«State a casa!» esortava Modi circa una settimana fa, «se non state a casa, moriremo tutti». Ma è l’esatto opposto il pensiero che assilla centinaia di migliaia di lavoratori migranti rimasti bloccati dalle misure di lockdown: «se non torniamo a casa, moriremo tutti». In India, secondo l’ultimo censimento del 2011, sono circa 140 milioni gli uomini soli, o in famiglia, che lasciano ogni anno la campagna, per cercare lavoro in città, talvolta a migliaia di chilometri da casa.
STIPATI IN BARACCOPOLI ai margini delle metropoli, lavorano per poche centinaia di rupie al giorno, nei cantieri, come venditori ambulanti, spazzini o conducenti di risciò.
Senza contratto di lavoro, non hanno nessuna protezione sociale e uno scarso accesso ai servizi sanitari. In queste condizioni anche solo poche settimane di lockdown significano morire di fame.
Per questo, dopo l’ordine del primo ministro di cessare le attività economiche non essenziali, in molti hanno pensato che avrebbero avuto più possibilità di sopravvivere tornando nei loro villaggi dove possono contare sull’agricoltura di sussistenza. Abituati a farlo ogni qualvolta il lavoro viene a mancare, questa volta è anche la paura di ammalarsi e di morire che li a spinti a tornare.
Nei giorni scorsi sono diventati virali i video di masse che affollavano le stazioni ferroviarie e di uomini che si arrampicavano disperatamente su qualsiasi treno disponibile, ma nel giro di poche ore dall’annuncio del blocco, i mezzi di trasporto pubblico sono stati bruscamente cancellati. Coloro che non sono riusciti a partire sono rimasti bloccati nelle stazioni ferroviarie, senza lavoro, senza soldi, senza tetto e lontani dalle loro famiglie. Tornare a casa è anche quello che hanno cercato di fare negli stessi giorni migliaia di cittadini indiani che si sono imbarcati dall’estero.
La grande differenza è che, nel loro caso, il governo ha ritenuto opportuno organizzare rimpatri e consentire che voli provenienti da paesi a rischio atterrassero in India nonostante le misure già annunciate. Secondo Modi, nonostante ci fosse il rischio di aumentare i contagi, i cittadini indiani provenienti dall’estero avevano il diritto di tornare a casa e ricongiungersi alla propria famiglia. Le stesse cortesie però non sono state adottate per i milioni di migranti rimasti bloccati all’interno del paese.
IL DIVERSO TRATTAMENTO non è sfuggito ai media, scatenando le reazioni dell’opinione pubblica, tanto che nel fine settimana alcune compagnie aeree private si sono offerte di operare voli da Mumbai a New Delhi. Il governo dell’Uttar Pradesh ha organizzato 1.200 autobu, con conseguene assalto ai mezzi, non sufficienti per tutti.
D’altra parte, è stato chiaro sin dal primo discorso di Modi sulla crisi del Covid-19 che non tutti i cittadini indiani rientrassero nel suo piano di gestione dell’emergenza.
Il primo ministro ha insistito sulla necessità di praticare misure di distanziamento senza affrontare il problema degli alloggi di fortuna sovraffollati da lavoratori indigenti.
Quando si è rivolto alla nazione per la seconda volta, il 24 marzo, il suo messaggio è diventato ancora più evocativo: «restate dove siete». Per migliaia di persone questo ha significato affidarsi solo alla generosità della società civile cui anche Modi si è appellato. Qualche giorno dopo, il ministro delle finanze Nirmala Sitharaman ha presentato un piano da 20,6 miliardi di euro (circa 1% del PIL) indirizzato ai più indigenti.
QUESTO DISPOSITIVO mira a garantire l’approvvigionamento alimentare per gli 800 milioni di persone più povere nel subcontinente per i prossimi tre mesi.
Inoltre, verranno erogati una serie di aiuti finanziari tra cui il versamento una-tantum di 2000 rupie (24 euro) a 87 milioni di agricoltori, di 1000 rupie (12 euro) a 30 milioni di anziani, vedove e portatori di handicap, il pagamento da parte dello Stato dei contributi previdenziali per i lavoratori delle società con meno di 100 dipendenti, e un fondo di 310 milioni di euro per sostenere i lavoratori del settore dell’edilizia.
Nonostante la bontà complessiva di queste misure, per ricevere gli aiuti pubblici promessi è necessario essere registrati nello stato in cui si lavora, requisito raramente soddisfatto dai lavoratori del settore informale, che tuttavia rappresentano l’80% dei lavoratori indiani secondo le stime più recenti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, 2016). Il ministro delle finanze non ha prospettato altre forme di sostegno ad-hoc, limitandosi a suggerire ai datori di lavoro che possono farlo di continuare a pagare i propri lavoratori giornalieri, mentre a livello locale invece si registra un’apertura, almeno sulla carta.
IL GOVERNO dello stato di New Delhi sta infatti valutando l’adozione temporanea di un regime di reddito di base universale per sostenere i lavoratori giornalieri e i piccoli imprenditori maggiormente colpiti dal blocco.
Nel frattempo, schiere di poveri lasciati alla deriva si sono incamminate lungo i bordi delle autostrade per raggiungere a piedi le proprie case, sfidando la fame e la polizia. Quanta strada li separa dal messaggio che il Mahatma Gandhi ha lasciato ai posteri: «In caso di dubbio e di confusione pensa alla persona più vulnerabile che conosci e chiediti quali siano le misure che migliorerebbero la sua vita e la sua libertà».
Di Floriane Bolazzi
[Pubblicato su il manifesto]