Le nostre principali notizie asiatiche di oggi.
Pechino sbaraglia la CIA
Tra il 2010 e il 2012, la Cina sarebbe riuscita a uccidere o imprigionare circa una ventina di informatori della CIA, smantellando un lavoro di networking durato anni. Le indiscrezioni, rivelate da alcuni ex funzionari al New York Times, collocano l’inizio della “caccia” nel 2010, ovvero in concomitanza con una fuga di notizie dai palazzi de potere di Zhongnanhai. Appena un anno dopo, la sparizione di molti degli informatori ha innescato un’indagine congiunta di FBI e CIA per tentare di identificare la talpa. Ad oggi il colpevole non è ancora stato individuato, sebbene non si esclude la possibilità di un intrusione hacker nel sistema di comunicazione segreto degli 007 americani. Ad ogni modo, stando alle fonti del NYT, nel 2013 la falla nel sistema risultava riparata e la capacità cinese di identificazione delle spie statunitensi notevolmente ridimensionata. Negli ultimi tempi una serie di arresti eccellenti hanno dirottato i riflettori su un’intensa attività di spionaggio tra le due sponde del Pacifico, così come attraverso lo stretto di Taiwan.
Rispondendo al report, il semi-ufficiale Global Times ha definito la storia uno sfoggio di narcisismo americano, arricchito di “sensazionalismo” e particolari romanzati. Quel che è certo, continua il tabloid, è che la storia dimostra l’efficacia del lavoro di counter-intelligence messo in campo da Pechino.
L’Apec divisa sulle sorti della Tpp
Gli 11 superstiti della Trans-Pacific Partnership si sono impegnati a tenere in vita l’accordo, nonostante la defezione americana. Domenica, a margine di un vertice Apec che ha riunito i ministri del commercio — compreso U.S. Trade Representative Robert Lighthizer. Mentre gli altri paesi partecipanti sperano ancora di riuscire a riportare Washington al tavolo delle trattative, nell’immediato non sembra esserci ancora un piano operativo comune. Un nuovo incontro è stato fissato per luglio, in Giappone, mentre a novembre verranno discusse le varie proposte. Ma le crescenti divergenze tra l’America di Trump e il resto del blocco sono sempre più visibili. Secondo la Reuters, i delegati statunitensi avrebbero fatto pressione affinché nel comunicato finale del vertice venissero rimossi riferimenti al “nostro impegno a realizzare un commercio libero e aperto”. Al contempo, l’opzione di una marcia indietro degli Stati Uniti è stata smentita da Lighthizer in persona, che ha ribadito la posizione dell’amministrazione Trump: più sinergie bilaterali e meno accordi multilaterali.
E’ in questo contesto che si innerva la proposta cinese per una partnership regionale alternativa (la Regional Comprehensive Economic Partnership) — senza gli Usa -, che secondo fonti Reuters dovrebbe cominciare a prendere forma entro fine anno. Mentre anche lo scopo della RCEP è quello di ridurre le tariffe commerciali, la scarsa tutela dei diritti dei lavoratori e degli standard ambientali la rendono agli occhi dei detrattori la brutta copia della TPP.
Nuovo test missilistico nordcoreano
L’ultimo test missilistico dimostra la capacità di controllo ottenuta dalla Corea del Nord nel dispiegamento di una testata nucleare. E’ il commento dell’agenzia ufficiale KCNA, che questa mattina ha confermato la natura del missile testato domenica: un vettore a media gittata del tipo Pukguksong-2 munito di motore a combustibile solido e lanciatori mobili, in grado di rendere più difficilmente identificabili i preparativi per un lancio. Si tratterebbe dunque di un passo in avanti nella piena acquisizione di un missile balistico intercontinentale in grado di colpire gli Stati Uniti. In realtà, come fatto notare a stretto giro dalla Casa Bianca,il razzo Pukguksong-2 ha compiuto una traiettoria inferiore (500 km) rispetto al missile testato appena una settimana fa (oltre 700 km). Mentre rimane ancora da provare che Pyongyang sia realmente in grado di miniaturizzare una testata, i ripetuti test rappresentano una minaccia per la stabilità della regione e una sfida per il nuovo presidente sudcoreano Moon Jae-in, favorevole a una ripresa del dialogo con il Nord. La possibilità di una riapertura degli scambi con il regime di Kim Jong-un verrà presa in considerazione soltanto nella completa osservanza delle sanzioni internazionali, ha dichiarato Lee Duk-haeng del ministero dell’Unificazione.
Il Guomindang ha un nuovo presidente
Il partito nazionalista, ridotto dallo scorso anno all’opposizione, sabato ha eletto il suo nuovo leader: con oltre 140mila voti, l’ex vicepresidente Wu Den-yih ha sconfitto gli avversari, compresa la chairwoman uscente Hsiu-chu. Sulle spalle di Wu ricade la pesante responsabilità di ricompattare il partito fondato da Sun Yat-sen in preda a spaccature interne e sotto inchiesta per l’immane fortuna accumulata negli ultimi 50 anni. Non spetta un compito molto più facile alla presidente Tsai Ing-wen, la leader del Democratic Progressive Party che nel gennaio 2016 ha sottratto lo scettro al nazionalista filocinese Ma Ying-jeou. Se infatti nell’ultimo anno Tsai è riuscita a rilanciare l’economia locale, i bassi salari e una controversa riforma del lavoro le sono costati un’erosione dei consensi a livello popolare, passati dal 56% al 18,4%, secondo Taiwan Democracy Watch.
L’elevato numero di single preoccupa il Partito.
Dopo che in settimana la Lega della Gioventù Comunista ha annunciato alcune linee guida per aiutare i giovani cinesi a trovare un partner, sul web sono apparse numerose lamentele di quanti costretti dai propri datori di lavoro a prendere parte ad appuntamenti al buio di massa, organizzati nel weekend in nei parchi pubblici e stadi. Secondo statistiche del China Youth Daily, nel 2016 erano 200 milioni i single, mentre secondo l’Accademia delle scienze sociali entro il 2020 ci saranno circa 15 milioni di uomini tra i 35 e i 59 anni senza una moglie. E’ una situazione che preoccupa le autorità ossessionata con la stabilità sociale. L’elevato numero di uomini impossibilitati a trovar moglie, infatti, accresce il rischio di violenze sessuali, aumenta la richiesta dell’acquisto di spose smerciate dal Sudest asiatico e accresce i costi del welfare. Allo stesso tempo, i giovani attribuiscono ai ritmi di vita frenetici la mancanza di tempo per socializzare a dedicarsi alla ricerca di un partner.
Indonesia: nuovo giro di vite contro la comunità gay
Domenica, 141 persone sono state arrestate per aver organizzato un “gay party” in una sauna di Jakarta, ultimo segno di scarsa tolleranza nei confronti delle comunità LGBT nel paese musulmano più popoloso al mondo. Sebbene l’omosessualità non sia illegale in Indonesia — eccetto che nella provincia di Aceh in cui viene osservata la Sharia — alcuni degli uomini colti nell’atto della masturbazione e prelevati dalle autorità dovranno rispondere dell’accusa di pornografia. La retata arriva a pochi giorni dalla condanna di due omosessuali di Aceh ad essere pubblicamente bastonati per aver avuto rapporti sessuali, mentre all’inizio del mese altre 14 persone nella città di Surabaya erano finite in manette per aver preso parte a un “gay party”. Sullo sfondo si staglia la crescente radicalizzazione di uno dei paesi islamici considerato finora più “moderati”.