In Cina e Asia – Trump mette in dubbio l’esistenza di una sola Cina

In by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

– Trump mette in dubbio l’esistenza di «una sola Cina»
– Pechino minaccia ritorsioni contro il mancato riconoscimento della Cina come economia di mercato
– A pochi mesi dalla nomina del nuovo Chief Executive, Hong Kong forma il consiglio elettorale
– Morti di lavoro: anche la Cina ha il suo karoshi
– Unicef: un giovane filippino su quattro subisce violenze Trump mette in dubbio l’esistenza di «una sola Cina»

Perché mai gli Stati Uniti dovrebbero obbedire al principio di «una sola Cina» senza un accordo che stabilisca in cambio concessioni commerciali e di altro tipo? Da bravo uomo di affari Donald Trump sembra voler barattare la questione taiwanese per ottenere qualche vantaggio nei settori in cui finora la leadership cinese è persa meno malleabile. A pochi giorni dalla controversa telefonata con la leader taiwanese Tsai, domenica senza giri di parole il presidente eletto ai microfoni di Fox News ha citato, tra i fattori di malcontento, le politiche monetarie cinesi e la posizione ambigua mantenuta da Pechino nei confronti della Corea del Nord.

Ennesima stoccata dopo una serie di bordate sparate a mezzo stampa e su Twitter. Basteranno il riaffermato appoggio del governo Obama al principio di «una sola Cina»  e la preannunciata nomina ad ambasciatore americano in Cina di Terry Branstad -buon amico di Xi Jinping- a disinnescare la tensione tra la prima e la seconda economia mondiale? Per il momento, a rispondere è stato soltanto il tabloid nazionalista Global Times che lunedì suggerisce di ripagare le provocazioni americane appoggiando militarmente i nemici di Washington.

Pechino minaccia ritorsioni contro il mancato riconoscimento della Cina come economia di mercato

«Doppio standard» e «protezionismo mascherato». Per Pechino sono queste le motivazioni dietro al mancato riconoscimento della Cina come economia di mercato allo scoccare del 15esimo anniversario dall’accesso alla WTO dell’11 dicembre 2001. Allora la Cina era stata accolta come «non-market economy» e pertanto soggetta a pesanti misure antidumping. Status che secondo accordo sarebbe dovuto essere aggiornato alla fine del 2016, rendendo così più difficile l’imposizione di tariffe commerciali sull’export cinese; una revisione a cui Usa, Unione europea e Giappone si oppongono temendo l’alluvione di made in China a prezzi stracciati.

La posizione che sta prendendo piede nell’Ue è quella di non riconoscere la Repubblica popolare come economia di mercato ma comunque di riformare il sistema in modo di cominciare a considerarla un «paese neutro». In questo modo non sarebbe più lo status di non market economy a dettare l’imposizione di tariffe commerciali, piuttosto l’eventuale intervento di sussidi statali nel determinare prezzi inferiori a quelli di mercato. Venerdì il ministero del Commercio ha fatto sapere che «la Cina adotterà misure per difendere i propri diritti se i paesi membri della WTO manterranno questa vecchia pratica del regolamento antidumping contro i prodotti cinesi anche oltre la data di scadenza» di domenica.

A pochi mesi dalla nomina del nuovo Chief Executive, Hong Kong forma il consiglio elettorale

Hong Kong torna al voto stavolta per eleggere l’Election Committee la ristretta squadra incaricata di eleggere il prossimo marzo il nuovo leader locale. Stavolta però solo il 6 per cento della popolazione ha diritto di prendere parte alle votazione e si tratta perlopiù di elettori filocinesi appartenenti a 25 settori professionali e commerciali. La formazione del comitato arriva in un periodo particolarmente teso per l’ex colonia britannica, a pochi giorni dall’esclusione formale di due deputati indipendentisti dal Consiglio Legislativo. Venerdì inaspettatamente l’attuale chief executive CY Leung ha annunciato che non si ricandiderà per un secondo mandato, adducendo motivazioni famigliari. Ma sono in molti a credere che in realtà potrebbe esserci lo zampino di Pechino, poco soddisfatto del modo in cui Leung ha gestito l’insorgere delle forze democratiche negli ultimi due anni. Intanto, proprio questa mattina, il segretario alle Finanze John Tsang ha dato le proprie dimissioni in previsione di una probabile candidatura a Chief Executive.

Morti di lavoro: anche la Cina ha il suo karoshi

La scorsa settimana la morte di un ingegnere di 24 anni a Suzhou e di due medici a Xiamen ha riacceso i riflettori sulle morti per eccesso di lavoro. Un fenomeno noto sopratutto in Giappone con il nome di karoshi, ma che è ben conosciuto anche in Cina come guo lao si. Secondo alcune statistiche, sono 600mila i cinesi ad aver perso la vita per l’eccessivo carico di lavoro nel solo 2014, circa 1600 decessi al giorno. I numeri rivelano che i soggetti più a rischio sono i «colletti bianchi»; giornalisti, impiegati nell’industria IT, della pubblicità e dell’assistenza medica.

Unicef: un giovane filippino su quattro subisce violenze

Secondo un rapporto pubblicato la scorsa settimana, i maltrattamenti avvengono perlopiù in famiglia e coinvolgono sopratutto soggetti di sesso maschile in un’età compresa tra i 13 e i 17 anni. Il resoconto della ricerca condotta lo scorso anno era stato anticipato da un altro dato sconfortante. Stando all’agenzia internazionale, le Filippine sarebbero anche «l’epicentro globale del commercio degli abusi sessuali in streaming». Chat e social media vengono sfruttati dai trafficanti per offrire prestazioni sessuali online, un mercato che coinvolge decine di migliaia di bambini filippini. Negli slum di Manila spesso la pratica viene avvallata dalle famiglie più povere in cambio di un compenso monetario di 150 pesos, l’equivalente di 3 dollari.