I titoli della nostra rassegna di oggi:
– Online i dati del gotha cinese
– Insegnanti, avanguardia sindacale
– Sospetti sulla polizia per la morte di un ambientalista cinese
– L’India abbandona i piani quinquennali
– Il Myanmar democratico continua a restringere la libertà di parola
Online di dati del gotha cinese
Decine di numeri di carta d’identità e informazioni personali su magnati, alti funzionari cinesi ed esponenti del Partito comunista sono state pubblicate su Twitter da un misterioso account @shenfenzheng (che in cinese vuol dire appunto documento di identità). L’account è stato chiuso, ma se confermata la veridicità dei dati pubblicati online, si tratterebbe di una delle più consistenti violazioni e leaks della Repubblica popolare.
Tra i nomi circolati ci sono quelli di imprenditori di primo piano, compresi il fondatore di Alibaba, Jack Ma, e il patron di Infront, Wang Jianlin, il presidente di Tencent, Ma Huateng e del colosso degli smartphone Xiaomi, Lei Jun. Uno dei documenti mostrati sarebbe addirittura di Fang Binxing, l’architetto del Grande Firewall cinese, il sistema di censura della rete.
Insegnanti, avanguardia sindacale cinese
Gli insegnanti sono poco meno del 2 per cento della forza lavoro cinese. Contano però per il 4 per cento delle proteste e degli scioperi, dimostrandosi come una sorta di avanguardia per rivendicare il pagamento degli stipendi e welfare. Lo rivela l’ultimo rapporto del China Labour Bulletin, ong di Hong Kong che funge da proto-sindacato nella Repubblica popolare.
A differenza degli operai delle fabbriche private la loro controparte è tuttavia il governo e le proteste, cui sono costretti in mancanza di un vero sindacato che possa contrattare, sono rivolte contro funzionari dell’amministrazione.
Il rapporto si concentra soprattutto sulle disparità di stipendio tra gli insegnanti élite nelle grandi città e quello negli istituti più piccoli nelle aree rurali, spesso le stesse nelle quali gli insegnanti furono reclutati per sostenere l’istruzione nelle zone più svantaggiate.
Sospetti sulla polizia per la morte di un ambientalista cinese
Articoli, commenti online e petizioni chiedono giustizia per la morte di un giovane ambientalista cinese, mentre era in custodia della polizia. Il caso di Lei Yang ha riportato l’attenzione sulla violenza della polizia. L’ambientalista fu fermato nel fine settimana da agenti in borghese davanti a un centro massaggi.
Per molti commenti online la polizia avrebbe agito in modo improprio, denunciando che ogni possibile registrazione che ne proverebbe le responsabilità sarebbe andata persa. Il caso ha evidenziato il malcontento e il sospetto di una parte dell’opinione pubblica cinese verso i comportamenti della polizia.
Tant’è che sulla vicenda è intervenuto anche il Quotidiano del popolo, voce ufficiale del Partito, cercando di allontanare dagli agenti le responsabilità, dando la versione di un funzionario secondo cui l’ambientalista, fermato in un raid anti prostituzione, sarebbe morto per un attacco cardiaco. Anche il Global Times sta sul pezzo sostenendo che occorra ristabilire la fiducia tra polizia e cittadini.
L’India abbandona i piani quinquennali
In India finisce un’era che rimanda all’epoca dei non allineati. Il governo di Narendra Modi abbandonerà i piani quinquennali e la pianificazione di Jawaharlal Nehru. Quello di marzo sarà l’ultimo. Dopo si passerà a progetti a quindici anni, che per l’esecutivo dovranno dare una «visione» d’insieme degli obiettivi, intramezzati da strategie a sette anni che si concentreranno sullo sviluppo sociale, sulla difesa e la sicurezza interna.
Il piano prevede che ogni tre anni ci sia una revisione, la prima prevista nel 2020.
Il Myanmar democratico continua a restringere la libertà di espressione
Anche nel Myanmar democratico di Aung San Suu Kyi la libertà di espressione è a rischio. Gruppi studenteschi e per la tutela dei diritti civili criticano il governo della Lega nazionale per democrazia per aver mantenuto restrizioni imposte durante la passata giunta militare. Non sono state sufficienti le scarcerazioni di alcuni detenuti politici ancora in carcere.
La nuova legge sulle manifestazioni che sarà portare in Parlamento la prossima settimana lascia perplessi. Si prevede infatti di punire i manifestanti che diffonderanno informazioni considerate errate. E si impediscono le manifestazioni ai «non cittadini», categoria in cui ricade la minoranza musulmana dei rohingya, cui è negata la cittadinanza.
La Lega nazionale per la democrazia si difende, ma la decisione è soltanto l’ultimo di una serie di episodi che evidenzia la difficile transizione del Paese dei Pavoni.