Pechino ha messo da parte la cautela ostentata negli ultimi mesi di guerra commerciale. Da quando Trump ha rincarato le tariffe e aggiunto misure restrittive contro Huawei, i media statali hanno deposto i guanti di velluto per soffiare sul fuoco del nazionalismo. “Se volete negoziare la porta rimane aperta. Ma se volete la guerra, combatteremo fino alla fine”. Lo scorso lunedì l’anchorman della CCTV Kang Hui ha dato il via a una serie di stoccate spiccatamente patriottiche comparse negli ultimi giorni sugli organi d’informazione ufficiali. Per Pechino, l’accordo proposto da Washington ricorda i trattati ineguali firmati dall’ex Celeste Impero sotto la minaccia armata delle potenze nazionaliste. “Dopo 5.000 anni di vento e pioggia, cosa non ha saputo sopportare la nazione cinese?” si chiede Kang in un monologo che su Weibo ha conquistato quasi 3 miliardi di click in quattro ore. Sullo stesso spartito la stampa statale – compreso l’ufficialissimo Quotidiano del Popolo – che non ha mancato di sottolineare come la guerra commerciale renderà il popolo cinese più forte. Intanto il canale CCTV 6 sono tre giorni che trasmette film anti-americani ambientati durante la Guerra di Corea con risultati non “Sembra che non ci siano nuove serie TV o film anti-americani recenti, quindi hanno escogitato questi vecchi film per farci il lavaggio del cervello,” scrive un utente su Weibo [fonte: AP, Reuters, What’s on Weibo]
Google sospende i servizi a Huawei
Google ha sospeso tutte le attività con Huawei che richiedono il trasferimento di hardware, software e servizi tecnici ad eccezione di quelli disponibili attraverso licenze open source. La decisione, che segue di pochi giorni l’inserimento del colosso di Shenzhen nella lista nera del Dipartimento del Commercio americano, preclude immediatamente l’accesso agli aggiornamenti del sistema operativo Android, mentre le versioni future degli smartphone Huawei non potranno più usufruire di servizi quali Google Play Store e le app di Gmail e YouTube. Rispondendo alle indiscrezioni rivelate in prima battuta dalla Reuters, l’azienda di Mountain View ha detto di “rispettare l’ordine [del Dipartimento del Commercio] e valutarne le implicazioni”: “Huawei potrà utilizzare la versione open source di Android e non potrà accedere ad app e servizi proprietari di Google”. L’esclusione di Huawei dal circuito americano rischia di avere pesanti ripercussioni per le attività della compagnia e dei suoi fornitori. Per stessa ammissione dell’azienda circa il 30% dei suoi componenti sono acquisiti negli Stati Uniti, mentre secondo il Nikkei Asian Review il 60% dei fornitori sono asiatici. Secondo molti, l’unità interna dedicata allo sviluppo di semiconduttori HiSilicon non è ancora in grado di sopperire al taglio dei rifornimenti esterni [fonte: Reuters]
Delhi ha sabotato il riavvicinamento tra Pechino e il Dalai Lama
Sarebbe stata l’India a far deragliare un possibile incontro tra Xi Jinping e il Dalai Lama, il leader tibetano che Pechino considera ufficialmente un pericolo per l’unita del paese. Secondo un’intervista ripresa nell’ultimo libro della giornalista indiana Sonia Singh, Sua Santità aveva espresso il desiderio di conoscere il presidente cinese nel 2014, durante la sua visita di Stato in India – dove Tenzin Gyatso è fuggito dopo l’invasione cinese del Tibet-, ma Nuova Delhi si sarebbe opposta. Il ministero degli Esteri ha definito l’indiscrezione una “vera insensatezza” ma il silenzio del governo Modi rischia di venire interpretato come un tacito assenso. Secondo gli esperti, la rivelazione del mancato incontro potrebbe servire come messaggio di scoraggiamento indirizzato dal Dalai Lama al movimento tibetano dopo anni di inutile perseguimento del dialogo politico. A marzo, in concomitanza con il 60esimo anniversario dell’annessione del Tibet, il governo cinese ha pubblicato un nuovo libro bianco sulle riforme avviate nella regione autonoma in cui per la prima volta non si fa più cenno alla volontà di mantenere un canale di counicazione con il leader religioso. Non ha sicuramente giovato l’insistenza con cui recentemente Tenzin Gyatso ha confermato la volontà di sottrarre la scelta del proprio successore al controllo di Pechino [fonte: Guardian]
Taiwan: la strada per i diritti gay è ancora in salita
Lo scorso venerdì Taiwan è diventata il primo paese asiatico a legalizzare il matrimonio gay. Con una maggioranza di 66 a 17, il parlamento ha approvato delle tre proposte la bozza di legge più progressista che conferisce alle coppie dello stesso sesso pieni diritti legali, tanto sul versante fiscale quanto in materia di custodia dei figli. Definita dagli attivisti per la difesa dei diritti gay l’opzione meno peggiore, in realtà, la legge è tutt’altro che perfetta e lascia aperte diverse incognite in caso di adozione e unioni con persone di nazionalità diverse. E non è escluso nemmeno che l’esito delle prossime legislative possa aprire un varco in parlamento per le istanze anti-gay. Nel frattempo, il 25 maggio, si terrà il primo matrimonio di massa a cui parteciperà una ventina di coppie omosessuali [fonte: New Bloom]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.