Questa mattina la leadership cinese capitanata da Xi Jinping si è recata presso il mausoleo di Mao Zedong in piazza Tian’anmen per rendere omaggio al fondatore della Repubblica popolare, che il prossimo 1 ottobre compirà 70 anni. Il presidente cinese si è inchinato tre volte davanti alla statua del Grande Timoniere e ha visitato la salma del defunto leader. La cerimonia coincide con il giorno dei Martiri. “Una nazione promettente deve avere eroi e un paese con prospettive future deve avere dei pionieri”, ha dichiarato Xi. Il presidente non visitava il memoriale da sei anni, ovvero dal 120esimo compleanno di Mao [fonte: AFP]
Hong Kong ricorda gli Ombrelli
E’ ancora guerriglia per le strade di Hong Kong, dove nel weekend i manifestanti sono tornati in strada per ricordare il quinto anniversario delle proteste degli Ombrelli. Admiralty, Wan Chai e Causeway Bay sono diventate scenario di scontri tra polizia e manifestanti in prossimità dei palazzi del potere. Il picco è stato raggiunto domenica, quando la polizia ha cominciato a sparare lacrimogeni prima del solito e un ufficiale in borghese ha sparato un colpo di avvertimento verso il cielo per scacciare i manifestanti. Più di 100 persone sono state arrestate, mentre sono almeno 25 i feriti ad essere stati portati in ospedale con ferite, compresi alcuni giornalisti. In segno di solidarietà, anche a Taiwan circa 100mila persone sono scese in strada per dire no alla formula “un paese due sistemi” con cui Xi Jinping punta a riannettere l’isola oltre lo Stretto. Intanto a Pechino procedono i preparativi per i 70 anni della Rpc con un occhio a quanto avverrà nell’ex colonia britannica, dove la leadership locale si prepara a festeggiare al coperto e senza fuochi d’artificio per limitare possibili incidenti. Ma Carrie Lam non ci sarà. La chief executive è infatti in partenza per la mainland dove si tratterrà fino a martedì sera con una folta delegazione [fonte: Reuters]
La Cina fa un passo indietro sul clima
Quello che si temeva è accaduto, Pechino lascia il Summit sul clima delle Nazioni Unite, conclusosi venerdì , senza alzare la posta dei propri impegni climatici e delude tutti. In un consesso segnato dall’assenza di grandi emettitori come Australia e Giappone e disturbato dall’incursione di Trump, la Cina smette i panni di portabandiera della lotta al cambiamento climatico e ridimensiona il proprio ruolo ad “attivo partecipante”. Il cambio di atteggiamento era già evidente nel position paper pubblicato dal Ministero dell’Ambiente nei giorni precedenti il Summit. La Cina riconferma i propri impegni per rispettare i target stabiliti, propone, in un manifesto firmato con la Nuova Zelanda, soluzioni per adattamento e la mitigazione basate sulla natura ma non risponde all’appello della comunità scientifica a fare di più. Atteggiamento prudente oppure volontà di cambiare linea, anche in conseguenza del ritiro americano e della guerra commerciale in atto? Difficile dirlo, alcuni esperti credono che non sia il Summit delle Nazioni Unite il palcoscenico adatto per la Cina per spingere sull’acceleratore degli impegni e consigliano di attendere e che le cose si chiariranno meglio al COP25 che si svolgerà in Cile a Dicembre. Tra i 77 paesi che si sono impegnati a raggiungere emissioni zero entro il 2050, manca la Cina e la diplomazia sul clima sembra, almeno per il momento, perdere quello che aveva sperato potesse essere il proprio leader [fonte: China Dialogue]
I colossi cinesi verranno banditi da Wall Street?
Secondo un rapporto Bloomberg News dello scorso venerdì, gli Stati Uniti avrebbero preso in considerazione diverse misure che prevedono il delisting delle 156 società cinesi quotate sulle piazze americane e l’imposizione di barriere che impedirebbero alle società con sede in Cina di attingere ai mercati dei capitali statunitensi. Potenziali misure includerebbero anche il divieto, per i fondi pensionistici governativi, di esporsi ad azionisti cinesi e la limitazione della presenza di aziende cinesi in indici azionari a gestione statunitense. La spinta che ha portato a questo possibile embargo finanziario è arrivata in gran parte dai collaboratori più stretti di Trump, come il consigliere commerciale della Casa Bianca Peter Navarro e Steve Bannon, che sostengono che qualsiasi investimento statunitense in società cinesi, siano esse quotate negli Stati Uniti o in Cina, espone gli investitori a potenziali frodi a causa di scarsi standard cinesi di governo societario. Il rapporto ha innervosito i mercati, causando il crollo dell’indice S&P 500, che ha chiuso la giornata di venerdì con circa lo 0,5%in meno: anche le azioni di società con sede in Cina quotate negli Stati Uniti, come Alibaba e Baidu, sono crollate, lasciando gli azionisti nel panico. Un falso allarme? Nonostante le smentite della portavoce del Tesoro Monica Crowley, interrogata sulla questione, al Congresso alcuni legislatori – in particolare il senatore Marco Rubio, repubblicano della Florida –hanno messo a punto una mozione per applicare un maggiore controllo delle società cinesi negli indici azionari e nei fondi pensione statunitensi. La Casa Bianca è stata in contatto con Rubio per discutere della questione e potrebbe sostenere la mozione, ma le prospettive per la sua approvazione al Congresso restano ancora poco chiare. [fonte: Reuters]
Una pièce teatrale in onore dell’informatrice che ha denunciato il grande scandalo dell’HIV in Cina
“The King of Hell’s Palace”: così si chiama l’opera teatrale ispirata alla vita di Shuping Wang, l’informatrice che negli anni ’90 ha denunciato al governo cinese la negligenza delle banche del sangue della Cina centrale, che commercializzavano sangue infetto dal virus dell’HIV. Era il 1995 e la dottoressa Wang aveva scoperto un campione di sangue di donatore che era risultato sieropositivo ma che aveva venduto sangue in quattro diverse province cinesi. Inizialmente, Wang aveva ordinato di procedere con test preliminari per l’HIV in tutte le banche del sangue nella provincia cinese dell’Henan, ma le fu detto che sarebbe stato troppo costoso. Di conseguenza, aveva deciso di acquistare kit per testare autonomamente il sangue: sugli oltre 400 donatori, più del 13% risultarono positivi all’HIV. I risultati furono immediatamente riferiti al ministero della sanità di Pechino, con la conseguente chiusura di tutte le banche del sangue della Cina centrale e l’inserimento dell’obbligo di testare previamente tutti i campioni di sangue. Lo scandalo ebbe un impatto tale sul business delle banche del sangue in Cina che la dottoressa Wang fu minacciata ed obbligata a lasciare il suo lavoro, portandola nel 2001 a stabilirsi definitivamente negli Stati Uniti. Tuttavia, il suo passato l’ha seguita: nel 2019 alcuni funzionari della sicurezza dello stato cinese hanno minacciato parenti ed ex colleghi della dottoressa nel tentativo di annullare la produzione di uno spettacolo ispirato alla sua vita. Tuttavia, la pièce intitolata “The King of Hell’s Palace” è stata presentata in anteprima all’Hampstead Theatre di Londra a settembre scorso. Shuping Wang è deceduta il 21 settembre, presumibilmente per arresto cardiaco, durante un’escursione in famiglia a Salt Lake City. [fonte: Bbc]
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Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.