Prezzo dell’oro e dote: un paradigma agghiacciante
Un legame agghiacciante quello rivelato da uno studio di tre economisti indiani dell’Università di Essex. Secondo gli studiosi, esisterebbe infatti un legame di causa effetto tra l’aumento del prezzo dell’oro sui mercati globali e l’incremento di infanticidi femminili o la diminuzione della natalità femminile in India. Cosa c’entra il prezzo dell’oro, la cui volatilità è nota, con la disparità tra sessi che si registra in molti paesi asiatici a partire dall’India? La risposta è nella dote, pratica millenaria, che dall’India si è diffusa nei paesi limitrofi, seguendo spesso anche i movimenti delle diaspore. Seppure vietata dalla legge, la dote corrisponde a un ammontare molto spesso sotto forma di monili in oro, corrisposta dalla famiglia della sposa a quella dello sposo. Sebbene una correlazione tra la preferenza di figli maschi e la dote sia già nota, il legame con la fluttuazione dei prezzi dell’oro apre nuovi scenari per l’intervento delle istituzioni nel frenare questa pratica così radicata nella cultura indiana. Non solo Hindu.
Cina pronta a scavalcare gli Usa per produttività del lavoro
Pechino sta per superare gli Usa quanto a produttività della propria forza lavoro. Secondo uno studio avviato dalla Banca Mondiale, il primo sul tema, rispetto al 1990 la Cina ha scalato 25 posizioni arrivando alla 44esima, mentre gli Stai Uniti sono scivolati al 26esimo posto, 20 posti indietro. Nel dettaglio, vuol di che se nel 1990 un cinese tra i 20 e i 60 anni avrebbe potuto lavorare al picco della sua capacità per soli sette anni, oggi è in grado di farlo per vent’anni. Al contrario in America l’aumento è stato molto più contenuto dai 22anni del 1990 agli attuali 23. Il motivo sta nel nesso – messo in risalto dalla ricerca – che lega investimenti in educazione e sanità all’aumento del Pil e del capitale umano. Settori in cui i finanziamenti statunitensi languono.
Taiwan demolisce tempio comunista
Ci vorranno cinque sei giorni per demolire la parte costruita illegalmente del tempio Biyun nella contea taiwanese di Changua. Nella giornata di ieri 55 ingegneri e operai affiancati da 17 bulldozer e altri macchinari si sono presentati sul posto per rimuovere le strutture fatte erigere illegalmente dall’imprenditore che nel 2012 ha acquisito la struttura. Non un personaggio qualunque il signor Wei Ming-jen, che sei anni fa ha trasformato l’antico complesso buddhista in una roccaforte comunista sostituendo le immagini sacre con poster maoisti e bandiere cinesi. Da tempo target di critiche da parte della popolazione locale, l’edificio si è salvato grazie ai principi costituzionali dell’isola democratica che assicurano la libertà di espressione, anche nel caso in cui rievochi ferite storiche. Ma il tempismo è sospetto. Avviata ufficialmente per motivi di sicurezza, la demolizione arriva proprio mentre tra le due sponde dello Stretto volano accuse incrociate di spionaggio.
Il 37% delle donne suicide sono indiane
L’India conta per il 37% dei suicidi femminili a livello mondiale. Lo rivela uno studio effettuato tra il 1990 e il 2016 dalla Public Health Foundation of India, secondo il quale il 63% dei casi nel subcontinente coinvolge giovani tra i 15 e i 39 anni. Numeri che rendono il suicidio la prima causa di morte per la popolazione indiana in quella fascia d’età rispetto al terzo posto su scala globale. Durante il periodo di ricerca il tasso di suicidio è aumentato del 40%, con una netta prevalenza di donne sposate, quelle più soggette ad abusi familiari.