L’operazione di continuo rebranding del governo cinese prosegue. Così come la pandemia aveva portato alla rimodulazione in chiave sanitaria della Nuova via della seta, la guerra in Ucraina ha reso necessaria un’accelerazione sul programma alternativo in fase di costruzione a Pechino. Se la Via della seta aveva come parola chiave quella di «opportunità», la Gsi propone invece quella di «stabilità». La prima guardava dappertutto, ma con terminale fondamentale in Europa. La seconda, pur mantenendo un afflato terminologico globale, guarda più direttamente a Asia e Pacifico. Regione che Xi dice di voler rendere il centro di crescita globale e cooperazione internazionale.
NEL 2013, quando fu lanciata la Bri, a un occidente in crisi d’identità e reduce dalla crisi finanziaria servivano investimenti. Qualunque fosse la loro origine. Nel 2022, quando è chiaro da anni che la guerra commerciale era qualcosa di più e che il conflitto in corso alimenta retoriche contrapposte, serve soprattutto questo: stabilità. Quantomeno a quel «mondo che non vediamo», come l’ha definito Simone Pieranni, che sembra il destinatario principale della nuova piattaforma. Della quale, finora, si sa piuttosto poco se non che incorpora il cavallo di battaglia retorico del rigetto della «mentalità da guerra fredda». Tasto al quale non sono insensibili diversi paesi della regione. Non a caso Xi ha deciso di parlarne in apertura del Boao Forum, la cosiddetta Davos asiatica. Le recenti restrizioni anti Covid stanno portando diverse aziende internazionali a riconsiderare la loro presenza cinese. Un rapporto della Camera di Commercio italiana in Cina svela che il 16% di quelle italiane prevede di spostare le proprie attività al di fuori del paese se le restrizioni dovessero persistere. Ma Pechino continua a ritenere di saper interpretare il mondo in via di sviluppo meglio di chiunque altro. E nel post invasione si sta proponendo con grande frenesia come garante di stabilità. Economica, attraverso investimenti e meccanismi che mirano a mettere al riparo da eventuali sanzioni i paesi coinvolti. Ma si parla anche di stabilità nel senso di sicurezza nazionale. Lo stesso Xi ha citato questo aspetto nel suo discorso al Boao.
E DI RECENTE PECHINO si sta muovendo molto su sicurezza e difesa. Qualche esempio? L’accordo con le Isole Salomone, che ha acceso l’ennesimo fronte di contrasto con Usa e Australia nel Pacifico meridionale. O, ancora, l’avvio dell’accordo strategico raggiunto già da tempo con l’Iran. Soprattutto nel caso di Honiara, teatro di violente proteste nei mesi scorsi, l’azione di Pechino ha una forte connotazione politica con la promessa di sostegno al controllo sociale. Un ruolo che prima spettava ad altri e (per) ora forse non più.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.