L’economia cinese ha registrato la prima contrazione dal 1976. Secondo i dati rilasciati dall’istituto nazionale di statistica, nel primo trimestre – che ha coinciso con l’inizio della crisi epidemica – la crescita è crollata del 6,8%, più di quanto precedentemente pronosticato dagli esperti (6,0%). Anche nel mese di marzo, sebbene sia riscontrabile una parziale ripresa, le vendite al dettaglio e gli investimenti negli assets fissi – termometro dei consumi e dei nuovi progetti infrastrutturali – hanno registrato un’erosione superiore alle aspettative del 15,8% e 16,1%, seppure in miglioramento rispetto al tonfo del 20,5% del primo bimestre. Meglio la produzione industriale che lo scorso mese ha perso solo l’1,1% dopo il 3,5% di gennaio e febbraio. Considerato il quadro generale, convincono poco le stime sulla disoccupazione, vera ossessione della leadership cinese, che ufficialmente si attesta al 5,9%, meno del 6,2% dei precedenti due mesi. Statistiche indipendenti parlano di circa 200 milioni di disoccupati, se si includono i lavoratori migranti esonerati dai calcoli ufficiale. Mentre, secondo il portavoce dell”istituto nazionale di statistica, l’impatto dell’epidemia sarà a breve termine, l’attendibilità dei numeri rilasciati rimane un fattore di preoccupazione. Dopo le indiscrezioni degli scorsi giorni, questa mattina le autorità di Wuhan hanno rivisto al rialzo del 50% il bilancio dei decessi da covid-10, che passano così da 2.579 a 3.869. Il totale dei casi sale invece a quota 50.333. Giustificando la revisione, frutto di indagini interne, la Xinhua cita tra le motivazioni l’inclusione delle morti avvenute prima del ricovero e dei casi non segnalati correttamente dalle strutture sanitarie. [fonte: SCMP, Bloomberg]
Crescita zero per l’Asia
Quest’anno l’Asia potrebbe registrare una crescita zero per la prima volta in 60 anni. E’ quanto pronosticato dal Fondo monetario internazionale, secondo il quale covid-19 avrà ripercussioni notevolmente peggiori della crisi finanziaria globale del 2008-9 e del crollo delle tigri asiatiche del 1997-98. Motivando le previsioni fosche, Chang Yong Rhee, direttore del Dipartimento Asia e Pacifico, ha messo in risalto la trasversalità dei settori colpiti, anche se i contraccolpi si faranno sentire sopratutto nel comparto dei servizi. La contrazione della Cina (che crescerà dell’1,2%), dovuta allo stallo dei mercati occidentali di sbocco, frenerà di rimbalzo i partner commerciali regionali, sopratutto l’Australia, la Malesia e la Nuova Zelanda. Nonostante lo scenario sconfortante, dai primi sondaggi effettuati dalle camere di commercio americana ed europea, l’epidemia non dovrebbe sfociare in un decoupling, quanto piuttosto in una maggiore diversificazione della supply chain [fonte: FT; Caixin, Reuters]
Washington indaga sull’origine del virus. Nel mirino l’Istituto di Virologia di Wuhan
L’insistenza con cui Donald Trump si è ostinato a chiamare Covid-19 “il vius cinese” risulta più comprensibile alla luce di un recente report del Washington Post. L’articolo, citando cablaggi del governo americano, rivela come già due anni fa l’amministrazione Trump fosse allarmata dalle dubbie misure di sicurezza adottate presso l’Istituto di Virologia di Wuhan, il primo laboratorio della Cina continentale ad aver ricevuto nel 2015 il livello di biosicurezza 4. Tra il gennaio e il marzo 2018 l’ambasciata statunitense ha inviato a più riprese personale scientifico preso la struttura per una valutazione dei rischi. Dalla visita sono emerse gravi carenze gestionali, rese più preoccupanti dagli studi condotti su un tipo di coronavirus riscontrato nei pipistrelli all’origine di malattie trasmissibili come la Sars. L’istituto, che si trova a 12 km dal mercato alimentare da cui si crede sia partito il contagio, è stato il primo a identificare, analizzare e diffondere la sequenza genetica di 2019-nCoV. Rispondendo alle domande dei giornalisti, nella giornata di mercoledì Trump non ha smentito la notizia precisando che il governo americano sta cercando di “fare chiarezza”. Negli ultimi due giorni, tanto Mike Pompeo quanto il segretario alla Difesa Mark Esper hanno chiesto maggiore “trasparenza” dalle autorità cinesi. Mentre le indiscrezioni del WaPo non bastano ad attribuire la crisi ad un errore umano, quantomeno giustificano – aldilà dei calcoli elettorali – l’ossessione di Washington per l’origine del virus. [fonte: WAPO, Reuters]
