Quando arriverà una parvenza di Liberazione sessuale questo paese farà grandi cose. Nell’attesa, si continua a rimestare nel torbido della cosiddetta "morale indiana" applicata alle attività sessuali di 1,2 miliardi di persone. Di India e di pudore avevo già scritto molti mesi fa e nell’Anno Domini 2014, a livello istituzionale, siamo ancora fermi allo stadio di incomprensione di una realtà sessuale in continuo cambiamento. Siamo fermi alla foto di Twin Peaks qui sotto: ci si rende conto del problema e si avanzano ipotesi risolutorie grottesche.
L’estensore dell’ultima proposta con caratteristiche hindu di gestione della deflagrazione ormonale del paese – centinaia di milioni di ragazzi e ragazze alle prese con la più atavica delle pulsioni umane, una pentola a pressione sessuale di dimensioni probabilmente inedite nella Storia – è il dottor Harsh Vardhan: attivista delle Rss sin dall’infanzia, esponente di spicco del Bjp, candidato della destra hindu al governo locale di New Delhi, da poco più di un mese ministro della Salute del governo Modi.
In un’intervista al New York Times, una manciata di giorni fa, si è augurato che l’opera di sensibilizzazione del governo in tema di Aids e malattie trasmesse sessualmente si concentri meno sulla promozione dell’utilizzo del preservativo, dando maggiore importanza al concetto di "integrità delle relazioni sessuali tra moglie e marito, parte della nostra [degli indiani] cultura".
Esponendo meglio il proprio pensiero, Vardhan spiega: "La spinta delle nostre campagne di sensibilizzazione sull’Aids non dovrebbe comprendere solamente l’utilizzo dei preservativi. Questo manda un messaggio sbagliato: puoi avere ogni tipo di relazione illecita (dice proprio "illicit", ndr) ma finché usi il preservativo va tutto bene".
(Nota: grazie alla promozione del preservativo, dal 2001 al 2010 l’ndia ha dimezzato la diffusione dell’Aids; l’India attualmente è il terzo paese al mondo per malati di Aids – 2,1 milioni – dietro a Sudafrica – 6,1 milioni – e Nigeria – 3,4 milioni – dice il New York Times).
La frase di Vardhan, nel mondo reale dove viviamo tutti noi, rimane di una gravità sconcertante nonostante la rettifica del ministro, che due giorni dopo ha specificato di "non essere contro i preservativi", ma anche – e la strategia del "ma anche" è centrale nell’opera moralizzatrice del Bjp – di voler salvaguardare gli "indian values", pietra angolare della destra ultranazionalista. I mali della società contemporanea, secondo il Bjp, vengono dall’adozione di "costumi occidentali" estranei alla tanto sbandierata "cultura indiana" pre imbastardimento (musulmani, colonialismo inglese, società globalizzata).
Lasciando perdere la ridicolaggine storica della posizione espressa da Vardhan e senza tirare in ballo il Kama Sutra, le statue di Khajurhao e gli innumerevoli passaggi sessuali nella mitologia ed epica hindu – sui quali si può aprire un dibattito circa l’influenza della pudìca Inghilterra vittoriana sul concetto di sesso ricreativo nell’India moderna – la posizione del ministro è in plateale controtendenza rispetto alle pulsioni umane che accomunano – con buona pace dei bigotti, egualmente distribuiti a destra, centro e sinistra in India – i giovani indiani a quelli del resto del pianeta.
Un po’ di numeri: Ira Trivedi, autrice di India in Love: Marriage and Sexuality in the 21st Century, in un bellissimo articolo pubblicato da Outlook India tra le altre cose dice che, secondo le ricerche condotte, nelle grandi città indiane il 75 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha rapporti sessuali prima del matrimonio; sempre il New York Times, in un articolo dell’aprile 2013, indica che tra il 2004 e il 2013 la ricorrenza della parola "porn" nelle ricerche su Google è quintuplicata, mentre New Delhi, nel 2012, è stata la città al mondo dove – rispetto al numero di abitanti – gli internauti hanno cercato di più la parola "porn" sui motori di ricerca, seguita a ruota da Dallas.
La buona notizia è che i giovani indiani urbani – quelli che dovranno cambiare le cose, da queste parti – se ne fregano alla grande dei moralismi della propria classe dirigente e, appena possono farlo lontano da occhi indiscreti, in linea coi coetanei del resto del pianeta, godono. Da soli o in compagnia, godono e grazie a Dio non smettono.
La cattiva notizia è che di fronte alla naturale evoluzione della sessualità in India, la classe dirigente si rifiuti categoricamente di facilitare il processo – irreversibile – di cambiamento, opponendo una vana resistenza moralizzatrice che (attenzione, qui iniziano valutazioni psicologiche spicciole) fa solo ed esclusivamente danni.
Prendiamo il paradigma di Vardhan "contro le relazioni illegali, viva il sesso tra marito e moglie": secondo quale criterio una relazione è legale o illegale? Perché deve essere questo tipo di moralità hindu (questo tipo, specifico, poiché c’è tutto in induismo parallelo che col sesso non ha mai avuto problemi di sorta) a definire il legale e l’illegale? Chi ha deciso che la Rss e il Bjp detengono il monopolio degli "indian values"? E, soprattutto, perché i valori indiani devono riflettersi sulle politiche istituzionali laiche?
E ancora: definire lecita una relazione sessuale post matrimoniale a discapito di tutte le altre (pre matrimoniali, omosessuali) mette sullo stesso piano due aspetti che è bene rimangano invece separati e, contemporaneamente, tutelati: l’ormone e la famiglia; la voglia di divertirsi e la decisione di sposarsi.
Così facendo si alimentano due enormi contraddizioni indiane: sposarsi per poter finalmente fare sesso (o, peggio, fare sesso ed essere costretti a sposarsi); considerare il sesso come una delle mansioni della donna nella coppia, aprendo tutta una serie di reati non sanzionati come lo stupro che il marito infligge alla moglie non consenziente.
In quest’ottica la donna continua ad essere "proprietà", oggetto non senziente destinato a soddisfare le pulsioni dell’uomo, da un lato incentivate e stravolte dal soft porn onnipresente nelle produzioni della cultura di massa come Bollywood e la tv generalista, dall’altro ostacolate e sopite da una società dei costumi di un bigottismo fuori tempo massimo.
La costrizione a una doppia moralità genera mostri, brutalizzando i rapporti tra i due sessi e privando i giovani indiani sia dell’educazione sessuale "tecnica" (quella insegnata a scuola, che Vardhan nel suo manifesto programmatico per la città di Delhi avrebbe voluto abolire, sostituendola con lo yoga) sia di quella "affettiva".
La mancanza di esperienze sessuali e di coppia "lecite" prima del matrimonio non fa che complicare tutta la sfera delle interazioni uomo-donna, perpetrando il tentativo di apartheid continua tra ragazzi e ragazze in età da sperimentazione sessuale, scaraventandoli pochissimi anni dopo nella morsa delle obbligazioni culturali, l’obbligo del matrimonio. (Chiaro, si parla generalizzando, l’India è grande e piena di eccezioni virtuose, ma questa mi sembra possa essere "la regola").
Alcuni giorni fa su Twitter l’utente Overrated Outcast ha scritto:
You’re going to be a fucked up country when you teach your children that standing on your head is normal but wanting sex isn’t.
Impossibile dirlo meglio.
[Scritto per Elefanti a parte, su East online; foto credit: ibnlive.com]