I titoli di oggi:
- Xi avverte: “Sul clima la Cina non deve farsi influenzare”
- Ancora silenzio da Pechino sul dialogo sulla difesa tra Usa e Cina
- Spariti i dati sulla cremazione nello Zhejiang
- Seul inasprisce le pene per combattere l’abbandono di infanti
- Nominato il nuovo direttore dell’ufficio per la sicurezza nazionale di Hong Kong
- Thailandia: il parlamento impedisce a Pita di essere nuovamente candidato a primo ministro
- Papua Nuova Guinea, l’Esercito Usa potrà stanziare nel paese per 15 anni
Xi avverte: “Sul clima la Cina non deve farsi influenzare”
Nei giorni in cui l’inviato speciale Usa per il Clima, John Kerry, si trovava a Pechino, il presidente cinese ha dettato le linee per il dialogo tra la due superpotenze. La Cina deve determinare da sé gli obiettivi da perseguire nella lotta al cambiamento climatico, e non farsi influenzare da altri. È quanto ha detto Xi Jinping, durante la conferenza nazionale sulla protezione ecologica e ambientale. Per quanto riguarda gli obiettivi del raggiungimento del picco delle emissioni, entro il 2030, e della neutralità carbonica – che la Cina si impegna a raggiungere entro il 2060 – “il nostro impegno è incrollabile”, ha detto Xi, citato dall’agenzia Xinhua, “ma il percorso verso gli obiettivi, così come il modo, il ritmo e l’intensità degli sforzi per raggiungerli deve essere determinato da noi stessi, piuttosto che influenzato da altri”.
Kerry, dalla sua missione di quattro giorni nella capitale cinese, non porta a casa un accordo con il gigante asiatico, in particolare per la riduzione delle emissioni di gas serra, ma ottiene il sostegno dal vicepresidente cinese Han Zheng, che gli ha detto che Pechino è disposta a cooperare nella lotta contro il riscaldamento globale. L’ex Segretario di Stato Usa, che ha fatto appello alla Cina per tagliare le emissioni inquinanti, per la decarbonizzazione e per ridurre la deforestazione, ha evidenziato l’impegno a lavorare intensamente in vista della Cop28 di Dubai. Sottolineando che non si è trattato di un unico incontro con gli esponenti del governo cinese, Kerry ha espresso al sua preoccupazione sulla crisi climatica, che considera una “minaccia universale”, e per questo i colloqui tra Washington e Pechino sul tema non devono essere influenzati dai contrasti politici. Un’impresa non facile, dopo che, lo scorso agosto, per protesta contro la visita a Taiwan dell’allora speaker della Camera Nancy Pelosi, i rappresentanti cinesi avevano abbandonato il dialogo sul clima.
Ancora silenzio dalla Cina sul dialogo sulla difesa tra Usa e Cina
Se le due superpotenze portano avanti il dialogo sul clima, non si può dire lo stesso per quello sulla difesa, interrotto all’indomani del viaggio a Taiwan dell’ex speaker della Camera Usa Nancy Pelosi. L’esercito cinese avrebbe ignorato il contatto dell’ammiraglio responsabile del Comando Indo-Pacifico, John Aquilino. L’alto ufficiale statunitense ha dichiarato che i suoi tentativi di contattare le sue controparti cinesi sono stati ignorati o rifiutati, compreso un recente invito a partecipare alla conferenza annuale dei capi della difesa alle Fiji ad agosto.
Il rifiuto delle autorità cinesi di parlare con i leader militari statunitensi rappresenta una preoccupante lacuna che tende ad annullare gli sforzi dell’amministrazione Biden per migliorare le relazioni tra le due maggiori economie mondiali, sottolinea il quotidiano singaporeano Straits Times. A ciò si aggiungono le recenti dichiarazioni dell’ambasciatore cinese negli Usa Xie Feng, che all’Aspen Security Forum ha detto che la “massima priorità” di Pechino ora è impedire il passaggio del candidato Dpp William Lai negli States.
Spariti i dati sulla cremazione nello Zhejiang
I dati ufficiali sulla cremazione nello Zhejiang nel 2023 sono spariti. Nella precedente rassegna avevamo raccontato dell’aumento delle cremazioni nella provincia sud-orientale cinese del 72,7% rispetto all’anno precedente, con il record di 171mila cremazioni registrate nel primo trimestre dell’anno (più 72mila rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Si trattava di uno dei pochi dati rilasciati dal governo sulle morti nel paese a seguito della fine della politica Zero Covid lo scorso gennaio. Ma queste rivelazioni sono ora sparite dal sito web del governo provinciale, pochi giorni dopo la loro pubblicazione.
