Il Bharatiya Janata Party è il principale partito conservatore indiano. Legato a doppio filo con l’organizzazione paramilitare Rss, si sta preparando ad una stagione politica densa, nel tentativo di deporre il Congress al governo centrale. Ma i dissidi interni rischiano di far saltare ogni piano.
Se da una parte gli osservatori più critici guardano al Congress di Sonia Gandhi come ad una società a conduzione familiare, dall’altra il Bjp, attualmente presieduto da Nitin Gadkari, potrebbe venire allora indicato come una società fantasma, i cui amministratori esistono solo sulla carta e i cui effettivi azionisti risiedono a Nagpur, presso il quartier generale della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), l’organizzazione che ha fornito al partito una base ideologica sin dalle sue origini.
Ma mentre i membri della famiglia Nehru-Gandhi hanno sempre dovuto affrontare il giudizio elettorale della popolazione indiana, direttamente o per interposta persona che fosse, i dirigenti della Rss hanno determinato costantemente i destini del maggior partito della coalizione di centro-destra del Paese, la National Democratic Alliance (Nda), con poche eccezioni fino ad ora, ma dichiarandosi formalmente apolitici e rimanendo al di fuori dell’agone elettorale.
Sebbene siano pochi i membri del Bjp che non provengano dalle fila dell’organizzazione, col tempo si è però venuto a creare un conflitto tra i suoi rappresentanti regolarmente eletti e quelli invece direttamente scelti dalla Rss, conflitto che sta rischiando di sconquassare ora il partito dal suo interno.
Nitin Gadkari, sostanzialmente un outsider fino alla sua nomina a presidente del Bjp, venne infatti scelto dalla dirigenza della Rss per succedere a Rajnath Singh nel 2009, dopo la sconfitta della Nda alle elezioni generali, mentre la vecchia e la nuova guardia del partito erano occupate ad accusarsi a vicenda del fallimento riportato nelle urne e l’anziano e sconfitto candidato premier LK Advani, classe 1927, rifiutava di farsi da parte una volta per tutte.
Al quartier generale della RSS, con ogni probabilità si sperava che attraverso l’elezione di un fedele e bonario militante dell’organizzazione qual è Gadkari si potessero dirimere più facilmente le dispute tra le numerose correnti del partito, arginare gli eccessivi protagonismi di alcuni esponenti di spicco e allo stesso tempo riaffermare la supremazia dell’organizzazione al suo interno.
Operazione il cui risultato dev’essere stato giudicato positivamente, se solo lo scorso settembre si é giunti ad emendare l’articolo 21 dello statuto interno del partito, che precedentemente vietava la rielezione consecutiva alle cariche di livello nazionale, proprio allo scopo di permettere a Gadkari di ottenere un secondo mandato alla presidenza, in scadenza il prossimo dicembre.
Poi però sono cominciate a piovere le accuse di malversazioni, rivolte al presidente in primo luogo dall’apposito Arvind Kejriwal, transfugo di India Against Corruption (Iac), alle quali in seguito se ne sono aggiunte altre ancora più pesanti in merito a sospetti finanziamenti ottenuti dalle imprese di Gadkari.
E mentre sfumava così il pulpito dal quale poter attaccare nuovamente la famiglia Gandhi e il Congress, questa volta a causa delle controverse attività finanziarie del generissimo Robert Varda, il Bjp si spaccava letteralmente in due a proposito di quelle del proprio presidente, tra coloro che ne hanno chiesto le dimissioni immediate e quelli che invece ne rivendicano l’innocenza fino a prova contraria.
Nel mezzo, la dirigenza della Raa, che alterna la necessità di tenere alto il baluardo del dharma e della retta condotta, fustigando corrotti e corruttori, con quella di arginare per quanto possibile l’irresistibile ascesa all’interno del Bjp del partito personale di Narendra Modi.
Un ascesa che verrebbe assai favorita da un’ignominiosa uscita di scena di Gadkari proprio a dicembre, giusto quando l’uomo forte del Gujarat potrebbe con ragione rivendicare la candidatura a premier per le elezioni del 2014 sull’onda del successo quasi scontato che riporterà per la terza volta consecutiva nelle imminenti elezioni del suo Stato. Una candidatura a favore della quale lo stato maggiore della Rss ha però fino ad ora negato il proprio appoggio ufficiale.
Non ha invece negato alcun appoggio a Gadkari, per il quale la dirigenza della Rss si è affrettata ad istituire una sorta di commissione interna per vagliare tanto le accuse rivoltegli quanto i documenti apportati dal presidente in sua difesa, per poi scagionarlo pubblicamente per bocca di uno dei massimi dirigenti dell’organizzazione, l’ideologo S. Gurumurthy, in coro con i capigruppo di camera alta e bassa del Bjp, Arun Jaitley e Sushma Swaraj.
Così come Madhav Govind Vaidya, altro ideologo della Rss, non ha esistato ad accusare Modi dalle pagine del suo blog di essere il mandante dell’attacco orchestrato ai danni Gadkari, un’opinione immediatamente respinta da Gadkari stesso ed etichettata come strettamente personale da parte della dirigenza Rss, ma intanto fatta abbondantemente circolare.
