A poco più di 24 ore dall’insediamento di Biden alla Casa Bianca, le relazioni diplomatiche tra Cina e Stati Uniti toccano uno dei momenti più bassi dal massacro di piazza Tian’anmen. Nella tarda serata di ieri Mike Pompeo ha annunciato che per il governo americano quanto compiuto da Pechino nel Xinjiang contro le minoranze musulmane equivale a “genocidio”. “Stiamo assistendo al tentativo sistematico di distruggere gli uiguri da parte del partito-stato cinese”, ha dichiarato il segretario di Stato americano. Il 27 dicembre il Congresso aveva approvato una nuova legislazione che imponeva all’amministrazione statunitense di determinare entro 90 giorni se il lavoro forzato o gli altri presunti crimini perpetrati nel Xinjiang vanno considerati crimini contro l’umanità o genocidio. Secondo stime della Nazioni Unite, nella regione autonoma, almeno 1 milione di uiguri e altri musulmani sono stati sottoposti a detenzioni extragiudiziali dal 2017. Riferimenti a intenti genocidi sono comparsi anche durante la campagna elettorale di Biden, noto sostenitore dei diritti umani, e ieri il nuovo segretario di Stato Antony Blinken ha concordato con la valutazione di Pompeo. L’annuncio alla vigilia del giuramento rischia tuttavia di complicare non poco il lavoro alla nuova amministrazione. Stando agli esperti, mentre l’annuncio non prevede automaticamente l’imposizione di nuove sanzioni (Washington ha già inserito importanti funzionari locali nella sua blacklist), la comunità internazionale sarà costretta a valutare se continuare a consentire alle proprie aziende di fare affari con lo Xinjiang, uno di principali fornitori al mondo di cotone e salsa di pomodoro. La Convenzione adottata dall’Onu alla fine della seconda guerra mondiale “stabilisce che il genocidio è atto vietato dal Diritto internazionale, con la conseguenza che la sua perpetrazione può far scaturire sia la responsabilità internazionale dello Stato, sia la responsabilità penale degli individui autori di atti di genocidio o in qualche modo coinvolti in essi. Tale responsabilità penale si determina anzitutto all’interno degli ordinamenti degli Stati contraenti; ma può anche sorgere nel quadro dell’ordinamento internazionale.” Negli Stati uniti, in Gran Bretagna e Canada sono già state introdotte alcune misure restrittive sull’import e l’export da e verso il Xinjiang. E poi ci sono in ballo le Olimpiadi invernali di Pechino 2022 che le organizzazioni per la difesa dei diritti umani chiedono che vengano boicottate. Sempre che non ci pensi il virus a farle fallire. Per l’establishment cinese sarebbe uno smacco difficile da accettare. Proprio ieri, Xi jinping ha visitato personalmente alcune delle strutture in cui si terranno – o meglio si dovrebbero tenere – i prossimi Giochi sulla neve. Se tutto andrà come da programma, la Cina diventerà l’unico paese ad aver ospitato sia l’edizione estiva che quella invernale. [fonte SCMP, Reuters, GT]
Jack Ma is back!
Jack Ma ha fatto la sua prima comparsa pubblica da ottobre, ovvero da quando un acceso contraddittorio con il vicepresidente Wang Qishan sull’importanza delle fintech aveva fatto deragliare l’ipo di Ant Group. Il golden boy cinese – insegnante di inglese in una vita precedente – ha partecipato a un evento online sulla scolarizzazione nelle aree rurali organizzato dalla Jack Ma Foundation. Non è chiaro dove si trovi in questo momento l’imprenditore. L’apparizione è tuttavia bastata a far schizzare le azioni di Alibaba sulla piazza di Hong Kong di oltre il 6%. D’altronde, la sorte toccata ad Ant va inserita nel contesto di una più stretta regolamentazione dei big tech cinesi che sta interessando tanto il settore finanziario quanto l’e-commerce. L’obiettivo delle autorità non è Jack ma l’ecosistema digitale che ha contribuito a creare. [fonte: SCMP]
La squadra di Biden si prepara a fronteggiare la Cina
Non è chiaro se l’intento dell’establishment di Trump sia quello di passare ai posteri come l’amministrazione americana più anticinese della storia recente. O se lo scopo sia piuttosto mettere a disagio il presidente eletto. C’è da dire che la squadra messa in piedi da Biden non sembra intenzionata a trattare la Cina con i guanti di velluto. Sempre ieri, poco prima dell’annuncio di Pompeo, Avril Haines, ex vicedirettrice della CIA candidata alla guida della National Intelligence, ha rilasciato un discorso che lascia presagire il proseguimento di una linea dura nei confronti di Pechino. “Il nostro approccio deve evolvere e sostanzialmente adattarsi alla realtà che oggi vede la Cina particolarmente assertiva e aggressiva”, ha spiegato Haines testimoniando davanti al Senato. Il nuovo capo dell’intelligence ha inoltre sottolineato la necessità di stanziare più risorse per fronteggiare la superpotenza soprattutto in riferimento agli attacchi informatici. Non meno affilati i commenti di Janet Yellen, scelta da Biden come segretario al Tesoro, che durante l’audizione di conferma ha accusato il gigante