Ancora guai per Zoom. La piattaforma di videoconferenza già finita nell’occhio del ciclone per aver “inavvertitamente” dirottato il traffico su server cinesi, è ancora una volta bersaglio di critiche per i suoi legami con Pechino. Secondo quanto denunciato da alcuni attivisti in esilio negli States, l’azienda avrebbe boicottato un evento organizzato per celebrare l’anniversario del massacro di Tian’anmen, il primo sul tema ad aver coinvolto un numero così vasto di partecipanti (circa 250). Tutt’altro che un episodio isolato, l’incidente segue la sospensione di video meeting altrettanto “sensibili”, uno sulle proteste di Hong Kong e un altro sempre sulla repressione dell’89. Respingendo le accuse, l’azienda – fondata dal sino-americano Eric S. Yuan – si è smarcata puntando il dito contro “le leggi locali”: anche se l’account dell’evento è registrato all’estero la partecipazione di utenti geolocalizzati oltre la Muraglia espone il servizio alle leggi cinesi. Ed è proprio questo il suo punto di forza e la sua fragilità al contempo. A differenza di Youtube, Facebook e altri social stranieri, Zoom non è soggetto a censura in Cina e permette di raggiungere un pubblico più vasto. O almeno così è stato finora. La società ha annunciato imminenti upgrade del servizio in modo da poter rimuovere selettivamente solo gli users registrati in Cina [fonte: SCMP, WaPo]
Twitter rimuove oltre 20.000 account filo-cinesi
Twitter ha disabilitato 23.750 account sospettati di diffondere informazioni favorevoli al governo cinese. L’annuncio – che segue di quasi un anno la chiusura di altri 936 profili filo-Pechino – si basa sull’analisi dati effettuata per conto dell’azienda dall’Australian Strategic Policy Institute (ASPI) e lo Stanford Internet Observatory. La campagna di disinformazione – cominciata nel 2017 – si avvale soprattutto di post in lingua cinese e negli ultimi tempi ha preso di mira principalmente le proteste di Hong Kong (32%), il milionario-dissidente Guo Wengui (20%) e l’epidemia di coronavirus (7%). Comportamenti. Pechino è nettamente il governo che cinguetta di più, seguito dalla Turchia e dalla Russia a quota 7.340 e 1.152 account rimossi. [fonte: SCMP]
L’Ue apre indagine su TikTok
Non solo gli Stati uniti. Anche l’Unione europea comincia a guardare con sospetto Tik Tok. L’European Data Protection Board (EDPB) ha istituito una task force per indagare sulle attività di elaborazione dei dati e le norme sulla privacy adottate nel Vecchio Continente dalla popolare app di micro-video “made in China”. L’inchiesta segue le preoccupazioni sollevate dall’europarlamentare Moritz Körner sui rischi per la sicurezza e la privacy degli utenti. Nel 2019 gli Stati Uniti hanno comminato all’azienda cinese una multa da 5,7 milioni di dollari per raccolta illegale di informazioni personali su minori. [fonte Caixin]
Hong Kong: prima azione legale contro un poliziotto dall’inizio delle proteste
Un tribunale di Hong Kong ha accettato di avviare un procedimento penale a carico del poliziotto che lo scorso novembre sparò contro uno dei manifestanti. L’azione legale, esercitata su richiesta del deputato democratico Ted Hui Chi-fung, è la prima a coinvolgere un agente dall’inizio delle proteste antigovernative. I capi d’accusa sono tre rispetto ai cinque inizialmente richiesti, tra cui aver sparato con l’intento di provocare gravi danni fisici. Il poliziotto rischia pene tra i sette anni e l’ergastolo. Da tempo i manifestanti chiedono un’indagine indipendente sulla condotta delle forze dell’ordine. Ad oggi sono circa 9.000 gli arresti, di cui 500 con l’accusa di sommossa. [fonte: NYT]
Ansia post-Lockdown: aumentano i sucidi tra gli studenti cinesi
Il ritorno sui banchi di scuola non è mai stato così tragico per i giovani cinesi ossessionati dalle ripercussioni che i voti presi oggi avranno sulla carriera un domani. I mesi di lockdown sembrano non aver aiutato ad allentare la tensione. Secondo lHealth Times, nei precedenti 3 mesi almeno 18 studenti si sono gettati nel vuoto, mentre a Pudong, il nuovo distretto di Shanghai, dall’inizio dell’anno sono stati almeno 14 i suicidi. Secondo un sondaggio condotto a marzo nella provincia del Guangdong, il 10,5% degli studenti intervistati aveva riportato problemi mentali attribuibili alle restrizioni imposte per limitare la diffusione del virus. [fonte Reuters]
Le schermaglie tra Cina e India minacciano la produzione di cashmere
Le frizioni tra Cina e India mettono a rischio la produzione mondiale di cashmere. Decine di migliaia di capre sono state allontanate dalle praterie del Ladakh, la regione dove i due giganti asiatici si fronteggiano periodicamente per riaffermare le proprie pretese territoriali. “Tra circa tre anni, quando le capre appena nate dovrebbero iniziare a produrre pashmina, vedremo un calo significativo della produzione”, ha spiegato Sonam Tsering dell’All Changtang Pashmina Growers Cooperative Marketing Society. Circa l’85% dei cuccioli è morto a febbraio dopo che la presenza militare nelle terre normalmente adibite al pascolo ha costretto gli animali ad arretrare nelle zone più fredde ad alta quota. Producendo 50 tonnellate di lana l’anno, le capre sono una risorsa fondamentale per il sostentamento della popolazione locale. Le tensioni sino-indiane rischiano di assestare il colpo di grazia ai produttori di cashmere già messi a dura prova dall’impatto del cambiamento climatico. [fonte: SCMP]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.