I titoli della rassegna di oggi:
– Stretta di Pechino sulle ong straniere
– Operai, vietato minacciare il suicidio
– Giornalista in fuga da Hong Kong
– Pyongyang manda un altro cittadino Usa ai lavori forzati
– L’Indonesia si prepara al ritorno del boia Stretta di Pechino sulle ong straniere
La stretta è arrivata. Il nuovo regolamento che impone un maggiore controllo sulle finanze e le attività delle organizzazioni non governative straniere ha ricevuto l’ok dall’Assemblea Nazionale del Popolo. La nuova legge, in vigore dal prossimo gennaio, pone le ong estere sotto la lente della polizia, costringendole a registrarsi al dipartimento per la sicurezza, in quello che è considerato un tentativo di restringere gli spazi per realtà considerate pericolose per il governo.
La stampa ufficiale punta invece l’attenzione sulle semplificazioni normative e l’allentamento di alcune procedure, come la possibilità di aprire più sedi su tutto il territorio della Repubblica popolare e l’estensione delle licenze oltre l’attuale limite di cinque anni.
Il regolamento tuttavia è considerato un nuovo strumento per ostacolare organizzazioni e realtà impegnate nella difesa dei diritti umani e civili, l’ennesimo deciso negli ultimi tre anni, nel corso della presidenza Xi.
Vietato minacciare il suicidio
Il suicidio è una delle minacce cui lavoratori ricorrono per fare pressioni sui datori nella lotte per il salario. A Zhengzhou, nella provincia dell’Henan questo non sarà più possibile. Le autorità hanno proibito ai lavoratori simili atti protesta, aprendo la via dei tribunali per i trasgressori.
I casi di operai saliti su ponteggi e gru minacciando di gettarsi di sotto durante le dispute salariali o contro la dirigenza sono in aumento. La misura va letta anche nell’ottica di una ripresa delle proteste operaie. Allo stesso tempo, l’amministrazione si è impegnata a varare misure per evitare che i lavoratori rimangano senza paga, come l’obbligo di istituire un conto speciale approvato dal governo che funga da fondo.
Giornalista in fuga da Hong Kong
Il caso dei cinque librai di Hong Kong scomparsi nei mesi scorsi continua ad avere strascichi. Andrei Chang, giornalista sino-canadese specializzato nella difesa, ha deciso di lasciare l’ex colonia britannica per il Giappone perché non si sente più al sicuro. Tratta temi sensibili e il caso dei librai, alcuni dei quali con doppia nazionalità, ha dimostrato che un passaporto occidentale non mette al riparo dal rischio di essere presi in consegna dalle autorità cinesi.
L’editore del Kanwa Asia Defense si è costruito una carriera con articoli di inchiesta sull’Esercito popolare di liberazione, sulla corruzione tra i militari cinesi e su figure di spicco della nomenklatura, tra cui lo stesso presidente Xi Jinping. Soggetti al centro dei libri scandalistici editi dai cinque librai spariti nei mesi scorsi e coinvolti in inchieste giudiziaria nella Cina continentale.
Pyongyang manda un altro cittadino Usa ai lavori forzati
Il regime nordcoreano ha condannato a 10 anni di lavori forzati un cittadino statunitense di origine coreana, arrestato lo scorso ottobre e accusato di essere una spia. La sentenza arriva quando manca una settimana al congresso del Partito al potere a Pyongyang e nel mezzo delle tensioni nella penisola per le continue provocazioni del regime che ieri ha testato senza successo un missile a medio raggio.
Kim Dong-chul, 62 anni, aveva confessato davanti ai giornalisti di essere stato pagato dall’intelligence di Seul per introdursi nel Paese. Si tratta del secondo statunitense condannato negli ultimi mesi. Lo scorso marzo Otto Frederick Warmbier fu infatti condannato a 15 anni di reclusione per aver tentato di rubare uno striscione di propaganda, gesto considerati «un crimine contro lo Stato».
L’Indonesia si prepara al ritorno del boia
Nelle prossime settimane il plotone d’esecuzione tornerà in azione in Indonesia. E tra i detenuti a finire davanti al boia non è escluso possa esserci anche Lindsay Sandiford, la donna britannica condannata per traffico di droga, il cui caso sembra essere però tutt’altro che chiaro.
Ancora di recente il governo di Giacarta è stato criticato dalle Nazioni Unite per le condanne a morte inflitte ai trafficanti, considerate una violazione del diritto internazionale. Mentre da più parti si chiede di affrontare il tema della dipendenza della droga sul piano sanitario e della prevenzione, non su quello della mera repressione.
L’anno scorso la politica indonesiana scoppiò in un caso diplomatico con Canberra, per l’esecuzione di due cittadini australiani. Ma lo stesso presidente Joko Widodo tira dritto. Durante un bilaterale con Angela Merkel ha difeso la pena capitale definendo la droga un’emergenza nazionale.