Congelata la partnership tra l’Onu e Tencent
L’accordo tra Tencent e le Nazioni Unite potrebbe saltare. Secondo Foreign Policy, le critiche delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno indotto gli organizzatori a congelare la partnership, in base alla quale il colosso cinese dovrebbe fornire servizi di videoconferenza per i 75 anni dell’agenzia. Giustificando la scelta, il consigliere Fabrizio Hochschild aveva dichiarato che il coinvolgimento di Tencent avrebbe permesso di raggiungere un pubblico cinese, considerando le restrizioni a cui sono soggetti i big tech occidentali oltre la Grande Muraglia. Un funzionario delle Nazioni Unite ha spiegato che l’organizzazione ha avviato consultazioni interne per valutare “un possibile accordo che fornisca garanzie adeguate”. [fonte: Foreign Policy]
Il web cinese tra fake news, xenofobia e libertà di espressione
Da gennaio a oggi, circa un migliaio di account Weibo e WeChat sono stati chiusi per aver diffuso notizie infondate. La stretta, che il Global Times collega all’epidemia di coronavirus, ha portato alla dissoluzione di 350 profili Weibo colpevoli di aver alimentato l’odio e la “discriminazione regionale”, mentre 700 avrebbero fabbricato e diffuso intenzionalmente informazioni false. Su WeChat sono invece 153 gli account disabilitati per aver pubblicato 227 articoli sull’esperienza (inventata) di cittadini cinesi bloccati all’estero e desiderosi di tornare in patria a causa dell’inettitudine dimostrata dai paesi ospitanti. Sul tema delle fake news si sono espressi anche alcuni intellettuali cinesi moderati, come Xu Shiping, caporedattore di Eastday.com, e Liu Yadong, dello Science and Technology Daily , entrambi critici nei confronti del revanscismo divampato online in seguito alla diffusione del virus nel resto del mondo. Intanto, all’interno dei gruppi più conservatori si fa avanti la richiesta di una maggiore apertura nei confronti del dissenso. A inizio mese, 25 esponenti del movimento neoconfuciano hanno auspicato l’istituzione di canali di comunicazione ufficiali per dar voce alla popolazione e riflettere sugli errori commessi durante la gestione dell’epidemia. [fonte: GT, SCMP, Bloomberg]
Rivolte e casi di spionaggio in tv
Spionaggio e attività sovversive, in Cina, vengono normalmente considerati segreti di stato. In uno strappo alla regole, il ministero della Sicurezza dello Stato, con compiti di intelligence e di controspionaggio, ha reso noti alcuni tra i casi più eclatanti ripresi mercoledì in un programma dell’emittente statale CCTV andato in onda per celebrare il National Security Education Day. Si passa dalla defezione dell’ingegnere militare Zhang Jiange, assoldato dalle spie straniere, a Wang Pihong, ex progettista di un istituto di ricerca dell’aeronautica militare cinese fuggito all’estero con moglie, figlio e segreti di stato, salvo venire arrestato nel 2017 dopo essere ritornato in Cina per fare visita alla famiglia. Ma la più intrigante è sicuramente la storia di Su, che lasciato il lavoro in una scuola dello Yunnan, si sarebbe dedicato alla pianificazione di attività sovversive, prima diffondendo in rete contenuti contro il governo, poi cercando di procurarsi armi per attaccare l’ufficio di pubblica sicurezza di Kunming con il supporto di forze straniere. In nessuno dei casi viene specificato il paese coinvolto nel complotto ma secondo il SCMP, alcune immagini lascerebbero intendere si tratti degli Stati Uniti. [fonte: SCMP]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.