- Qin Gang sente Blinken prima della visita in Cina
- Gli Usa rientrano nell’Unesco per sfidare la Cina
- Calo record dei matrimoni in Cina
- La Cina si spopola di milionari
- Mar cinese meridionale, test nucleari Usa responsabili della radioattività
- Lo yuan cinese garantisce il petrolio russo al Pakistan
- Violenze in Myanmar: almeno 6mila civili uccisi in un anno e mezzo
Gli Stati Uniti devono “rispettare gli interessi fondamentali e le principali preoccupazioni della Cina, smettere di interferire con gli affari interni della Cina e porre fine agli atti che sabotano la sovranità, la sicurezza e i diritti di sviluppo della Cina in nome della concorrenza”. Lo ha detto stamattina il ministro degli Esteri cinese Qin Gang durante un confronto telefonico con l’omologo americano Antony Blinken. Il segretario di Stato ha risposto sottolineando “l’importanza di mantenere linee di comunicazione aperte per gestire responsabilmente le relazioni bilaterali ed evitare errori di calcolo e conflitti”. Secondo i media cinesi, lo scambio è avvenuto su richiesta della controparte statunitense e precede di pochi giorni una possibile visita di Blinken in Cina, che fonti a conoscenza dei fatti ritengono avverrà il 18 giugno.
Gli Usa rientrano nell’Unesco per sfidare la Cina
La competizione con Pechino ha spinto Washington a rientrare nell’Unesco. La ragione è che la perdurante assenza del Paese dai lavori dell’agenzia Onu rischiava di lasciare troppo spazio alla Cina, in particolare nella definizione di standard sull’intelligenza artificiale e sull’educazione alla tecnologia. Con questa decisione, gli Stati Uniti pongono fine alla rappresaglia (lanciata dall’ex presidente Donald Trump nel 2017) contro la scelta dell’organizzazione di accettare la Palestina come membro. Come racconta il Guardian, il vice segretario di Stato statunitense per la gestione e le risorse, Richard Verma, ha inviato la scorsa settimana una lettera al direttore generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, formalizzando il piano di rientro. Il rapporto tra gli Stati Uniti e l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura è sempre stato travagliato: già nel 1984, durante l’amministrazione Reagan, si erano tirati fuori lamentando malagestione, corruzione ed eccessiva accondiscendenza nei confronti dell’Unione Sovietica. Per rientrare a pieno titolo nei lavori dell’Unesco, gli Stati Uniti sono chiamati a pagare le quote arretrate, che ammontano a circa 600 milioni di dollari.
Calo record dei matrimoni in Cina
Calo record dei matrimoni in Cina, che lo scorso anno sono scesi a quota 6,83 milioni, il numero più basso dall’inizio delle registrazioni nel 1986. I dati diffusi dal Ministero degli Affari Civili mostrano che il numero di coppie ad aver detto sì è diminuito di circa 800.000 unità rispetto al 2021. Dopo aver toccato il picco massimo nel 2013, negli ultimi anni il numero delle unioni matrimoniali è continuato a diminuire, nonostante l’introduzione di incentivi a livello provinciale, come il congedo matrimoniale retribuito fino a 30 giorni per gli sposi novelli. Come per le nascite, i costi economici sono tra i principali fattori a disincentivare i giovani dal mettere su famiglia.
La Cina si spopola di milionari
Stallo economico e inasprimento dei controlli statali alimentano la
migrazione dei milionari cinesi all’estero. Secondo un rapporto di Henley Private Wealth Migration, quest’anno la Cina dovrebbe registrare un deflusso di almeno 13mila persone ad alto patrimonio netto. Si stima che ad oggi la Repubblica popolare conti circa 824mila milionari, ma la tendenza all’emigrazione potrebbe decimarli nei prossimi anni. Secondo Andrew Amoils, responsabile della ricerca di New World Wealth, “la crescita generale della ricchezza in Cina è rallentata negli ultimi anni, il che significa che i recenti deflussi potrebbero essere più dannosi del solito”. Le previsioni per il 2023 non sono molto confortanti per Pechino: si parla di almeno 122mila persone ad alto patrimonio in fuga dalla Cina, un numero che supera il record del 2019.