A febbraio, la Cina ha dichiarato che il bilancio ufficiale delle vittime nel continente dall’inizio della pandemia è stato di 83.150, un numero che secondo ricercatori indipendenti non è credibile. Successivamente, il governo ha pubblicato solo il bilancio delle vittime settimanale o mensile, facendo perdere traccia del reale numero dei decessi legati al Covid.
Seul inasprisce le pene per combattere l’abbandono di infanti
La Corea del Sud ha approvato un disegno di legge che punisce più severamente l’abbandono di neonati e l’infanticidio. Ciò avviene a distanza di 70 anni dalla prima norma sull’abbandono e uccisioni di infanti.
Prima della revisione, le sanzioni per l’abbandono di un neonato riconoscevano determinate attenuati, tra cui l’impossibilità della madre e persino dei nonni di prendersi cura del bambino. Con la nuova norma, la pena massima per l’abbandono degli infanti sale a tre anni di carcere o prevede una multa di cinque milioni di won rispetto agli attuali due anni di detenzione e tre milioni di won di sanzione.
Sempre in base alla revisione, per l’uccisione di un neonato è ora previsto l’ergastolo o la pena di morte, abolendo così l’attuale pena detentiva di 10 anni.
Nominato il nuovo direttore dell’ufficio per la sicurezza nazionale di Hong Kong
La Cina ha nominato un ex alto funzionario della sua agenzia di intelligence segreta come nuovo capo dell’ufficio per la sicurezza nazionale di Pechino a Hong Kong. Dong Jingwei, 59 anni, è il nuovo direttore dell’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale della città.
Dong in precedenza in precedenza ha coperto il ruolo di vice ministro della sicurezza dello stato a Pechino. Succede a Zheng Yanxiong, che a gennaio è passato all’ufficio di collegamento della città.
L’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale è stato istituito nel 2020, pochi mesi dopo che la Cina ha imposto una legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong in risposta ai mesi di proteste antigovernative.
Thailandia: il parlamento impedisce a Pita di essere nuovamente candidato a primo ministro
È stato un mercoledì movimentato per la politica thailandese. Dopo la sospensione dal parlamento del candidato premier Pita Limjaroenrat (leader del Move Forward) a opera della corte costituzionale, la seconda votazione di Camera e Senato per la nomina del primo ministro è stata di fatto annullata. Si tratta di due vicende slegate tra loro. Ieri era in programma la seconda seduta congiunta del parlamento thailandese per l’elezione del prossimo premier: l’unico candidato, come lo scorso 13 luglio, era ancora una volta l’esponente degli arancioni. Secondo i senatori e i deputati dei partiti esterni alla coalizione guidata dal Move Forward, però, i regolamenti parlamentari vietano di ripresentare una mozione fallita durante la stessa sessione parlamentare. E quindi vietano di fatto di candidare due volte a primo ministro la stessa persona che ha già fallito una votazione, una condizione che però non è prevista nella costituzione. A seguito di oltre sette ore di dibattito, il parlamento ha votato contro la nuova nomina di Pita a primo ministro (394 “no” contro 312 “sì”). La votazione è stata dunque annullata e la terza sessione per eleggere il nuovo premier è stata programmata per il prossimo 27 luglio.
Gli scenari si sono fatti ancora più incerti. Non è chiaro se il secondo partito della coalizione, il Pheu Thai, si assumerà la leadership dell’alleanza, né quale sarà il candidato premier. Di certo si è aperto un precedente: “Ogni nuovo candidato primo ministro ora dovrà essere certo di vincere alla prima votazione”, ha dichiarato l’analista thailandese Ken Mathis Lohenpanont. E intanto, come documentato dal Thai Enquirer, si sono registrate le prime proteste (pacifiche) nelle strade attorno al Monumento alla Democrazia di Bangkok.
Papua Nuova Guinea, l’Esercito Usa potrà stanziare nel paese per 15 anni
Iniziano a emergere i primi dettagli dell’accordo sulla difesa stipulato lo scorso maggio tra gli Stati Uniti e il governo della Papua Nuova Guinea. L’amministrazione ha acconsentito all’accesso delle truppe statunitensi ad alcune località strategiche per i prossimi 15 anni, con possibilità di proroga. Il documento, riporta Nikkei Asia che ne ha visionato una copia, prevede l’utilizzo della base navale di Lombrum sull’isola di Manus e l’aeroporto di Momote, nonché i porti e gli aeroporti della capitale Port Moresby e a Lae. Ora si attende, entro al fine del mese, il passaggio del segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin che, secondo quanto riportato dalla Casa Bianca, si recherà nel paese per “discutere dei prossimi passi” dell’implementazione di quanto concordato.
A cura di Serena Console; hanno collaborato Francesco Mattogno e Sabrina Moles
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.