I titoli della rassegna di oggi:
– La camera di commercio europea dice no al protezionismo, sì alle riforme
– L’internazionalizzazione dello yuan passa per i «Mulan bond»
– L’ombra di Pechino sulle elezioni di Hong Kong
– Pechino e Shanghai dicono no a scooter elettrici e segway
– India: nel 2015 il traffico di esseri umani è cresciuto del 25 per cento
– Dal Pakistan una app per combattere i pregiudizi sul ciclo La camera di commercio europea dice no al protezionismo, sì alle riforme
L’ennesima strigliata da parte dell’Unione Europea è arrivata con il rapporto annuale reso noto a pochi giorni dal G20 di Hangzhou (4-5 settembre). Sul summit pesa l’ombra del protezionismo commerciale a doppio senso, con Pechino adirata per il mancato accordo sulla vendita del colosso australiano dell’elettricità Ausgrid e la posticipazione del progetto nucleare sino-franco-britannico di Hinkley Point. Ma per Bruxelles i paletti fissati da Pechino contro le aziende straniere operanti in Cina sono di gran lunga più preoccupanti e blindano di fatto settori chiave come la sanità, la logistica e i servizi finanziari.
L’Unione Europea reclama le riforme sbandierate nell’autunno del 2013 dall’amministrazione Xi Jinping ma che i burocrati del blocco temono siano finite in coda nella lista delle priorità cinesi, dominata invece da riforme politiche e guerra alla corruzione. Non tranquillizza la posizione assunta sulla questione della sovrapproduzione industriale, che l’Ue ritiene di ostacolo all’assegnazione alla Cina dello status di economia di mercato.
L’internazionalizzazione dello yuan passa per i «Mulan bond»
Mercoledì 31 agosto, per la prima volta la Banca Mondiale ha emesso sul mercato interbancario cinese 700 milioni di dollari di bond denominati in diritti speciali di prelievo (SDR), l’unità di conto del Fondo Monetario Internazionale che comprende il dollaro statunitense, l’euro, la sterlina, lo yen giapponese e dal prossimo 1 ottobre anche il renminbi. Fin dal 2009 Pechino ha manifestato la volontà di sviluppare gli SDR come supervaluta in grado di rimpiazzare il dollaro negli scambi internazionali, nonostante una spinta in tal senso si fosse arenata già negli anni ’80.
L’emissione – che fa parte della cessione di 2 miliardi di bond SDR concessa alla People’s Bank of China – sarà regolata in yuan. Il vicepresidente e tesoriere della Banca Centrale Arunma Oteh ha dichiarato che i fondi ottenuti dalla vendita dei Mulan bond andranno in non meglio precisati progetti di investimento. Tra gli investitori interessati ci sono Export-Import Bank of China più vari istituti di credito statali e società di brokeraggio, inclusa la China International Capital Corporation. Il debutto dei «Mulan bond» (nome mutuato dalla guerriera cinese Mulan) arriva a pochi giorni dal G20 di Hangzhou, prima volta che ad ospitare il prestigioso summit economico è una città cinese.
L’ombra di Pechino sulle elezioni di Hong Kong
E’ ormai conto alla rovescia verso la chiamata alle urne che domenica vedrà 4 milioni di persone eleggere i 70 membri del Consiglio Legislativo, l’organo legislativo monocamerale di Hong Kong. Secondo fonti Reuters, dietro la recente squalifica dei candidati indipendentisti ci sarebbe la mano di Pechino. A giugno l’Electoral Affairs Commission aveva richiesto che tutti i candidati sottoscrivessero un documento in cui si riconosceva Hong Kong come parte «inalienabile» della Cina. Da allora è stata respinta la registrazione di circa una mezza dozzina di persone, compresi quanti avevano sottoscritto il giuramento. Un numero troppo esiguo, secondo gli inquilini di Zhongnanhai. Stando ad una delle fonti, Pechino avrebbe «dato espressamente l’ordine di epurare il movimento pro-indipendenza», nato dalle ceneri delle proteste democratiche del 2014 e in continua ascesa.
Nel 1997, l’ex colonia britannica è stata restituita alla Cina a patto che venissero assicurate ampie libertà per 50 anni. Nessuno sa cosa accadrà dopo il 2047 e la crescente ingerenza di Pechino sugli affari interni del porto Profumato comincia ad impensierire non poco gli hongkonghesi, sopratutto le nuove generazioni. Un sondaggio pubblicato a luglio dalla Chinese University of Hong Kong rivela che ormai un cittadino su sei è a favore di un divorzio dalla mainland.
Pechino e Shanghai dicono no a scooter elettrici e segway
Dopo le e-bikes, anche motorini e segway. Questa settimana le autorità delle due municipalità hanno cominciato a dispensare avvertimenti verbali e multe da 10 yuan agli amanti degli agili mezzi, economici e perfetti per smarcarsi nel traffico che attanaglia le megalopoli cinesi, ma che spesso presentano freni e luci non a norma e una propensione a superare i limiti di velocità consentiti (20 km/h). Come spiega il China Daily, l’imposizione di standard di sicurezza è resa più difficoltosa dal fatto che, secondo la legge cinese, tali veicoli non rientrano né nella categoria dei veicoli senza motore né in quella dei veicoli motorizzati. Ma nonostante i divieti – che presto potrebbero arrivare fino a Guangzhou – difficilmente spariranno dalla circolazione. Sul sito cinese di e-commerce Taobao, si contano diverse migliaia di rivenditori di skateboard elettrici autobilanciati, di cui molti negli scorsi mesi hanno venduto oltre 4000 pezzi ciascuno.
India: nel 2015 il traffico di esseri umani è cresciuto del 25 per cento
Nel 2015, in India, il contrabbando di esseri umani è cresciuto del 25 per cento su base annua, con oltre il 40 per cento dei casi riguardanti la compravendita e lo sfruttamento di bambini (il 43 per cento delle 9,127 vittime ha meno di 18 anni). A dare l’allarme è il National Crime Records Bureau (NCRB) che individua nello stato dell’Assam e nel Bengala Occidentale le aree in cui il problema è più accentuato. Mentre si crede che i numeri siano ancora sottostimati, il drastico aumento delle segnalazioni sarebbe da attribuire ad una maggiore sensibilizzazione al problema e ad un più pronto intervento da parte delle autorità.
L’Asia Meridionale rappresenta ancora una delle aree in cui il traffico di essere umani ha estensione più preoccupante. L’India da sola conta per il 40 per cento delle 45 milioni di persone ridotte in stato di schiavitù.
Dal Pakistan una app per combattere i pregiudizi sul ciclo
Si chiama MoHim – acronimo che sta per Menstrual Health Management, ma che in urdu significa anche «sforzo»- ed è stata lanciata dall’analista della World Bank Mariam Adil, che è anche a capo della start up pakistana GRID, impegnata nello sviluppo di videogiochi socialmente educativi. In questo caso la mission è tentare di abbattere lo stigma sociale che riguarda le mestruazioni nei paesi in via di sviluppo. La mancanza di informazioni mirate a educare le donne pakistane è causa di diversi problemi, dalla scarsa igiene personale all’assenza da scuola per più giorni al mese in concomitanza con il ciclo. Il gioco consiste nell’afferrare degli assorbenti tra altri oggetti non propriamente adatti all’uso.
Un prototipo dell’app è stato lanciato all’inizio del mese per iOS e, in partnership con l’Ong Femme International GRID, dovrebbe raggiungere gli slum di Nairobi. Nel mese di aprile erano stati degli studenti della Beaconhouse National University di Lahore a protestare contro il taboo cospargendo i muri dell’ateneo di assorbenti.