I titoli di oggi
- La prosperità comune, una questione di sicurezza nazionale
- Xi tiene salda “la canna del fucile”
- La Cina colpisce l’industria lituana dei laser
- Gli Usa incrementeranno la presenza militare a Guam e in Australia
- Nuove accuse di corruzione per Aung San Suu Kyi
Raggiungere la “prosperità comune” è una questione di sicurezza nazionale. A sostenerlo è Guo Shengkun, il segretario della potente Commissione centrale per gli affari politici e legali, l’agenzia del Partito comunista che sovraintende alle forze dell’ordine. In un recente libro, Guo ha affermato che le forze di sicurezza devono contribuire a combattere l’accumulazione illegale del reddito con la formulazione di nuove leggi e regole. Frodi online, gioco d’azzardo ed evasione fiscale sono – secondo gli esperti – alcune delle attività fraudolente a minacciare l’uguaglianza sociale e quindi la stabilità del sistema. L’intervento di Guo mette in risalto come la prosperità comune non sia solo una questione economica, ma anche politica. Ne è convinto Qin Qianhong, docente di giurisprudenza presso la Wuhan University, secondo il quale la pandemia ha compormesso il mercato del lavoro tanto da rendere la Cina “una società del rischio”.
Se reggiungere la “prosperità comune” è davvero così importante è bene cominciare a definrne il perimetro. Il primo a farlo in veste semiufficiale è Cai Fang, noto economista della banca centrale cinese. Stando all’esperto, per centrare l’obiettivo il gigante asiatico dovrebbe cercare di ridurre il coefficiente di Gini (indicatore delle diseguaglianze sociali) a quota 0,4 entro il 2025. Affermazione che sta facendo parecchio discutere dal momento che si tratterebbe di un livello molto vicino a quello attuale degli Stati uniti: secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), la prima economia mondiale, criticata sempre più spesso dai media cinesi per le sue disparità sociali, al momento si aggira allo 0,39, poco sotto il tetto proposto da Cai.
Xi tiene salda “la canna del fucile”
“Il potere politico nasce dalla canna del fucile”, diceva Mao. Se è davvero così, vuol dire che Xi Jinping ha davvero raggiunto un consenso senza precedenti, non solo tra le fila del partito ma anche nei ranghi dell’esercito. Secondo un articolo comparso sul quotidiano ufficiale People’s Daily a firma del vicepresidente della Commissione militare centrale, Zhang Youxia , l’inizio della presidenza Xi – che è anche capo dell’esercito – ha coinciso con la risoluzione di problemi mai precedentemente sanati. Letteralmente: “In considerazione dei gravi rischi politici affrontati dal PLA nel periodo precedente al 18° Congresso nazionale del PCC, il presidente Xi ha compiuto grandi sforzi per invertire la rotta e risolvere la crisi”. Il leader ha “promosso vigorosamente la rettifica e l’addestramento politico, ha indagato e punito risolutamente Guo Boxiong, Xu Caihou, Fang Fenghui, Zhang Yang e altri gravi violazioni della disciplina e delle legge, eliminando la loro influenza tossica, e destinando grandi sforzi alla correzione del pensiero, del personale, delle organizzazioni, della disciplina e promuovendo il ringiovanimento.” Come fa notare Bill Bishop, curatore della newsletter Sinocism, è un bilancio che sembra archiviare definitivamente l’era Jiang Zemin: l’ex presidente aveva mantenuto una notevole influenza sulle forze armate anche durante il governo di Hu Jintao.
