In Cina e Asia – Mario Monti: «L’Occidente deve imparare da Pechino»

In by Simone

I titoli della rassegna di oggi:

– Mario Monti: «L’Occidente deve imparare da Pechino»
– L’economia cinese vicina al «rebound», dice think tank di Pechino
– Giro di arresti nel caso della lettera che chiedeva le dimissioni di Xi Jinping
– Lo studio accademico sul rischio assassinio di Kim Jong-un
– Tokyo accende un radar nel Mar cinese orientale e sfida Pechino
– L’attentato di Lahore spinge il premier pakistano ad intensificare la guerra contro il terrorismoMario Monti: «L’Occidente deve imparare da Pechino»

L’ex primo ministro italiano Mario Monti, in un’intervista all’agenzia di stampa governativa Xinhua, si è lanciato in lodi sperticate verso la dirigenza di Pechino e le strategie di crescita contenute nel tredicesimo piano quinquennale cinese.
Monti, riporta Xinhua, ha evidenziato il carattere positivo dell’ultimo piano quinquennale, che restituisce l’immagine di un paese «profondamente dedicato, sia in termini quantitativi che qualitativi, nella trasformazione del proprio sentiero verso lo sviluppo».

Tra gli aspetti degni di nota, Monti ha lodato le «trasformazioni strutturali» che dovrebbero proiettare l’economia cinese verso un’evoluzione a sistema basato sui servizi, assieme alle «strategie sul lungo termine» come il progetto della Nuova Via della Seta; politiche visionarie sul lungo termine che, invece, secondo Monti sarebbero assenti nelle strategie dell’Occidente, con Europa e Stati Uniti più impegnate nella formulazione di progetti «a breve termine».

L’economia cinese vicina al «rebound», dice think tank di Pechino

Il peggio potrebbe essere già alle spalle e l’economia cinese sarebbe pronta al «rebound» già dal prossimo trimestre. Questa la tesi pubblicata dalla National Academy for Economic Strategies – dipartimento della Chinese Academy of Social Studies – che prevede una crescita del Pil al 6,8 per cento per il prossimo trimestre. Si tratterebbe quindi di «rimbalzo», un’uscita dal periodo di stagnazione in cui ha versato l’economia cinese fino al trimestre corrente (che terminerà col mese di marzo), dove però già si è registrato un incremento del 4,8 per cento nei profitti del comparto industriale rispetto allo stesso periodo del 2015.

Giro di arresti nel caso della lettera che chiedeva le dimissioni di Xi Jinping

La lettera incriminata, pubblicata e fatta sparire dal web lo scorso 4 marzo, sembra aver causato un nuovo giro di arresti e sparizioni di critici del presidente cinese Xi Jinping. Agli arresti già effettuati in questre tre settimane, compreso quello del giornalista Jia Jia, si sarebbero aggiunti tre parenti dello scrittore dissidente cinese Chang Ping, residente in Germania. In un articolo pubblicato sul portale China Change, Chang ha raccontato che in seguito a un suo primo articolo in cui criticava l’arresto di Jia Jia, i dipartimenti di sicurezza cinese avrebbero prelevato dalla casa di famiglia tre suoi parenti, con l’obiettivo di convincerlo a desistere da ulteriori interventi sulla stampa occidentale.
Stesso destino riservato ai parenti di Wen Yunchao, altro critico del governo cinese residente negli Stati Uniti: la settimana scorsa sparirono i genitori e il fratello minore di Wen.
Il computo parziale dei detenuti legati, secondo Pechino, alla pubblicazione della lettera-scandalo, è fermo a 11 persone.

Lo studio accademico sul rischio assassinio di Kim Jong-un

Sungmin Cho, accademico della Georgetown University, in un paper pubblicato dall’International Journal of Korean Studies, ha sviscerato le possibilità di un attentato alla vita del leader nordcoreano Kim Jong-un, tratteggiando quattro scenari «verosimili» in cui il dittatore di Pyongyang potrebbe perdere la vita.

Tra i quattro, Cho ritiene che l’ipotesi di un «killer solitario» proveniente dall’establisment coreano e che entri in azione in un evento privato – un banchetto o una riunione – possa avere le chance più alte contro i sistemi di sicurezza capillari che proteggono il giovane Kim.
Un ipotesi che lo stesso Kim sembra prendere sul serio, considerando la risposta violenta della propaganda nordcoreana all’uscita della pellicola hollydoowdiana «The Interview» che prefigurava un piano rocambolesco per assassinare Kim ad opera dei serizi segreti statunitensi. Pellicola che in Corea del Nord è stata bandita poiché avrebbe «ispirato» l’omicidio del dittatore di Pyongyang.

Tokyo accende un radar nel Mar cinese orientale e sfida Pechino

Lunedì scorso Tokyo ha reso operativa una stazione di monitoraggio situata sull’isola di Yonaguni, un centinaio di chilometri a sud dalle isole Senkaku/Diaoyu contese da Cina e Giappone. La stazione radar, inaugurata dal colonnello Daigo Shiomitsu, al momento funzionerà come avamposto di raccolta di informazioni di intelligence circa l’attività marittima dell’esercito cinese, ma in futuro potrà essere utilizzata come snodo per operazioni militari giapponesi. Un’eventualità che, secondo gli analisti, è destinata ad irritare Pechino e a esacerbare lo scontro tra Giappone e Cina nel Mar cinese meridionale, teatro di attriti regionali che comprendono la maggior parte degli stati dell’asia orientale e sud orientale.

L’attentato di Lahore spinge il premier pakistano ad intensificare la guerra contro il terrorismo

Il gruppo terroristico Jamaat-ul-Ahrar, nato da una costola dei Taliban pakistani, ha rivendicato l’attentato di Pasqua al parco Gulshan-i-Iqbal nei pressi di Lahore, con un bilancio di oltre 70 morti e 300 feriti, in gran parte donne e bambini. Nonostante il gruppo volesse attaccare la comunità cristiana locale, radunatasi al parco per festeggiare la Pasqua, la maggioranza delle vittime è di fede musulmana.

Il premier Nawaz Sharif, in un meeting con le agenzie di sicurezza nazionali, ha riaffermato l’impegno del governo nella lotta al terrorismo interno, auspicando un salto di qualità nelle operazioni di intelligence pe prevenire futuri attentati.
In tutta risposta, nella giornata di lunedì una serie di raid delle forze dell’ordine ha colpito diversi «presunti terroristi e collaborazionisti», conducendo anche sequestri di armi e munizioni nelle città di Lahore, Multan e Faisalabad.

Nel frattempo un portavoce di Jamaat-ul-Ahrar ha dichiarato che l’attentato voleva essere un messaggio di avvertimento allo stesso Sharif, proveniente dalla regione del Punjab pakistano di cui Lahore è la capitale.
In risposta all’attentato che miravano a polarizzare la popolazione pakistana lungo divisioni religiose, centinaia di musulmani si sono riversati negli ospedali di Lahore per donare il proprio sangue e aiutare le vittime, anche cristiane, dell’esplosione.