Un nuovo nome si prepara a entrare nella storia del Giappone: Reiwa. Così il governo ha scelto di chiamare la nuova era del calendario giapponese che inizierà il prossimo primo maggio con l’ascesa al trono del principe ereditario Naruhito. I due ideogrammi indicano l’ordine (rei) e l’armonia (wa). Questo è ciò che il governo, in conferenza stampa, si augura per il paese nell’era a venire.
Da tredici secoli questa tradizione si ripete e gli anni sono contati secondo cicli a cui viene dato un nome, come quello scelto ieri. Ad esempio, se ci si sposasse o si nascesse oggi nell’atto sarebbe indicato l’anno trenta dell’era Heisei; se si facesse lo stesso a maggio l’atto porterebbe la data dell’anno uno Reiwa.
Il calcolo degli anni è stato semplificato a partire dalla restaurazione Meiji, un secolo e mezzo fa, da quando le ere corrispondono al regno di un solo imperatore, mentre nel Giappone premoderno seguivano anche i cicli astrologici cinesi o altri eventi di particolare importanza, come il dono all’imperatore di un fagiano bianco che ne fece così iniziare l’omonima era, Hakuchi.
Il calendario tradizionale è ancora usato nella vita quotidiana, anche se è in netto declino sia nella vita privata che negli affari. Guardandosi intorno scontrini e visti riportano le date gregoriane, mentre i certificati emessi dal comune quelle tradizionali.
La tradizione si è scontrata stavolta con un mondo nuovo, quello delle tecnologie digitali. Così il governo e molte imprese hanno dovuto prepararsi a cambiare le date non solo su tutti i loro stampati per gli atti futuri, ma anche nei loro sistemi informatici.
Un’operazione molto delicata e di vasta portata che ha richiesto molti mesi di preparativi con gli informatici che hanno usato dei nomi fittizi per impostare e testare il passaggio alla nuova era. Il governo si aspetta ora un passaggio senza problemi grazie al mese ulteriore di tempo a disposizione per i test finali.
Rispetto all’ultimo cambiamento di era, nel 1989, l’umore in Giappone è più festoso. Allora la scelta avvenne in un clima di lutto subito dopo la morte dell’imperatore Hirohito, che chiuse la sua era detta Showa. Quel wa, l’armonia, è lo stesso usato per la prossima Reiwa e non solo, è un ideogramma carico di significato che tra i vari usi indica anche il popolo giapponese.
La questione della giapponesità della scelta è stata al centro di un dibattito dalle tinte politiche. Il governo in carica, molto sensibile alle idee della destra nazionalista, ha asserito che per la prima volta nella storia il nome deriverebbe da una collezione di poesie autoctone giapponesi e non dai classici cinesi.
Diversi intellettuali, tra cui spicca l’emerito dell’università di Kobe Tatsuru Uchida, hanno indicato però la fonte della frase giapponese usata in una collezione di poesie di Zhang Heng dell’era Han. In ogni caso gli editori prevedono già il tutto esaurito per le copie della collezione di poesie da cui è stato tratto il nome, il Manyoshu.
Il partito comunista giapponese in un comunicato ha espresso in modo interessante la ragione di fondo della denominazione delle ere secondo il passaggio degli imperatori: si vorrebbe indicare loro sovranità assoluta non solo sullo spazio, ma anche sul tempo.
Visione che non sarebbe più compatibile con la costituzione giapponese del dopoguerra, che prevede sovranità del popolo, divisione dei poteri e fine della divinità dell’imperatore. Da qui l’auspicio che l’uso resti come mero riferimento culturale e privato e sia preservata la libera scelta circa il suo utilizzo.
[Pubblicato su il manifesto]