I titoli di oggi:
- Ap: Xinjiang primo al mondo per arresti
- Cina, alla Peking University una manifestazione contro le restrizioni Covid
- Covid, il lockdown a Shanghai rallenta i controlli ospedalieri negli Usa
- L’India chiude all’export di grano
- Indonesia, proteste contro lo stop all’export di olio di palma
Ap: Lo Xinjiang è la provincia con più arresti al mondo
1 persona su 25: sarebbe questo il tasso di incarcerazione della provincia cinese dello Xinjiang, dove da anni è in corso una controversa campagna di controllo della minoranza uigura. Il dato è stato diffuso dall’Associated press (Ap), agenzia di stampa internazionale, che afferma di aver ottenuto il più vasto elenco di nomi di reclusi in Xinjiang nella sola contea di Konasheher. Si tratta di oltre 10 mila persone, che andrebbero a comporre la cifra stimata dagli osservatori di almeno 1 milione di reclusi in tutta la provincia. Le pene citate nel documento vanno da due a venticinque anni, con una media di nove anni di reclusione. Le accuse sono coerenti con le dichiarazioni del governo cinese, che promette di eradicare il terrorismo dalla provincia. Sono pressoché assenti capi d’accusa come omicidi o furti.
Come denuncia il lungo approfondimento di Ap, il tasso record di incarcerazioni nello Xinjiang avvalora ulteriormente l’ipotesi della repressione sistematica della minoranza musulmana a opera di Pechino. Per fare un paragone, la proporzione di 1 carcerato ogni 25 persone è dieci volte maggiore di quella degli Stati Uniti, e trenta volte il tasso di reclusione della Cina. La fonte dell’elenco in questione è lo studioso Gene Bunin, che afferma di aver ottenuto le informazioni da una fonte anonima. L’agenzia si è confrontata con alcuni membri della comunità uigura rifugiata all’estero, che hanno identificato i nomi di parenti o amici “scomparsi” o “mandati a studiare” che non hanno più fatto avere loro notizie. Un trend, quello delle carcerazioni elencate, che accellera nel 2017 e sembra sovrapporsi alla trasformazione dei campi di lavoro i veri e propri centri di detenzione. Nel 2021 Unione Europea, Regno Unito, Stati Uniti e Canada hanno sanzionato diversi funzionari cinesi, nonché l’Ufficio di pubblica sicurezza del corpo di produzione e costruzione dello Xinjiang.
Cina, alla Peking University una manifestazione contro le restrizioni Covid
Confinati nel campus, impossibilitati a ricevere cibo e altri beni in arrivo dall’esterno. Le restrizioni per il contenimento della variante Omicron a Pechino non sono state accolte con favore dagli studenti della prestigiosa Peking University, che hanno organizzato una manifestazione durante la giornata di domenica 15 maggio. Tra le contraddizioni denunciate dai partecipanti, il fatto che insegnanti e famiglie del personale potessero entrare e uscire liberamente dall’area.
Le immagini delle manifestazioni hanno fatto il giro dei social network cinesi. Gli esperti, invece, osservano con attenzione quello che appare come un crescente disallineamento dell’élite universitaria dalle politiche del Partito. L’insofferenza dei cinesi per i lockdown senza fine e le normative draconiane potrebbe aggiungere un’ulteriore preoccupazione alla leadership di Partito. Nubi nere, quindi, sul Congresso nazionale del Pcc – l’appuntamento quinquennale che detta la direzione del paese.
Covid, il lockdown a Shanghai rallenta i controlli ospedalieri negli Usa
Che le restrizioni contro il Covid in Cina stiano avendo un impatto significativo sulle catene di approvvigionamento è un dato assodato. A Shanghai la chiusura delle fabbriche a causa dei focolai sta avendo conseguenze dirette sulla sanità statunitense. Come racconta il Washington Post, la chiusura dell’impianto di produzione di mezzi di contrasto radiografici di GE Healthcare sta influenzando pesantemente i controlli ospedalieri. L’azienda ha dichiarato di aver ridotto la capacità produttiva del 75% e prevede di tornare alla normalità solo per la fine di giugno.
I mezzi di contrasto sono delle soluzioni a base di iodio che facilitano l’analisi degli organi interni del paziente attraverso Tac o fluoroscopi. Gli ospedali hanno già iniziato a rimandare le visite ritenute meno urgenti. “È una crisi che non ho mai visto”, denuncia il cardiologo del Charlton Memorial Hospital Peter Cohn, “Abbiamo circa cinque giorni a disposizione prima che finiscano le scorte”.
Secondo gli economisti, la chiusura della Cina e la guerra in Ucraina stanno esacerbando le pressioni inflazionistiche in tutto il pianeta. I prezzi del trasporto marittimo da Shanghai agli States è aumentato quasi del doppio negli ultimi 12 mesi, mentre diminuiscono i lavoratori nei poli produttivi del paese – le rigide normative anti Covid hanno contribuito a “inceppare” le migrazioni interne. Ancora più che nel 2020, gli Stati Uniti (ma non solo) si trovano davanti a una Cina dalla quale non è così facile rendersi indipendenti.
L’India chiude all’export di grano
Nuova Delhi ha interrotto le esportazioni di grano indiano a partire da lunedì 16 maggio. Secondo maggiore produttore al mondo e detentore del 10% delle riserve globali di grano, il paese ha fatto presto retromarcia dopo le promesse del presidente Narendra Modi di riempire il vuoto lasciato dal conflitto ucraino. Il ministero del Commercio ha rilasciato un avviso lo scorso venerdì per annunciare che le condizioni attuali richiedono un freno alla fuoriuscita di una risorsa così preziosa dal paese. Tra i motivi elencati, l’ondata di caldo anomala che sta colpendo il subcontinente indiano e che rischia di abbattere la raccolta, con conseguente picco dei prezzi sul mercato nazionale.
Il World Food Program stima che il divieto potrebbe colpire oltre 47 milioni di persone nel mondo, già messe in pericolo dall’inflazione e dalla scarsità di risorse alimentari accessibili sui mercati più poveri. Per questa ragione la stessa agenzia Onu ad aprile aveva invitato paesi come l’India a non chiudere alle esportazioni. Come denunciano alcuni gruppi di rappresentanza degli agricoltori, la riduzione della domanda dopo il boom delle ultime settimane ridurrà inoltre le entrate delle aziende, con conseguenze importanti soprattutto per le imprese più piccole e fragili agli sbalzi del mercato.
Indonesia, proteste contro lo stop all’export di olio di palma
Anche a Giakarta il blocco sulle esportazioni di olio di palma sta scaldando gli animi. Martedì 17 maggio centinaia di persone si sono riversate nella capitale per manifestare la propria insoddisfazione: il mercato internazionale starebbe favorendo i competitor. Sui cartelli, frasi come “In Malayisia sorridono, mentre noi qui soffriamo”.
Lo scorso 28 aprile il governo indonesiano ha imposto il blocco delle esportazioni nel tentativo di controllare la pressione sui prezzi, ma così facendo le imprese produttrici di olio di palma hanno visto crollare i profitti fino al 70%. Almeno il 25% dei grandi frantoi, inoltre, avrebbe già smesso di acquistare l’olio di palma dai piccoli produttori.
A cura di Sabrina Moles