Le morti di Richard Loilam e Dana Sangma, due studenti del nord-est indiano vittime di discriminazione razziale, rilanciano il tema dell’integrazione nelle università indiane. Cortei in tutta la nazione chiedono giustizia per i due giovani studenti, vittime di pregiudizi fortemente radicati nella gioventù del boom indiano.
Due morti violente in una settimana, e lo spettro della discriminazione razziale torna a scuotere la società indiana.
Il 18 ed il 24 aprile due studenti provenienti dagli stati del nord-est, quell’appendice di India incavata tra Birmania, Bangladesh, Cina e Bhutan, vengono trovati morti nei loro alloggi di due prestigiose università indiane.
Richard Loitam, originario del Manipur, aveva 19 anni e studiava architettura presso la Acharya School di Bangalore, capitale dello stato meridionale del Karnataka.
Il personale dell’istituto affiliato alla Bangalore University il 18 aprile trova il corpo dello studente steso a letto col viso tumefatto. Ma le autorità, inizialmente, cercano di insabbiare il caso, parlando prima di una morte per overdose – ipotesi subito respinta dai famigliari e dagli amici della vittima, che sembra non facesse uso di stupefacenti e fosse uno studente modello.
L’università modifica ancora la propria versione dei fatti, accusando Loitam di aver rifiutato un ricovero ospedaliero a seguito di un incidente in moto in cui era rimasto coinvolto due giorni prima del decesso. Le ferite riportate dalla caduta, dicevano, avrebbero portato ad un’emorragia interna, fatale solo 48 ore dopo.
Ma anche questa volta la ricostruzione si rivela artefatta: gli amici di Richard non ricordano ferite particolari dopo l’incidente stradale. Le cose erano andate diversamente.
La famiglia della vittima, riportando la versione di alcuni testimoni, racconta che Richard la sera del 17 aprile si era scontrato duramente con altri studenti del dormitorio, in una lite per decidere il match della Indian Premier League – il campionato nazionale di cricket, seguitissimo in India – da seguire in televisione.
Due studenti all’ultimo anno avrebbero pestato brutalmente Richard “sbattendogli ripetutamente la faccia contro le inferiate di metallo delle finestre del dormitorio”, si legge nella pagina Facebook Justice for Loitam Richard, che in questo momento conta quasi 185mila membri.
I famigliari di Loilam hanno quindi accusato le autorità di Bangalore e l’amministrazione dell’università di voler insabbiare il caso a causa della provenienza di Richard, rilanciando il tema della discriminazione che gli abitanti degli stati periferici del subcontinente indiano costantemente subiscono in contesti urbani nel resto del Paese.
Solo due giorni fa la polizia di Bangalore ha annunciato i preparativi del mandato d’arresto per due studenti dell’Acharya School – precedentemente espulsi dall’università – accusati di aver “colpito in faccia” Loilam la sera della rissa. Per formalizzare l’arresto si attendono i risultati definitivi della scientifica.
A quasi 1745 km di distanza, nella capitale Delhi, il 24 aprile la 21enne Dana Sangma, al primo anno di master in business presso la Amity University, viene trovata morta all’interno del dormitorio. La giovane studentessa, accusata di aver utilizzato il cellulare durante un esame, non ha retto la pressione psicologica e si è impiccata al ventilatore della sua stanza.
Durante l’esame, sostenuto da una ventina di studenti, Dana era seduta in prima fila. Il professore incaricato di sorvegliare gli studenti, raccontano gli amici di Dana, accusa Dana di sbirciare al telefono e la riprende violentemente davanti a tutti i compagni. Dana si dice innocente, il telefono era in tasca, non poteva copiare. Ma il sorvegliante non vuole sentire ragioni, sequestra il telefono e annota il comportamento scorretto sotto il foglio della studentessa.
Dana, umiliata ed offesa, riceve il telefono poche ore dopo. Chiama a casa e racconta della presunta ingiustizia subita. Poco dopo, si suicida usando la sua dupatta – il velo usato in India per coprire il capo o la sagoma del seno – come cappio.
In un altro contesto, il suicidio di Dana si sarebbe aggiunto alla serie di tragedie che coinvolgono troppo spesso i giovani figli del boom indiano, schiacciati sotto il peso delle aspettative di eccellenza famigliari e da una competizione malsana all’interno delle università più prestigiose del Paese.
Ma Dana, dai tratti tipici del sud-est asiatico, era la nipote di Mukul Sangma, chief minister dello stato orientale di Meghalaya, una delle sette sorelle del nord-est indiano.
Era stato proprio Sangma, riporta l’Indian Express, a convincerla a trasferirsi a Delhi per proseguire gli studi. Ed è proprio Mukul Sangma ora ad alzare la voce contro le continue discriminazioni subite dagli studenti del nord-est.
“Non è solo il caso di Dana, altri studenti e giovani del nord-est mi hanno raccontato delle quotidiane discriminazioni che sono costretti a subire nella capitale”.
Sangma ha portato la questione all’attenzione del governo, accusando il sorvegliante di aver costretto al suicidio la nipote “a seguito di gravi atti discriminatori” e chiedendo che vengano presi provvedimenti assieme alla promulgazione di una legge ad hoc per tutelare gli studenti del nord-est nel resto dell’India.
Nel frattempo decine di gruppi studenteschi hanno sfilato nelle maggiori università del Paese, chiedendo giustizia per le morti di Richard e Dana.
Gli indiani provenienti dai sette stati del nord-est – Meghalaya, Assam, Arunachal Pradesh, Nagaland, Manipur, Tripura e Mizoram – hanno tratti somatici peculiari: chiari di carnagione, occhi a mandorla, possono spesso essere scambiati per cittadini del sud-est asiatico.
A causa di queste differenze estetiche, che si vanno ad aggiungere a tradizioni e lingue che non hanno nulla in comune col resto del subcontinente, sono considerati spesso cittadini di serie b, costretti a vivere ghettizzati nelle grandi metropoli e nei campus universitari.
Una condizione dettata da pregiudizi razziali e, soprattutto, dall’ignoranza.
Uno studente del Manipur residente a Bangalore, intervistato da NDTV, ha spiegato: “Abbiamo la pelle diversa e spesso gli altri studenti ci scambiano per stranieri. Quando dico che sono indiano, sono del Manipur, mi rispondono: ‘Manipur? E dov’è il Manipur?‘”