Mar cinese meridionale, test nucleari Usa responsabili della radioattività
I test nucleari condotti dagli Usa negli anni Quaranta e Cinquanta avrebbero rilasciato scorie radioattive che hanno contaminato il Mar cinese meridionale fino a oggi. Lo studio, guidato dal professore Peng Anguo e pubblicato sulla rivista in lingua cinese
Environmental Chemistry, afferma che i test del Pacific Proving Ground (PPG), condotti durante la Guerra fredda, avrebbero inquinato le correnti oceaniche e sarebbero stati trasportati per oltre 5.000 km nelle acque della regione. Queste scorie sarebbero tutt’ora diffuse nel Mar cinese meridionale, ma le controversie territoriali rendono difficile ai Paesi coinvolti riuscire a coordinarsi per richiedere eventuali risarcimenti agli Stati Uniti, ha detto un esperto al
South China Morning Post. I sedimenti analizzati dal team di ricerca di Peng sono stati raccolti nel 2014 dai fondali di Nansha (o Isole Spratly), e si è risaliti all’origine degli inquinanti radioattivi poiché i campioni analizzati provenienti sono risultati uguali a quelli impiegati dal sito per i test nucleari degli Usa. Avrebbero contribuito fino all’87% dei livelli locali di plutonio.
Lo yuan cinese garantisce il petrolio russo al Pakistan
Il Pakistan ha fatto
ricorso allo yuan cinese per pagare il greggio importato dalla Russia a prezzi scontati. Lo ha dichiarato lunedì il ministro del Petrolio di Islamabad. Si tratta di un compromesso necessario per il Paese asiatico, che sta affrontando una crisi economica gravissima e un grave deficit nella bilancia dei pagamenti che potrebbe esporlo al rischio di default sul debito estero. La crescente frustrazione causata dalle sanzioni internazionali alla Russia per l’invasione dell’Ucraina si fa sentire particolarmente nei Paesi della regione. Negli scorsi mesi persino l’India, che ha rapporti tesi con Pechino anche a causa delle annose tensioni al confine himalayano, aveva considerato la possibilità di acquistare petrolio a prezzi scontati utilizzando la valuta cinese quando la Russia
si era rifiutata di accettare transazioni in rupie.
Violenze in Myanmar: almeno 6mila civili uccisi in un anno e mezzo
Più di 6mila civili uccisi in soli 20 mesi. È il
bilancio del colpo di stato in Myanmar pubblicato martedì dal
Peace Research Institute di Oslo. Si tratta, secondo i ricercatori e le ricercatrici, di un dato “significativamente più alto di quello riportato dagli organismi internazionali, comprese le Nazioni Unite”. All’ammontare dei decessi hanno contribuito, oltre alle forze della giunta militare responsabile del golpe del 1° febbraio 2021, anche le forze di resistenza, ha detto Stein Tønnesson, co-autore dello studio. Nello specifico, esercito, polizia e milizie affiliate avrebbero ucciso oltre 3mila civili da febbraio 2021 a settembre 2022. I gruppi anti-golpe sarebbero responsabili della morte di almeno 2mila persone tra civili e non civili. Non le uccisioni collaterali ma omicidi a sfondo politico sono la principale forma di violenza, secondo il rapporto, specie nelle aree urbane come le regioni a maggioranza birmana e le città di Yangon e Mandalay.
A cura di Agnese Ranaldi; ha collaborato Alessandra Colarizi
Laureata in Relazioni internazionali e poi in China&Global studies, si interessa di ambiente, giustizia sociale e femminismi con un focus su Cina e Sud-est asiatico. Su China Files cura la rubrica “Banbiantian” sulla giustizia di genere in Asia orientale. A volte è anche su La Stampa, il manifesto, Associazione Italia-Asean.