Lo scorso 27 settembre, la Corte suprema indiana, a poche settimane dalla depenalizzazione dei rapporti omosessuali nel Paese, ha pronunciato una nuova sentenza storica dall’alto valore simbolico, questa volta stralciando dal codice il crimine di adulterio.
Secondo una legge di epoca vittoriana ancora in vigore in India, un uomo accusato di consumare rapporti sessuali fuori dal matrimonio rischiava fino a 5 anni di detenzione più pena pecuniaria. Accogliendo la petizione di un imprenditore indiano, che si era rivolto alla massima Corte indiana denunciando il carattere discriminatorio della legge, un pool di cinque giudici ha sancito la depenalizzazione dell’adulterio, sostenendo che i tradimenti, nell’India di oggi, sono materia per avvocati divorzisti e non rientreranno più nel novero del codice penale.
La legge, promulgata 158 anni fa in piena epoca coloniale, conteneva plateali elementi sessisti e discriminatori: la donna non solo non poteva denunciare il marito adultero, ma non veniva considerata nemmeno agente attivo nell’ipotetico tradimento. Con la controparte femminile totalmente oggettivata, il tradimento diventava questione esclusivamente maschile: un uomo che aveva abusato della proprietà di un altro uomo.
A questo proposito il giudice Dipak Mishra, a capo dell’intera Corte suprema, in aula ha spiegato che «il marito non è il padrone della moglie. Le donne dovrebbero essere trattate al pari degli uomini». La stampa locale ha ricordato che la legge in materia di adulterio raramente è stata applicata fino all’incarcerazione degli imputati, ma spesso veniva usata come strumento per danneggiare la reputazione di uno dei due coniugi in istanze di divorzio. I condannati in via definitiva per adulterio sono talmente rari che non esistono dati statistici in merito.
La sentenza è stata accolta positivamente da gran parte dei media nazionali, andando a rinforzare la convinzione diffusa negli ambienti progressisti indiani circa il ruolo positivo svolto dalla Corte suprema nell’evoluzione della società e dei costumi indiani contemporanei. In particolare, in un Paese dove la discriminazione sessuale e le violenze contro le donne sono ancora due questioni enormemente problematiche in India, la conferma del principio di uguaglianza tra uomo e donna offerta dalla Corte suprema è particolarmente incoraggiante.
Sull’entusiasmo incondizionato per l’operato della massima Corte sorgono però alcuni dubbi, tenendo in considerazione la serie di sentenze emesse nelle ultime settimane. Se i pronunciamenti su rapporti omosessuali e adulterio sono stati accolti molto positivamente dall’opinione pubblica, la scorsa settimana la medesima Corte ha di fatto dato il proprio consenso all’entrata in vigore, risalente all’anno scorso, del , il più grande database governativo di dati biometrici al mondo. Nonostante Aadhaar sia stato denunciato da diversi attivisti indiani come un enorme strumento di controllo e violazione della privacy, la Corte – pur depotenziandone alcuni aspetti – con una sentenza a favore del governo lo ha sostanzialmente appoggiato. E tra poco più di un mese, i giudici saranno chiamati a pronunciarsi sul caso della moschea di Ayodhya, demolita nel 1992 da centinaia di estremisti hindu: vicenda che rischia di esacerbare ancora di più la contrapposizione tra ultrahindu e musulmani nel Paese.
[Pubblicato su il manifesto]