Dopo ripetute smentite, nel dicembre 2019 il governo dello Xinjiang ha finalmente ammesso l’esistenza dei campi per la rieducazione delle minoranze etniche. Le strutture esistono, aveva dichiarato il governatore Shohrat Zakir, ma i corsi sono conclusi e gli “studenti sono tutti tornati alla società”. Da allora diverse inchieste hanno messo in dubbio la versione ufficiale. Da ultimo uno studio dell’ Australian Strategic Policy Institute basato su rilevamenti satellitari, il quale – fornendo i dati più dettagliati pubblicati sinora – stima il numero delle strutture ad almeno 380, un 40% in più rispetto a quanto stimato precedentemente. “Almeno 61 siti di detenzione sono stati costruiti o ampliati tra il luglio 2019 e il luglio 2020. Tra questi almeno 14 strutture sono ancora in costruzione, secondo le ultime immagini satellitari disponibili”. Mentre alcuni campi sembrano essere stati desecurizzati e otto “mostrano segni di smantellamento”, “circa il 50% dei campi che hanno subito lavori di espansione e costruzione nell’ultimo anno sono strutture di massima sicurezza”. Secondo uno studio correlato, il processo di sinizzazione avviato in seguito agli episodi violenti del 2014 ha compreso la distruzione totale o parziale di circa 16.000 moschee, di cui la maggior parte negli ultimi tre anni. Quelle rimaste intatte sarebbero appena 15.000, il numero più basso dai tempi della Rivoluzione culturale. Le ultime rivelazioni rischiano di infiammare nuove polemiche a livello internazionale. Specie negli Stati Uniti, dove – da quando l’amministrazione Trump ha annunciato una prima tornata di sanzioni – l’implicita connivenza delle aziende statunitensi nei confronti delle violazioni dei diritti umani nella regione autonoma è diventata motivo di critiche. Dopo le accuse mosse contro la Disney, cinque senatori repubblicani hanno chiesto a Netflix di interrompere la collaborazione con l’autore cinese Liu Cixin, le cui principali opere dovrebbero diventare una serie tv. [fonte AFP ASPI, SCMP]
Il patron della Nongfu diventa l’uomo più ricco di Cina
Jack Ma non è più l’uomo più ricco di Cina. Il primato del fondatore di Alibaba è stato minacciato a più riprese dal Wang Jianlin, il patron di Wanda, poi da Pony Ma, Ceo di Tencent. Stavolta a scavalcare Ma è inaspettatamente Zhong Shanshan, fondatore della società Nongfu, il colosso cinese del beverage sbarcato alla borsa di Hong Kong a inizio settembre. Il patrimonio di Zhong ha raggiunto quasi 60 miliardi di dollari – 2 miliardi in più del papà di Alibaba – pari a un incremento di 50 miliardi di dollari dall’inizio dell’anno. Solo Jeff Bezos e Elon Musk sono riusciti a fare di meglio. Il sorpasso è avvenuto anche grazie alla quotazione del produttore di vaccini Beijing Wantai Biological Pharmacy Enterprise Co, di cui l’imprenditore è azionista di maggioranza. Soprannominato “il lupo solitario”, Zhong viene considerato un outsider tra i paperoni cinesi, per la maggior parte con interessi nell’hi-tech e nell’immobiliare. Secondo gli analisti, la fortuna del fondatore della Nongfu – che è diventato contemporaneamente il secondo uomo più ricco d’Asia – va attribuita alla fiducia riposta dagli investitori nell’industria dei consumi, su cui il governo punta per rilanciare la crescita colpita dall’epidemia. Ma il momento di gloria si preannuncia fugace. [fonte FT]
Pechino annuncia un piano per rilanciare le industrie strategiche
Pechino ha annunciato un piano per promuovere lo sviluppo delle “industrie strategiche emergenti”, dalla costruzione di reti mobili 5G alla robotica industriale. Secondo una circolare rilasciata mercoledì dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (NDRC), il Ministero della Scienza e della Tecnologia, il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology, e il Ministero delle Finanze, facendo leva sulle risorse statali, il governo cinese istituirà “10 basi industriali emergenti strategiche con influenza globale, 100 distretti industriali emergenti strategici con competitività internazionale e 1.000 ecosistemi industriali emergenti strategici con vantaggi unici”. Le aree che beneficeranno degli aiuti statali sono otto: la rete 5G e le sue applicazioni; biotecnologie e vaccini; produzione di fascia alta come la robotica industriale; il settore aerospaziale e la produzione di chip; nuove tecnologie energetiche; tecnologie e attrezzature ecologiche; veicoli intelligenti e a nuova energia; e infine le imprese digitali creative. Come ricorda il SCMP non è la prima volta che Pechino formula politiche industriali mirate a cementare i comparti strategici (stavolta chiaramente in risposta alle sanzioni americane). Prima ancora del Made in China 2025 (ridimensionato in seguito alle critiche internazionali), era già successo nel 2009 con esiti non proprio entusiasmanti: i finanziamenti avevano finito per creare produzione in eccesso là dove il mercato non lo richiedeva. Stavolta, tuttavia, il quotidiano hongkonghese ammette che il piano è più dettagliato e il contesto internazionale meno roseo. Ciononostante, le problematiche all’orizzonte sembrano le stesse. Per stimolare lo sviluppo delle aree mirate, il governo centrale ha esortato le autorità locali a direzionare i fondi nella ricerca e nelle industrie emergenti strategiche, incoraggiando i prestiti bancari. E il debito sale. [fonte SCMP]
