La nostra rassegna quotidiana
Studiare Xi
Il pensiero di Xi finirà presto sui banchi di scuola. Ad anticiparlo è il ministro dell’Istruzione Chen Baosheng che a margine del Congresso del partito ha annunciato che il contributo ideologico del presidente “arriverà nei libri di testo, nelle classi e nelle teste degli studenti” con metodi diversi a seconda del livello d’istruzione degli alunni. I manuali verranno aggiornati e gli insegnanti sottoposti a un training specifico non appena concluso il consesso rosso, quando sapremo ufficialmente se il nome di Xi verrà formalmente aggiunto allo slogan del “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, eredità ideologica del leader ai posteri. Al momento, gli studenti al nono anno sono già tenuti a studiare i “principi guida” dei precedenti leader Mao Zedong, Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao.
Chen ha inoltre invitato Hong Kong a incentivare i propri insegnanti a nutrire un senso di “identità nazionale” in un momento in cui le forze indipendentiste minacciano la stabilità della regione amministrativa speciale.
Da quando Xi Jinping è diventato presidente, l’istruzione (sopratutto universitaria) è stata sottoposta a una rettificazione ideologica con l’obiettivo di evitare un’assimilazione dei valori occidentali politicamente sensibili. A farne le spese anche il mondo della ricerca. Ad agosto i censori cinesi avevano colpito la Cambridge University Press costringendola a bloccare 300 articoli su temi che Pechino ritiene scomodi.
L’amministrazione Usa divisa sul caso Guo Wengui
Il caso Guo Wengui fa luce sulla spaccatura che divide le varie agenzie governative statunitensi. Secondo un’inchiesta del WSJ, lo scorso maggio una delegazione di funzionari del ministero della Sicurezza cinese sarebbe giunta negli Usa per convincere l’imprenditore-dissidente — impegnato in una campagna denigratoria contro la leadership di Xi Jinping — a rimpatriare e sospendere le sue critiche contro il governo cinese in cambio della restituzione degli asset sottrattigli dopo la fuga negli Usa tre anni fa.
L’incontro — secondo il report — avrebbe innescato un braccio di ferro tra l’FBI, pronta ad arrestare i funzionari cinesi giunti in territorio americano con un semplice visto di transito, e il Dipartimento di Stato, impegnato a mantenere relazioni diplomatiche stabili per salvare la cooperazione sino-statunitense sul versante nordcoreano e commerciale. Nonostante l’assenza di un accordo di estradizione con la Cina, lo stesso Trump — legato al presidente Xi Jinping da un “rapporto speciale” — si sarebbe in prima battuta detto favorevole alla riconsegna di Guo, accusato da Pechino di aver compiuto 19 reati, dalla corruzione allo stupro. Ma il caso sembra avere diramazioni più insidiose del previsto. Come hanno rammentato alcuni consiglieri americani, l’uomo più ricercato dalla Cina è membro dell’esclusivo club di Trump Mar-a-Lago.
L’Ue prende di mira le bici cinesi
Dopo l’acciaio e i pannelli solari, anche le biciclette elettriche “made in China” sono finite sotto la lente dell’Ue. Venerdì la Commissione europea ha aperto un’indagine sulla scia delle critiche della European Bicycle Manufacturers Association, convinta che le bici con pedalata assistita e motore elettrico ausiliario siano soggette a dumping, ovvero siano vendute al di sotto dei prezzi di produzione o del mercato interno. Tanto per intenderci le bici cinesi sono il 50% più economiche di quelle europee e i numeri inquietano tanto più se rapportati alla rapida crescita delle importazioni, passate dalle quantità irrisorie del 2010 agli 800mila pezzi stimati per quest’anno.
“Il governo cinese guarderà con attenzione lo sviluppo del caso e prenderà le misure necessarie per difendere con risolutezza gli interessi legittimi delle aziende cinesi”, ha sottolineato Wang Hejun, funzionario del Ministero del Commercio di Pechino. L’Ue ha 9 mesi per esaminare le pratiche e decidere se adottare misure. L’intera procedura dovrebbe essere finalizzata entro 15 mesi.
Pechino riforma il gaokao
Entro il 2020, tutta la Cina avrà un nuovo sistema per l’ammissione all’università. Lo ha annunciato il ministro dell’Educazione in occasione del 19esimo Congresso del Pcc in corso a Pechino. Di una riforma del famigerato gaokao — reintrodotto nel 1977 dopo essere stato sospeso durante la Rivoluzione Culturale — si parla fin dal 2014, quando Shanghai e la provincia del Zhejiang avviarono una serie di progetti pilota in base ai quali agli studenti è permesso sostenere più volte alcune sezioni dell’esame a partire dal secondo anno delle superiori, anziché essere costretti ad un’unica maratone di tre giorni di prove alla fine del terzo anno. La difficoltà del gaokao è leggendaria, tanto che in alcune città del paese si è sviluppata addirittura un’industria specializzata con l’obiettivo di addestrare gli studenti (e i genitori) a superare il test.Ma se la revisione del sistema porterà ad un alleggerimento del carico di studio è ancora tutto da vedere. Le prime “cavie” della riforma sostengono che non solo il nuovo sistema ha moltiplicato il numero degli esami ma finisce per incoraggiare anche uno studio superficiale finalizzato esclusivamente al superamento delle varie prove. Poi il resto dell’anno si vive di rendita.
Abe premiato dalle urne
Con le votazioni anticipate di domenica, il Liberal Democratic Party (LDP) di Shinzo Abe e il partito di coalizione Komeito hanno ottenuto la supermaggioranza (i due terzi) alla Camera bassa necessaria ad avviare la revisione della tanto dibattuta costituzione pacifista. Il successo permette inoltre ad Abe di proporsi per un terzo mandato (in barba agli scandali degli ultimi mesi), evenienza che lo renderebbe il premier più “longevo” del dopoguerra. Mentre le urne hanno premiato la posizione intransigente del primo ministro nei Confronti della Corea del Nord e la sua Abenomics, ricetta economica basata su una politica monetaria espansiva, il trionfo del leader conservatore sembra riflettere sopratutto l’inconsistenza di un’opposizione spaccata per via del disallineamento tra due forze “giovani”: il Partito Democratico Costituzionale e il promettente partito della Speranza di Yuriko Koike, la popolare governatrice di Tokyo.
Marawi è finalmente libera
L’esercito filippino ha preso il controllo dell’ultimo bastione dei ribelli islamici nella città assediata di Marawi. Questo vuol dire che la battaglia contro i terroristi di Maute e Abu Sayyaf è formalmente finita. L’annuncio è stato dato quest’oggi dal ministro della Difesa filippino a margine di un vertice Asean e giunge ad una settimana dall’uccisione dei leader ribelli Isnilon Hapilon e Omarkhayam Maute. Gli scontri, che proseguivano dal 23 maggio, hanno fatto circa 1.000 vittime tra miliziani islamici, soldati filippini e civili, mentre sono 400.000 gli sfollati