Un sottomarino a propulsione nucleare e l’Indo-Pacifico. Ma non c’entrano né forniture all’Australia né nuovi patti di difesa. Stavolta il sottomarino a propulsione nucleare è al 100% statunitense ed è stato coinvolto in un incidente che ha causato 15 feriti lievi. Lo USS Connecticut, lungo 107 metri e con a bordo un centinaio di unità, ha urtato un oggetto non identificato mentre navigava “in acque internazionali nella regione indo-pacifica”, ha affermato la martina militare, aggiungendo che il mezzo si trova in condizioni “sicure e stabili”. Nessun altro dettaglio su cause, dinamica e localizzazione. Si sa che la collisione è avvenuta il 2 ottobre ma sarebbe stata tenuta segreta per facilitare il rientro a Guam. Escluso che l’urto sia avvenuto con un altro sottomarino, si pensa a un oggetto di dimensioni moderate in grado di aggirare i sonar, in una delle rotte di navigazione più trafficate e dunque anche più “rumorose” del mondo. L’episodio rischia di alimentare nuove tensioni con la Cina. Il sottomarino si sarebbe trovato nel mar Cinese meridionale, una zona nel quale Pechino è coinvolta in ampie rivendicazioni territoriali con diversi paesi del Sud-Est asiatico. Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, ha chiesto agli Usa di rivelare il luogo esatto e tutti i dettagli dell’incidente, accusandoli di “alzare un polverone” nella regione.
Il tempismo dell’incidente non è dei migliori. La Cina non ha digerito il lancio di Aukus e il rafforzamento del Quad e la vicenda del sottomarino le offre uno spunto per sottolineare la pericolosità della proliferazione nucleare e dell’affollamento militare nell’area. In concomitanza con l’incidente, peraltro, tre portaerei di Stati Uniti e Regno Unito stavano svolgendo delle esercitazioni congiunte con un elicottero giapponese nei pressi di Okinawa, non lontano dallo stretto di Taiwan. Proprio dove, secondo il Wall Street Journal, ci sarebbe un contingente di consiglieri militari per addestrare le forze terrestri e marittime locali. Notizia non smentita dal Pentagono e che rischia di avvelenare i tentativi di dialogo cominciati a Zurigo con l’incontro tra Jake Sullivan a Yang Jiechi. Hu Xijin, direttore del Global Times, ha sfidato Washington a inviare pubblicamente e “in uniforme” i suoi militari sull’isola, verificando in quel modo “se l’Esercito popolare di liberazione ordinerà un attacco aereo per eliminare gli invasori”. A Taipei intanto si prepara la ricorrenza del 10 ottobre, durante la quale si presenteranno quattro nuovi tipi di missili e 47 aerei voleranno sopra il palazzo presidenziale. Secondo un sondaggio del think tank Intelligentsia Taipei, il 60% dei taiwanesi intervistati ritiene improbabile una guerra nei prossimi dieci anni. Ma non sono da escludere nuove pressioni da Pechino dopo le incursioni aeree dei giorni scorsi. I media indiani parlano intanto di nuovi scontri in corrispondenza dell’Arunachal Pradesh, in uno dei tanti punti in cui la linea di confine tra Cina e India è oggetto di disputa. Tra fronti aerei e marittimi, non poteva mancarne anche uno terrestre.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su Il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.