Da qualche mese una petizione online ha raccolto oltre mille firme, già presentate alle autorità dell’University of Ghana, chiedendo che la statua del Mahatma Gandhi donata dal presidente Mukherjee nel mese di giugno venga rimossa. La motivazione: Gandhi, secondo i petizionisti, era un razzista che discriminava gli africani. Una tesi non nuova che, in effetti, affonda le proprie radici negli scritti controversi del periodo sudafricano di Gandhi.La statua, donata dal governo indiano lo scorso mese di giugno, è stata inaugurata dallo stesso presidente della repubblica indiana Pranab Mukherjee durante una visita ufficiale nella capitale Accra. Mukherjee, per l’occasione, ha invitato gli studenti a «emulare e concretizzare» gli ideali di Gandhi, secondo quanto riporta il The Guardian. Una frase pacifica che avrebbe destato applausi a scena aperta in quasi tutto il mondo. Tranne in Africa.
Mohandas Gandhi, prima di diventare il Mahatma, in gioventù ha vissuto nel Sudafrica colonia dell’Impero britannico, svolgendo la professione di avvocato per una ditta «indiana» (l’India indipendente ancora non esisteva). Sono anni «di formazione», secondo i diversi biografi del Mahatma; anni in cui il giovane avvocato inizia a toccare con mano la discriminazione razziale subìta dagli indiani sotto il dominio dei «bianchi». Un uomo colto e di status sociale elevato come Gandhi, anche in Sudafrica, si vedeva sistematicamente negati i diritti garantiti invece ai suoi pari bianchi, come accedere alle classi superiori del treno o viaggiare assieme a clienti bianchi. Esperienze che contribuirono enormemente alla presa di coscienza della condizione assoggettata del suo popolo, facendo germogliare il seme che in seguito, una volta tornato in India, avrebbe fatto nascere il movimento d’indipendenza indiano.
La sensibilità di Gandhi per le discriminazioni però, secondo i suoi detrattori, è stata viziata da un difetto di selettività: se l’avvocato Gandhi soffriva e introiettava l’enorme divario di considerazione che divideva i bianchi dagli indiani, allo stesso modo sembra non apprezzare la condizione ancora peggiore in cui versavano i nativi africani sotto l’impero britannico. Tesi non peregrina he emerge con chiarezza dagli scritti di quell’epoca dello stesso Gandhi.
Nella stessa petizione, promossa da professori e alunni della University of Ghana, sono riportati diversi stralci controversi tratti dalle biografie del Mahatma. Affermazioni di questo tenore:
«Il sentimento generale generale prevalente nella colonia è che gli indiani siano considerati leggermente migliori, se non uguali, ai selvaggi dei nativi africani. Anche ai bambini viene insegnato di comportarsi in questa maniera, col risultato che gli indiani vengono trascinati in basso alla stregua dei rozzi kaffir (termine dispregiativo utilizzato per indicare i nativi africani nelle colonie)».
O ancora:
«Il governo Boer ha insultato gli indiani classificandoli nel medesimo gruppo dei kaffir»
E:
«La nostra battaglia [degli indiani] è contro la degradazione che vuole esserci infilitta dagli europei, che vogliono degradarci al livello dei rozzi kaffir la cui occupazione principale è la caccia e le cui uniche ambizioni sono accumulare un certo numero di capi di bestiame per comprarsi una moglie e, infine, passare la propria esistenza nell’indolenza e nella nudità».
Frasi spesso ignorate dagli estimatori occidentali del Mahatma ma, evidentemente, ben impresse nella memoria degli africani.
Obadele Kambon, ricercatore presso la University of Ghana e tra i primi firmatari della petizione, ha dichiarato a Bbc: «[In Ghana] Abbiamo bisogno di immagini nostre per il nostro benessere psicologico, non immagini di chi ci ha chiamato selvaggi […]». I petizionisti chiedono quindi di togliere la statua del «razzista Gandhi» e sostituirla con una che raffiguri degli eroi africani. Parafrasando la dichiarazione rilasciata al Guardian da di Akosua Adomako Ampofo e Akosua Adoma Perbi, entrambi professori alla University of Ghana, la mancata celebrazione degli eroi ed eroine africane è «uno schiaffo che mina le basi della nostra battaglia per l’autonomia, il riconoscimento e il rispetto».
[Scritto per Eastonline]