Nel frattempo in Karnataka BS Yeddyurappa, ex premier locale dimessosi la primavera scorsa proprio su richiesta di Gadkari a causa di accuse di corruzione, chiede a nome di un nutrito manipolo di parlamentari che il presidente del Bjp segua ora il suo esempio, minacciando in alternativa la scissione del partito nel suo Stato, che andrà alle elezioni il prossimo aprile.
Dimissioni chieste a gran voce anche da Ram Jethmalani, considerato molto vicino a Modi, parlamentare di spicco ed avvocato difensore nei più scottanti casi nazionali degli ultimi decenni – dagli assassini di Indira e di Rajiv Gandhi al terrorista superstite degli attacchi di Mumbai del 2008.
Volto laico e garantista del partito, minaccia di dimettersi se Gadkari resterà presidente e se non verrà sostituito da Modi. Si sono schierati con lui anche altri pezzi da novanta del Bjp, quali Jaswant Singh e Yashwant Sinha, mentre suo figlio Mahesh, anch’egli nella dirigenza nazionale del partito conservatore hindu, ha già rassegnato le sue dimissioni in protesta.
I motivi palesi per i quali la RSS si opporrebbe alla candidatura a premier di Modi sarebbero molteplici, ma primo fra tutti sembra emergere il timore che le lugubri ombre del pogrom del 2002 ai danni della popolazione musulmana del Gujarat, che sempre accompagnano Modi, possano oscurare i temi chiave della campagna elettorale contro il Congress: corruzione, inflazione, mancato sviluppo ed economia stagnante.
In secondo luogo la candidatura del devoto Modi potrebbe esporre il Bjp a troppo facili insinuazioni rispetto alla laicità del principale partito della coalizione di centro-destra, requisito non solo formalmente richiesto dalla Costituzione ma incidentalmente anche imprescindibile per attrarre il voto delle minoranze.
In terzo luogo, sulla stampa indiana si fa presente la fortissima avversione personale esistente tra Narendra Modi e Nitish Kumar, attuale premier del Bihar e leader del partito Janata Dal – United (Jdu), tra i principali partiti alleati del Bjp a livello nazionale (ma che in Gujarat corre da solo, appunto).
Inimicizia che ha portato i due politici fino al punto di scambiarsi per anni veti incrociati di presenza durante le rispettive campagne elettorali nei propri Stati, veto peraltro recentemente aggirato da Modi con la scusa di porgere personalmente le condoglianze alla famiglia di un esponente di spicco del Bjp appena scomparso in Bihar: giunto a sorpresa a Patna lo scorso 5 novembre per una visita di sole 2 ore, è stato accolto da una folla osannante che lo ha acclamato come prossimo premier indiano.
Ma il vero motivo potrebbe essere proprio l’impossibilità della Rss di consigliare Modi dalle stanze di Nagpur a causa dell’eccessiva autoreferenzialità del personaggio, della sua notevole popolarità e dell’estrema personalizzazione che ha caratterizzato la sua storia politica.
Anche Modi, come Gadkari, si è fatto le ossa all’interno dei plotoni della Rss e dovrebbero quindi entrambi ben sapere che in ogni organizzazione di stampo paramilitare che si rispetti il grado ed il regolamento hanno sempre la meglio sull’individuo ed il carisma personale. Le insubordinazioni e le fughe in avanti non autorizzate non sono mai tollerate, se non giustificabili da una strategia risultata vincente a posteriori.
Gadkari farebbe dunque bene a dimettersi al più presto, indicando come suo successore Arun Jaitley, Sushma Swaraj o persino l’ormai ottantacinquenne Advani – i primi due di comprovata fede Rss, mentre a partire dal 2005 Advani si è ripetutamente scontrato con i dettami dell’organizzazione – attualmente i più alti in grado sul campo del Bjp.
Oppure potrebbe anche restare, sparigliando però le carte con un baratto politicamente dignitoso, sostenendo cioè pubblicamente la candidatura di Modi a premier nel 2014. Non è un segnale da poco la notifica giunta recentemente tanto dal Regno Unito quanto dagli Usa della cancellazione del veto di ingresso per Narendra Modi, precedentemente emesso dai due Paesi a causa del suo presunto coinvolgimento nella tragedia del Gujarat del 2002.
Il BJP, creatura della Rss, sta dimostrando di non godere della stessa granitica coesione della madre e di aver per di più prodotto a sua volta alcuni nipoti totalmente autosufficienti e pieni di personalità: le correnti interne al partito non spariranno affatto al suono del fischietto o, peggio, allo schioccare della frusta.
La Rss dovrà quindi rassegnarsi a conviverci, puntando piuttosto sulla loro cooperazione e sperando che almeno una di esse, in caso di vittoria nel 2014, abbia ancora voglia di condividere con gli avi il potere acquisito.
[Anche su GuidaIndia; foto credit: newshopper.sulekha.com]
*Alessandra Loffredo è fondatrice e redattrice di GuidaIndia