinamica e sotto il profilo giurisdizionale – le attività internazionali anti-pirateria si scontrano con la sovranità territoriale indiana, facendo emergere nuovamente la mancanza di una piattaforma che coordini e regoli realmente a livello internazionale le attività delle milizie private adibite alla scorta e alla protezione dei cargo.
Un vuoto per il quale l’India non ha intenzione di sacrificare il diritto ad applicare le proprie leggi.