I numeri cinesi del contagio, per quanto di dubbia credibilità, sembrano essere sufficienti a permettere una rapida ripresa economica. Nella giornata di domenica, mentre i casi si fermavano a quota 31 (solo 1 autoctona), il presidente Xi Jinping raggiungeva la città portuale di Ningbo per rassicurare le piccole e medie imprese sul pieno sostegno del governo. Ma la lotta al virus non è finita. Anzi diventerà “una nuova normalità” con cui occorre imparare a convivere. La Cina si trova quindi ad affrontare “due difficili battaglie”: sconfiggere l’epidemia e rilanciare la crescita nazionale. Quella di ieri è la prima trasferta di Xi dopo la breve comparsa a Wuhan del 10 marzo. Le immagini diffuse dai media statali mostrano il leader senza mascherina mantenere una distanza di sicurezza dal personale locale. La scelta di Ningbo non è casuale. La città si trova nel Zhejiang, provincia – di cui Xi è stato segretario del partito tra il 2002 e il 2007 – che conta per il 13% dei commerci internazionali condotti dalla Cina.[fonte: SCMP]
Gli Usa accolgono materiale medico in arrivo dalla Cina
12 milioni di guanti, 130.000 maschere N95, 1,7 milioni di maschere chirurgiche, 50.000 tute mediche, 130.000 unità disinfettanti per le mani e 36.000 termometri. E’ il prezioso carico giunto ieri a New York con un volo da Shanghai. Si tratta della prima delle ventidue spedizioni di materiale sanitario – finanziate dalla Federal Emergency Management Agency – in arrivo nelle due prossime settimane dall’estero, sopratutto da Cina, Vietnam e Malaysia. Il progetto – il primo a coinvolgere distributori privati e la Casa Bianca – dovrebbe aprire un ponte aereo in grado di tagliare i tempi di consegna rispetto alle abituali rotte marittime. Nonostante le accuse incrociate tra Pechino e Washington, il decoupling tra le due superpotenze rimane uno scenario inattuabile. La recente telefonata tra Xi Jinping e Trump, sebbene non del tutto risolutiva, servirà nell’immediato ad allentare la tensione dopo l’escalation provocata dalla diffusione in Cina di teorie complottiste sulle presunte responsabilità americane nella diffusione del contagio. [fonte: Axios]
Dalla Cina materiale sanitario difettoso
Dopo che la scorsa settimana la Spagna aveva annunciato che centinaia di migliaia di kit di test rapidi inviati da una società cinese erano inattendibili, anche Olanda e Turchia si aggiungono alla lista di paesi che avrebbero ricevuto materiale sanitario difettoso prodotto in Cina. Sabato scorso infatti, le autorità olandesi hanno sequestrato 600.000 maschere fabbricate in Cina poiché non conformi agli standard di qualità, generando lo sgomento del personale medico destinatario del carico: le mascherine N95 – note come FFP2 in Europa – svolgono infatti un ruolo fondamentale nell’assistenza sanitaria, poiché dovrebbero bloccare oltre il 90% delle particelle sospese nell’aria che possono trasportare il Covid-19. Il problema con le maschere cinesi è stato scoperto per la prima volta dagli ospedali che le hanno ricevute poiché le maschere non aderivano correttamente al viso, mentre le indagini del ministero della Salute olandese avrebbero solo in seguito svelato che il filtro delle mascherine possedeva meno della metà dell’efficienza richiesta per la designazione FFP2. Lamentele riguardanti materiale medico di bassa qualità arrivano anche dal ministro della sanità turco Fahrettin Koca, che ha confermato che venerdì scorso la Turchia avrebbe provato alcuni test rapidi arrivati dalla Cina che avrebbero un tasso di precisione inferiore al 35%. Koca ha tuttavia precisato che la Turchia ha ricevuto altri kit diversi ed affidabili provenienti dalla Cina. [fonte SCMP; MEE]
L’Asia sperimenta una nuova ondata di xenofobia
Sebbene i casi autoctoni di coronavirus siano drasticamente in calo, nelle ultime settimane i funzionari sanitari cinesi hanno riferito di nuovi casi “importati” dagli stranieri che rientrano nel paese. Ciò si è immediatamente manifestato a livello sociale con una crescente xenofobia da parte dei cittadini verso gli stranieri residenti in Cina, che secondo alcune testimonianze sarebbero stati allontanati da ristoranti, negozi ed hotel e sottoposti a controlli sanitari arbitrari da parte delle autorità sanitarie. Secondo alcuni esperti, l’improvvisa attenzione prestata dal governo agli occidentali residenti in Cina sarebbe da spiegarsi in un malcelato tentativo della leadership cinese di rafforzare la sua immagine agli occhi dei propri cittadini, in seguito a diversi moti di malcontento emersi nel paese durante la quarantena forzata. Tuttavia, l’ondata di xenofobia verso gli occidentali non sarebbe una prerogativa tutta cinese. In Vietnam, l’ostilità nei confronti degli stranieri ha raggiunto un livello tale da innescare una reazione ufficiale del ministero degli Esteri vietnamita. In Thailandia, secondo quanto riferito da alcuni media, un account Twitter del ministro della Sanità – poi cancellato – dichiarava che il Paese doveva essere “più attento agli occidentali che agli asiatici” a causa della loro scarsa igiene personale e del mancato uso di maschere. A ridimensionare tuttavia le accuse di xenofobia in Cina vi sono i dati ufficiali del Ministro degli Esteri cinese, che ha dichiarato che circa il 90% dei casi di coronavirus importati sarebbero relativi ad individui titolari di passaporto cinese di rientro nel Paese. [fonte: TheGuardian]
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Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.