Gli Stati Uniti hanno classificato cinque media statali cinesi come “missioni straniere”. Citando la stretta dipendenza dal partito comunista, il dipartimento di Stato ha incluso nella categoria Xinhua, China Global Television Network, China Radio International, China Daily e Hai Tian Development USA, che in futuro saranno tenuti a chiedere l’approvazione per l’acquisto di qualsiasi proprietà oltre a dover presentare un elenco di tutti i dipendenti, americani compresi. Le stesse misure previste per le missioni diplomatiche straniere. La mossa, prevalentemente simbolica, non comporterà alcuna restrizione sulle attività giornalistiche cinesi in territorio americano. Tutti e cinque i media sono già tenuti a registrarsi sulla base del Foreign Agents Registration Act (FARA). La nuova classificazione, tuttavia, permetterà alle autorità americane di accedere a un numero maggiore di informazioni. Decisamente più risoluta la decisione annunciata poco fa dal governo cinese di revocare il visto a tre giornalisti del Wall Street Journal. Nei giorni scorsi, il ministero degli Esteri aveva dato voce al suo disappunto per un articolo sul coronavirus ritenuto “razzista”. E’ la prima volta dal 1989 che Pechino espelle tanti giornalisti stranieri in un colpo solo [fonte: ABC, Global Times]
Arrestati per la barba e le ricerche online, nuovo report sui campi di detenzione cinesi
Un nuovo report di 137 pagine, la Karakax list, descrive dettagliamente la vita di circa 3000 abitanti dello Xinjiang, regione cinese a prevalenza musulmana passata alla cronaca per la forte repressione attuata dal governo sulla minoranza uigura. Il fascicolo descrive diversi aspetti della vita quotidiana delle persone sorvegliate al fine di “combattere il terrorismo”, compreso: quante volte pregano, come si vestono, quali contatti hanno e come si comportano i propri familiari. Secondo il Adrian Zenz, esperto di politiche nello Xinjiang, le tre principali cause di detenzione si riferiscono a motivi religiosi, all’aver violato la legge sulle nascite e all’essere individui “poco affidabili”. Nella riga 239 del report, si legge di un ragazzo di 28 anni mandato nei campi di rieducazione per “aver cliccato su un link che lo ha condotto involontariamente ad un sito straniero”, mentre nella riga 598 si parla di una donna di 38 anni di nome Helchem, imprigionata per aver indossato il velo qualche anno prima. Questi sono solo alcuni casi di restrizioni e violenze arbitrarie. Un altro ragazzo è stato prelevato per aver fatto richiesta di passaporto, mentre un padre di famiglia ha subito una condanna di 5 anni per “avere una barba di due colori e organizzare gruppi di studio religiosi”. Negli ultimi due anni i cambiamenti delle misure di sicurezza nello Xinjinag sono riscontrabili a occhio nudo: check point armati e videocamere a riconoscimento facciale sono solo il contorno di fenomeni ben più gravi. Pechino è accusata da parte di numerose istituzioni e organizzazioni per i diritti umani di aver deposto in campi di prigionia oltre un milione di persone e di utilizzare le misure di sicurezza come mezzo di oppressione. Il documento è l’ennesima dimostrazione di come le strutture di rieducazione costruite dai cinesi non siano “delle semplici scuole” come affermato, ma veri e propri campi di detenzione e prigionia. A prescindere dalle dichiarazioni del governo sulla una loro immediata chiusura, è sempre più evidente il meccanismo di discriminazione e oppressione che determina la vita sociale nella regione. [fonte: BBC]
Coronavirus: le industrie europee guardano oltre la Muraglia
Il Coronavirus sta colpendo duramente tutte le imprese che producono e operano in Cina, compromettendo le filiere sul piano internazionale. La Apple ha chiuso 42 negozi il mese scorso e ha dichiarato che i cali della produzione cinese colpiranno fortemente le scorte globali di iPhone, mentre per la Volkswagen il mercato mandarino rappresenta il 40% dei veicoli fabbricati e venduti, ma la produzione resterà ferma fino a lunedì. Chi ha mantenuto a regime gli impianti lamenta comunque un forte rallentamento delle operazioni industriali dovuto alle restrizioni di movimento, ai controlli e alla carenza di equipaggiamenti sanitari. La camera di commercio Europea ha dunque dichiarato di voler diversificare la produzione al di fuori dalla Cina per limitare gli impatti del virus sulle filiere. Secondo il presidente Joerg Wuttke, questa situazione comprometterà collaborazioni e investimenti di alto livello tra Brusselles e Pechino. [fonte: SCMP]
I sogni degli studenti cinesi infranti dal virus
I genitori li hanno preparati a questo momento fin dalle elementari. I figli hanno compiuto enormi rinunce per sostenere con un buon punteggio l’esame più competitivo al mondo – il Gaokao – in modo da poter accedere alle migliori università del paese e al sogno di studiare all’estero. Tuttavia, da due mesi a questa parte, a seguito del Coronavirus, per migliaia di giovani studenti provenienti dalla Cina non sarà possibile sostenere gli esami SAT, GRE e GMAT necessari per accedere ai college americani. Da una parte viene ristretto loro l’accesso, dall’altra molti studenti stanno subendo rallentamenti che gli impediscono di rispettare le deadline di accesso ai corsi. I cinesi rappresentano la più grande fascia di studenti stranieri negli Usa e il loro contributo alla ricerca e alle istituzioni americane, europee e australiane è fondamentale, a tal punto che, senza di loro, numerosi enti potrebbero trovarsi in grave difficoltà finanziaria. Nonostante la guerra commerciale, l’anno scorso gli studenti provenienti dalla Cina sono valsi 22 miliardi di dollari per l’economia di Washington. [fonte: Bloomberg]
Coronavirus: Perché non ci sono casi in Indonesia?
Secondo il Ministro della Salute indonesiano, la nazione è protetta “grazie alla preghiere”. Le cose son due, o le preghiere degli indonesiani sono le uniche a funzionare in tutto il sud est asiatico, oppure l’Indonesia non sta riportando i dati sui contagi, o peggio, non ha modo di tenerne conto. Per i ricercatori di Harvard non è possibile che l’isola abbia dichiarato un solo caso e se ne aspetti solo altri cinque. Il paese è la quarta nazione più popolosa al mondo, non troppo distante dai confini cinesi e circondata dai paesi che hanno subito i maggiori effetti del Coronavirus. Le figure citate dal Jakharta Post parlano dell’Indonesia come la sesta meta più gettonata dai turisti provenienti da Wuhan, con circa 98.700 presenze tra il dicembre 2018 e il Novembre 2019, mese precedente allo scoppio dell’epidemia. Il governo indonesiano scredita le parole di Harvard e sottolinea come il basso numero di infezioni rappresenti la preparazione ed efficienza dell’esecutivo piuttosto che i suoi demeriti. [fonte: Al Jazeera]
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Classe 1989, Sinologo e giornalista freelance. Collabora con diverse testate nazionali. Ha lavorato per lo sviluppo digitale e internazionale di diverse aziende tra Italia e Cina. Laureato in Lingue e Culture Orientali a La Sapienza, ha perseguito gli studi a Pechino tra la BFSU, la UIBE e la Tsinghua University (Master of Law – LLM). Membro del direttivo di China Files, per cui è responsabile tecnico-amministrativo e autore.