In occasione della conferenza di funzionari di alto livello delle Nazioni Unite a Ginevra, organizzata allo scopo di discutere della situazione in Afghanistan, nella giornata di ieri il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha tirato in ballo il rapporto “completamente disfunzionale” tra Cina e Stati Uniti. È necessario, ha sottolineato Guterres in un’intervista rilasciata lo scorso finesettimana alla Associated Press, che le due grandi potenze collaborino per risolvere le fratture politiche su questioni economiche, della sicurezza online, dei diritti umani e della sovranità nel Mar Cinese Meridionale. Un rapporto di cooperazione è “essenziale” per affrontare la vaccinazione della popolazione mondiale e altri problemi di portata globale, uno tra tutti la crisi climatica. Una nuova polarizzazione da guerra fredda, ha detto il segretario generale, “sarebbe probabilmente più pericolosa e più difficile da gestire rispetto alla precedente”. Le tensioni politiche tra Stati Uniti e Cina hanno reso lo scenario tanto “disfunzionale” negli ultimi cinque anni da far precipitare del 96% gli investimenti bilaterali nel settore tecnologico. Lo riporta un recente rapporto della società di consulenza statunitense Bain & Co., secondo il quale a registrare un maggior declino sono stati gli investimenti dalla Cina verso gli Stati Uniti – anche nel settore immobiliare e in quello sanitario – a causa del giro di vite imposto da Washington sulle aziende cinesi: da 48,5 miliardi di dollari nel 2016 a soli 7,2 miliardi di dollari lo scorso anno. Il cosiddetto “decoupling”, il disaccoppiamento delle economie delle superpotenze, non sembra esser stato interessato da miglioramenti con il cambio di presidenza da Trump e Biden, lo scorso gennaio. Dal 2018 alla prima metà del 2021 gli Stati Uniti hanno messo in lista nera 168 aziende cinesi, oltre Huawei e le società affiliate. Una situazione che ha spinto la superpotenza asiatica a compiere sforzi a livello nazionale volti a costruire una completa catena di approvvigionamento di semiconduttori. [fonte NIKKEI AP news]
L’Universal Beijing Studios mette in crisi il Pcc
L’Universal Beijing Resort, il più grande parco al mondo, situato nel distretto di Tongzhou a Pechino, ha aperto ieri al pubblico. Complice la concomitanza della festa di metà autunno, per l’inaugurazione del resort si è registrato il tutto esaurito: i biglietti per partecipare alla cerimonia di apertura, venduti al prezzo di 638 yuan, sono andati a ruba in 30 minuti quando sono state aperte le vendite la settimana scorsa. Nella giornata di ieri il nome del parco divertimenti è diventato trending topic su Weibo, per la condivisione di video e immagini sulle attrazioni, ma anche, per la presenza alla cerimonia di apertura di alti funzionari del Pcc, tra cui il capo del Partito di Pechino Cai Qi. In vista dell’apertura al pubblico del parco, decine di celebrità cinesi – tra cui l’attrice di “Crouching Tiger” Zhang Ziyi e la top model Liu Wen – hanno visitato attrazioni legate a “Jurassic Park”, “Transformers” e “Harry Potter”. Le foto di altri ospiti vestiti con i mantelli di Hogwarts e in posa con i personaggi di “Minions” e “Megatron” sono diventate argomenti di tendenza su Weibo.
Ma la popolarità del parco a tema degli Universal Studios mostra la resistenza dei cinesi all’inasprimento del governo sull’industria dell’intrattenimento e, in particolare, sulle influenze culturali straniere. L’Universal Beijing Resort rappresenta quindi il terreno di sfida della nuova battaglia intrapresa dal Pcc. La scorsa settimana, infatti, prima dell’apertura del parco divertimenti, il capo del Partito di Pechino Qi, in una videochiamata con Brian Roberts, amministratore delegato di Comcast Corp, ha esortato la parte statunitense ad aggiungere più “elementi cinesi” al parco. Ma al momento non sono previsti ulteriori aggiunte o modifiche alle attrazioni. Il progetto, che dovrebbe attirare 30 milioni di visitatori all’anno, è una joint venture tra la società statale Beijing Shouhuan Cultural Tourism Investment Co. e Comcast NBCUniversal. È in lavorazione dal 2001. Il resort, che copre un’area di 4 km quadrati, comprende il parco a tema Universal Studios Beijing, l’Universal CityWalk e due hotel e promette di offrire ai turisti un’esperienza di visita coinvolgente, con sette parchi a tema composti da 37 strutture ricreative e attrazioni di riferimento, oltre che 24 spettacoli di intrattenimento. Il resort è il quinto parco a tema Universal Studios a livello globale, il terzo in Asia e il primo in Cina. [fonte Bloomberg]
I “balli di piazza” ai Giochi Nazionali cinesi