Confermati contagi attraverso il pesce surgelato
Due lavoratori del porto di Qingdao, coinvolti nello scarico di prodotti ittici surgelati, sono risultati positivi al coronavirus sebbene asintomatici. Le autorità hanno testato 1.440 campioni prelevati nel magazzino, di cui 51 sono risultati positivi. I prodotti sono stati individuati e sigillati prima ancora di essere messi sul mercato. Da luglio a metà agosto, sono almeno 10 i casi positivi ad aver coinvolto pesce congelato in nove località diverse. Sette riguardano gamberetti bianchi congelati importati dal Sud America. Secondo alcuni esperti, il virus può rimanere attivo più a lungo nella catena del freddo. C’è chi ritiene persino riesca a sopravvivere per anni a temperature comprese tra – 10° e – 30° C. [fonte GT]
La ripresa economica discrimina i più deboli
L’economia cinese continua a mostrare segni incoraggianti. Dopo mesi di stagnazione, l’export aumenta e così anche la produzione industriale e le vendite retail. La crescita, tuttavia, sembra discriminare le aree geografiche e gli strati della popolazione più in difficoltà. E’ quanto emerge da uno studio di China Beige Book International, stando al quale mentre a Shanghai e nelle ricche province orientali del Zhejiang e del Jiangsu le aziende hanno visto i ricavi aumentare del 41% su base trimestrale, nelle regioni occidentali come Tibet, Gansu, Qinghai e Xinjiang, si è registrato un calo del 10%. Qui, stando alla ricerca, è anche più difficile ottenere prestiti bancari per puntellare la ripresa. Un andamento simile sembra farsi strada all’interno della popolazione, come evidenziato dai dati sulle vendite del lusso, in netto aumento, mentre l’acquisto di beni essenziali e di consumo stenta a tornare ai livelli pre- epidemici. Un dato che trova spiegazione nella distribuzione della ricchezza. Secondo Reuters, la maggior parte delle famiglie con redditi annui inferiori ai 100.000 yuan (14.800 dollari) ha visto la propria condizione economica peggiorare nel primo e nel secondo trimestre, laddove la popolazione con reddito superiori a 300.000 yuan ha riportato guadagni consistenti. [fonte Reuters, Reuters]
Tensioni Cina-Nepal
Cina e Nepal da una parte, India e Bhutan dall’altra. Negli ultimi tempi siamo stati abituati a questi schieramenti nell’inquieto quadrante himalayano. L’influenza di Pechino sulla politica interna di Kathmandu è infatti aumentata nel corso del tempo, soprattutto da quando è al potere il partito comunista locale. I rapporti con Nuova Delhi non sono invece idilliaci, come dimostrano alcuni incidenti al confine e una recente polemica su una carta politica pubblicata dal Nepal. Ora però è sorto qualche problema anche tra Nepal e Cina, in merito alla presunta costruzione di 11 edifici da parte di Pechino in una remota zona del distretto di Humla, che Kathmandu rivendica come proprio territorio. Nelle vicinanze, spiega il Kathmandu Post, il Nepal aveva costruito una strada negli anni scorsi. Pechino sostiene che i nuovi edifici sorgono su territorio cinese. Il tutto sarebbe nato dall’assenza di un pilastro di demarcazione nella (montuosa) area di confine. Le due parti si sarebbero comunque già confrontate via email e contano di risolvere la questione in maniera diplomatica, come d’altronde è sempre accaduto tra Pechino e Kathmandu, al contrario che tra Pechino e Nuova Delhi. Nel frattempo, però, ci sono state delle proteste davanti all’ambasciata cinese della capitale nepalese. [fonte Kathmandu post]
Accordo difensivo Italia-Corea
Forse ci siamo. A quasi due anni dall’accordo di cooperazione nel settore della difesa tra Italia e Corea del sud potrebbe arrivare la ratifica del parlamento italiano. L’accordo era stato firmato a Roma il 17 ottobre 2018 ma finora non era mai stato ratificato. I negoziati erano stati avviati addirittura nel 2011, per essere finalizzati durante la visita del presidente Moon Jae-in a Roma. Ora sembra che i tempi siano maturi. Il sottosegretario di Stato alla Difesa Angelo Tofalo, Movimento Cinque Stelle, è intervenuto in IV commissione alla Camera dei deputati per partecipare alla discussione sulla ratifica ed esecuzione dell’accordo. “L’obiettivo” ha spiegato Tofalo, è quello “di incrementare la cooperazione bilaterale tra le Forze armate dei due paesi, per migliorare le rispettive capacità difensive nel campo addestrativo, tecnologico e industriale”. Lo stesso Tofalo aveva seguito molto da vicino le ultime fasi che hanno portato all’accordo, visto che era già sottosegretario alla Difesa nel 2018, quando il ministro era ancora Elisabetta Trenta. Nel settembre 2018, Tofalo era stato anche a Seul per partecipare al Defense Dialogue 2018, da dove aveva insistito molto sulla cooperazione in materia di cybersecurity.
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.