La Cina colpisce l’industria lituana dei laser
Dalle parole ai fatti. Dopo aver minacciato pesanti ritorsioni, la Cina ha sospeso la prima collaborazione commerciale con la Lituania, colpevole di aver recentemente consolidato i suoi rapporti con Taipei aprendo un ufficio di rappresentanza che continere il nome di Taiwan, iniziativa inedita per un paese europeo. Secondo il GT, diversi rappresentanti dell’industria dei laser cinesi hanno interrotti gli scambi a causa della pandemia e la cooperazione non riprenderà nel prossimo futuro. Il quotidiano cinese spiega come lo stop “potrebbe infliggere un duro colpo all’industria dei laser lituana, una delle più importanti del paese per quanto riguarda l’alta tecnologia” e che esporta verso la Cina oltre il 30% della sua produzione. Mantenedo la consueta ambiguità, il tabloid nazionalista spiega che mentre la decisione è dovuta principalmente al contesto pandemio e non a fattori politici, “ciò che ha fatto il governo lituano ha ferito i sentimenti del popolo cinese, che a sua volta ha interrotto le relazioni bilaterali.” In queste stesse ore una delegazione di Vilnius si trova a Taipei, dove dal 2 al 3 dicembre presenzierà a un vertice sulla democrazia insieme a parlamentari di Estonia e Lettonia. Come spiega il SCMP, l’importanza attribuita dai paesi baltici all’isola oltre lo Stretto deriva in buona parte dalle pressioni subite alle porte regime autocratici come Russia e Bielorussia.
Gli Usa incrementeranno la presenza militare a Guam e in Australia
Il Pentagono incrementerà le infrastrutture e la presenza militare a Guam e in Australia per contrastare la minaccia cinese. Secondo quanto rivelato da Mara Karlin, vice sottosegretario alla Difesa, la mossa conferma l’importanza attribuita all’Indo-Pacifco dall’amministrazione Biden ed è il risultato della revisione globale delle forze armate statunitensi annunciata a febbraio. Il fulcro della nuova strategia sta nella “cooperazione con alleati e partner in tutta la regione per far avanzare iniziative che contribuiscono alla stabilità regionale e a scoraggiare la potenziale aggressione militare dalla Cina e le minacce della Corea del Nord”. Pur smentendo un drastico cambio di rotta, i funzionari del Pentagono non nascondono che alla base ci sia la necessità di riacquisire la credibilità persa durante l’interregno di Trump. Più nel dettaglio, la ristrutturazione prevederà in Australia, “nuovi schieramenti di caccia e bombardieri rotanti”, nonché “l’addestramento delle forze di terra e una maggiore cooperazione logistica”. Insieme a Guam e alle Isole Marianne Settentrionali, l’ Australia, sarà inoltre interessata da un upgrade delle infrastrutture aeroportuale e delle strutture per lo stoccaggio di carburante e munizioni. La notizia ha già suscitato la risposta risentita di Pechino che ha accusato Washington di ambire all’ “egemonia militare”. Più sottile l’analisi degli esperti consultati dal Global Times, stando ai quali concentrandosi nel Pacficio gli States finiranno per trascurare la prima catena di isole, ovvero la striscia marittima che comprende le isole del Mar cinese meridionale oltre a Giappone, Filippine e,… Taiwan.
L’importanza del quadrante regionale nell’agenda di Biden trova conferma nelle sempre più numerose visite ufficiali. Mentre scriviamo, il segretario alla Difesa Llyod Austin e altri funzionari del Pentagono si trovano in Corea del Sud per tenere il primo “meeting consultativo sulla sicurezza” dal ricambio alla Casa Bianca, durante il quale Seul cercherà di ottenere il consenso americano per un accordo di pace con Pyongyang. Intanto, Daniel Kritenbrink, assistente del segretario di Stato americano per l’Asia orientale, è impegnato in un tour del Sud-est asiatico che comprende Indonesia, Malesia, Singapore e Thailandia.
Nuove accuse di corruzione per Aung San Suu Kyi
Nuove accuse di corruzione per Aung San Suu Kyi. Secondo i media di stato la leader democratica è stata giudicata responsabile di una presunta violazione della legge anti-corruzione in relazioni al nolo e al successivo acquisto di un elicottero tramite fondi pubblici. Win Myint, presidente del governo civile deposto come Suu Kyi a seguito del golpe dello scorso febbraio, è stato accusato del medesimo reato. Le ultime imputazioni si aggiungono agli oltre 10 capi d’accusa a carico dell’ex consigliera di Stato, incluso uno relativo alla presunta violazione di un codice sui segreti di Stato risalente all’epoca coloniale. Secondo le leggi locali, la lady rischia di scontare oltre 100 anni di reclusione.
A cura di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.