La squadra di “square dance” con a capo la sessantenne Hou Linghua, lo scorso sabato è arrivata seconda alla 14esima edizione dei Giochi Nazionali della Repubblica Popolare Cinese (中华人民共和国全国运动会), che si svolgerà a Xi’an fino al 27 settembre. Il team, composto da 36 “zie ballerine” tutte appartenenti alla comunità di Dianchang nel distretto Baqiao a Xi’an, ha raccontato di aver iniziato ad allenarsi dopo la pensione, ballando mattina e sera dal 2009. È in quell’anno che la tradizionale danza di piazza si è iniziata a diffondere tra le donne cinesi di mezza età, e malgrado le numerose critiche legate all’ordine pubblico è finita tra i 19 sport che le mini-olimpiadi cinesi hanno dedicato ai “principianti”. Oltre alle 400 gare riservate ai professionisti, infatti, dal 2017 ne sono state aggiunte 185 per i dilettanti, sulla scia di un piano nazionale che mira a rendere la Cina una potenza in campo sportivo entro il 2050. Il piano prevede che entro il 2035 almeno il 45% della popolazione si alleni “con frequenza” – almeno tre volte a settimana per circa 30 minuti a sessione, una costante, secondo le recenti statistiche nazionali, già per il 37% dei cinesi. Per favorire una promozione alla partecipazione di massa agli sport dei Giochi Nazionali, è stato abbandonato il conteggio delle medaglie a livello provinciale, dopo i frequenti casi di doping e comportamenti illegali. [fonte SCMP ]
L’Aukus non rassicura i paesi dell’Indo-pacifico
L’Aukus, la nuova partnership militare tra Usa, Regno Unito, e Australia, alimenta forti tensioni e timori tra i paesi della regione dell’Indo-pacifico. Alcune nazioni del sud-est asiatico, in particolare Malesia e Indonesia, sono preoccupate che il patto possa provocare la Cina e stimolare una corsa agli armamenti nella regione. Il presidente Usa Joe Biden e il leader australiano Scott Morrison hanno più volte ribadito l’importanza dell’accordo come strumento di stabilità nell’Indo-pacifico, con l’intenzione di lavorare con il blocco dei dieci paesi dell’Asean. Una condizione difficile per i paesi dell’alleanza del Sud-est asiatico che da anni cercano di affidarsi agli Usa per impedire a Pechino di stabilire un’egemonia regionale, nonostante la crescente dipendenza economica dal gigante cinese. L’Indonesia è stato infatti il primo paese della regione a criticare l’accordo, affermando di essere “profondamente preoccupato per la continua corsa agli armamenti e la proiezione di potere nella regione”. Il primo ministro malese Ismail Sabri Yaakob invece teme che l’Aukus possa indurre altre potenze ad agire in modo più aggressivo, specialmente nel Mar Cinese Meridionale.
La nuova partnership alimenta diversi dubbi e interrogativi invece a New Delhi, alleato di Washington. Alcuni analisti indiani si domandano come mai l’India non abbia avuto accesso alla tecnologia statunitense come accaduto invece per l’Australia. Ma altri sottolineano che l’India, che affitta sottomarini nucleari dalla Russia, potrebbe comunque trarre vantaggio dall’Aukus per contrastare la minaccia Cina nella regione e determinare un impatto significativo sull’equilibrio di potere nell’Indo-Pacifico. Anche la Corea del Nord si è espressa sulla nuova partnership, sostenendo che il patto militare possa rilanciare la proliferazione nucleare nella regione. Pyongyang, che abbraccia la visione di Pechino negativa sull’Aukus, ha minacciato di attuare contromisure in caso in cui la sicurezza del paese sia a rischio. L’intimidazione nordcoreana arriva proprio a meno di una settimana dagli ultimi test missilistici: all’alba del 15 settembre, Pyongyang ha lanciato da un treno due missili balistici che sono caduti nelle acque all’interno della zona economica esclusiva (ZEE) del Giappone. Tokyo, infatti, teme che sia la Cina, così come la Corea del Nord, possa essere una minaccia per la sicurezza nazionale e regionale. In un’intervista rilasciata al Guardian prima che il patto Aukus fosse reso noto, il ministro della Difesa giapponese Nobuo Kishi ha dichiarato che Pechino, che rappresenta una potenza politica, economica e militare, sta “tentando di usare il suo potere per cambiare unilateralmente lo status quo nei mari della Cina orientale e meridionale”. Secondo Kishi, la Cina sta rafforzando la sua potenza militare sia in termini di quantità che di qualità e sta migliorando rapidamente la sua capacità operativa. Per questo il titolare della difesa giapponese ha esortato i paesi europei e la comunità internazionale ad agire per contrastare l’assertività cinese. Le osservazioni di Kishi sono un forte segnale della crescente preoccupazione internazionale per le ambizioni militari della Cina nelle acque contese come il Mar Cinese Meridionale e Orientale, in particolare nello stretto di Taiwan. [fonte Guadian, Bloomberg, SCMP, Reuters]
A cura di Vittoria Mazzieri e Serena Console