asiatico di “minacciare le aziende americane con attività di dumping, barriere commerciali e fornendo sussidi illegali alle società”. Secondo Yellen la Cina – definita “il nostro rivale strategico più importante” – ha “rubato la proprietà intellettuale e si è impegnata in pratiche che le conferiscono un vantaggio tecnologico ingiusto, compresi il trasferimento forzato di tecnologia”. Mentre non c’è menzione esplicita delle tariffe, Yellen ha spiegato che il Tesoro affronterà il gigante asiatico “con i nostri alleati piuttosto che unilateralmente”. Più cauto l’intervento di Antony Blinken, cui spetta l’onere di raddrizzare la politica estera americana, raccogliendo l’eredità scomoda di Pompeo. Il nuovo segretario di Stato ha ammesso che “senza dubbio” la Cina rappresenta la sfida più significativa per gli Stati Uniti, ma che non condivide le modalità con cui Trump ha cercato di contenerne l’ascesa. E ha aggiunto: “ci sono crescenti aspetti contraddittori nel rapporto, certamente competitivi, e ancora alcuni cooperativi quando è nel nostro reciproco interesse”. Nel discorsi di Blinken sono comparsi anche riferimenti alla partnership con Taiwan e alla dicotomia tra “tecnodemocrazie” e tecnoautocrazie”. Contestualmente, sempre ieri, è stato annunciato l’arrivo al Pentagono di Ely Ratner, che in virtù della sua esperienza in Cina ai tempi in cui era nel Foreign Relations Committee del Senato, sembra essere stato scelto per sopperire alla scarsa esperienza asiatica del nuovo segretario alla Difesa Lloyd Austin. [fonte Bloomberg, SCMP, Reuters, Politico]
Il manager più ricco di Cina è una donna
Cheng Xue, vicepresidente del produttore di salsa di soia Foshan Haitian Flavouring, ha raggiunto i vertici della Hurun China Richest Professional Managers 2021 diventando la manager più pagata di Cina. Il patrimonio personale di Cheng, ammonta a 65 miliardi di yuan (10 miliardi di dollari), grazie a una quota del 9% in Haitian. Oggi il valore dell’azienda, quotata sulla borsa di Shanghai dal 2014, è quattro volte quello della sua offerta pubblica iniziale del 2014. La 50enne fa parte di una cerchia la femminile sempre più ampia. Oggi, secondo l’azienda di ricerca, 11 dei 50 manager professionisti cinesi più ricchi sono donne. “Dei 50 migliori manager professionisti cinesi, un quinto è donna, valore superiore al 15% delle imprenditrici autodidatte riportate nel rapporto Hurun”. Tuttavia, il successo di Cheng potrebbe rappresentare un’eccezione piuttosto che la norma. Stando a Zhaopin.com, l’equivalente cinese. di LinkedIn, le donne cinesi guadagnano ancora in media il 22% in meno dei loro colleghi maschi. [fonte SCMP]
Il baijiu cambia nome e punta al mercato estero
Il baijiu, la famosa acquavite cinese, punta ai mercati esteri e cambia nome. Ufficialmente, si chiamerà “Chinese Baijiu”. Secondo la China Alcoholic Drinks Association, il Baijiu è tra i primi sei distillati al mondo insieme a brandy, whisky, vodka, rum e gin, ma per anni, in mancanza di una definizione inglese formale e precisa, è stato indicato con termini generici come “liquore” o “distillato” cinese”, causando confusione tra i consumatori stranieri. Data la vastità del mercato cinese, il baijiu rappresenta ben un terzo dei consumi mondiali di alcolici. Ma da alcuni anni a questa parte ha cominciato a ottenere un certo riconoscimento anche oltremare. Recentemente, Kweichow Moutai, il principale produttore della bevanda, ha raggiunto un valore di mercato superiore al Pil di Shenzhen: ben 419 miliardi di dollari. [fonte GT, SCMP]
Thailandia: 43 anni di carcere le lesa maestà
In Thailandia una donna è stata condannata a 43 anni di prigione per aver insultato la famiglia reale. È la condanna più pesante mai registrata nel paese per il crimine di ‘lesa-maestà’. Martedì Anchan, il cui cognome è tenuto segreto per proteggere l’identità dei familiari, “è stata giudicata colpevole per 29 capi d’accusa e condannata a tre anni per ciascuna colpa”. La pena complessiva di 87 anni è stata poi ridotta della metà. La donna, dichiara la Ong Thai Lawyers for Human Rights ha ammesso “di aver pubblicato messaggi audio ostili alla monarchia sui social network”. Ex funzionario pubblico, Anchan era già stata arrestata nel 2015 a causa della sua vicinanza a “DJ Banpodj”, podcaster noto per le sue feroci critiche alla famiglia reale. Stamattina è stato incriminato per lesa maestà e crimini informatici anche l’ex-leader di Future Forward Thanathorn Juangroongruangkit che aveva criticato ruolo di Siam Bioscience – di proprietà del fondo della corona – nella produzione dei vaccini anti-Covid. Negli ultimi mesi più di 40 attivisti sono stati arrestati per motivi simili. L’uso dell’articolo 112, quello che punisce la lesa-maestà, resta uno dei più controversi in Thailandia. La sua abolizione è una delle principali richieste che avanzano i manifestanti dall’inizio delle proteste in corso dalla scorsa estate. [fonte AP]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.