Pechino ha rimosso il divieto sul commercio di ossa di tigri e corni di rinoceronti in vigore dal 1993. Con una mossa che ha indignato WWF ed EIA, nella giornata di lunedì il Consiglio di Stato ha stabilito che l’impiego delle specie protette è tollerato purché abbia “scopi medici” e coinvolga esemplari cresciuti in allevamento. Letteralmente: “la polvere di corno di rinoceronte e ossa di tigri morte possono essere utilizzate in ospedali qualificati solo da medici qualificati riconosciuti dall’Amministrazione statale per la medicina tradizionale cinese”. Nel 2010, la World Federation of Chinese Medicine Societies ha stabilitop che non vi sono prove per certificare gli effetti benefici dei prodotti a base di ossa di tigri. L’inversione a U arriva a meno di un anno dall’incoraggiante divieto sul commercio dell’avorio.
Il figlio di Deng Xiaoping invita all’umiltà
“Dobbiamo cercare la verità dai fatti, mantenere una mente sobria e riconoscere qual’è il nostro posto. Non dovremmo né essere prepotenti né sminuire noi stessi”. A dirlo è Deng Pufang, primogenito di Deng Xiaoping, in un recente discorso tenuto il 16 settembre in occasione della riconferma a presidente onorario della Federazione cinese delle persone con disabilità (CDPF). Ruolo simbolico ricoperto a causa delle sue condizioni fisiche: Deng è costretto su una sedia a rotelle dal 1968, quando si è buttato dal terzo piano per sfuggire alle purghe della Rivoluzione Culturale. Il suo messaggio – che giunge a 40 anni esatti dall’avvio del riforme paterne – si innerva nel dibattito in corso all’interno dei circoli intellettuali sull’arroganza con cui la Cina di Xi Jinping ha abbandonato il basso profilo mantenuto dalle precedenti amministrazioni sul proscenio internazionale. Solo pochi giorni fa Zhang Weiying, noto economista della Peking University, ha pubblicamente criticato l’utilizzo del termine “modello Cina” in quanto descriverebbe l’ascesa del gigante asiatico come un’anomalia rispetto ai sistemi occidentali.
Pechino in aiuto delle storiche Red Flag
1,015 trilioni di yuan (145 miliardi di dollari). A tanto ammonta la linea di credito stanziata dal governo cinese per supportare il FAW Group, la storica casa automobilistica che produce le iconiche limousine Red Flag utilizzate dai leader cinesi. La somma, che basterebbe a comprare General Motors, Ford e Tesla messi insieme, è la più alta mai elargita ad un’azienda di stato cinese e ufficialmente dovrebbe puntellare l’espansione del gruppo nelle nuove tecnologie. Ma secondo gli esperti, la mossa va letta alla luce della recente apertura del settore automobilistico ai capitali esteri. La deregulation, se da una parte sosterrà la propaganda pro-globalizzazione di Xi Jinping, dall’altra affosserà le case automobilistiche locali. Così Pechino ha già pronto un salvagente.
Pechino contro la legalizzazione delle droghe
State lontano dalla marijuana. Dopo il governo sudcoreano il monito arriva da Pechino. Un messaggio pubblicato sul sito del consolato generale a Toronto “ricorda ai cittadini cinesi nel distretto consolare, in particolare agli studenti internazionali, di evitare contatti o l’utilizzo della marijuana”, chiarendo quali sono i limiti della legalizzazione delle droghe leggere approvata recentemente dal Canada: “continua ad essere vietata la vendita a chiunque abbia meno di 18 anni nonché il trasporto all’estero.” Oltre la Muraglia il possesso, la vendita e la coltivazione della canapa indiana sono veramente proibiti. Il consolato avverte quindi che “chiunque infrange la legge sulla regolamentazione della marijuana e viene condannato è a rischio deportazione”. Solo pochi giorni fa le autorità di Seul avevano minacciato fino a cinque anni di carcere per i consumatori di cannabis in Canada una volta tornati in patria.
Violenze domestiche, la Corea del Sud valuta la pena di morte
Quasi 150mila persone hanno sottoscritto una petizione con cui tre donne hanno chiesto al governo sudcoreano di condannare a morte il proprio padre, responsabile del brutale omicidio della loro madre. Il caso mette in luce l’insofferenza popolare nei confronti del lassismo con cui le autorità gestiscono le violenze domestiche. Secondo un rapporto del Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione contro le donne, quasi la metà dei 16.868 casi di violenze familiari denunciati alla polizia nel 2015 si sono conclusi senza nessun tipo di pena, mentre le organizzazione per la difesa dei diritti umani lamentano l’attenzione dimostrata dal governo sudcoreano per la tutela dei valori tradizionali a discapito della sicurezza. La richiesta delle tre sorelle ha inoltre un valore altamente simbolico considerando che Seul non applica la pena di morte dal 1997.