Non è passato molto tempo dall’allarme alla centrale nucleare di Taishan, che la Cina rende nota la sua prima road map sull’internazionalizzazione dell’energia nucleare ‘con caratteristiche cinesi’. Secondo quanto comunicato nel documento, la Cina mira a diventare un attore dominante nel mercato nucleare mondiale in meno di 30 anni e ad avere gli standard di sicurezza più elevati e i costi più bassi. Il rapporto, pubblicato dall’Accademia cinese di ingegneria (CAE) martedì 21 giugno, delinea gli obbiettivi di Pechino per raggiungere la leadership nel settore dell’energia nucleare, che comprendono il miglioramento della tecnologia, ma anche partnership solide con i futuri ‘clienti’. Il settore è oggi dominato da Stati Uniti, Francia e Russia, ma la Cina sta iniziando a inserirsi sul mercato grazie alle infrastrutture modulari ed economicamente vantaggiose (per approfondire abbiamo pubblicato un articolo su questo tema a questo link). Tra le indicazioni contenute nella relazione, entro il 2035 la Cina mira a eguagliare le nazioni occidentali in una serie di settori. Tra questi, la creazione di standard internazionali, lo sviluppo di software industriali e la produzione di apparecchiature, con una “riduzione radicale dei costi”. Ambizioso invece il traguardo del 2050, dove si legge che Pechino diventerà un leader nella definizione di nuovi standard industriali per l’energia nucleare globale, con tanto di “quota maggioritaria nel mercato internazionale”. [Fonte: SCMP]
L’uomo di Pechino negli Usa torna a casa dopo otto anni
Dopo mesi di speculazioni, martedì 22 giugno è arrivata la conferma: Cui Tiankai lascerà gli Stati Uniti, dove ha lavorato come ambasciatore per otto anni – un mandato insolitamente lungo, e oltre il limite d’età pensionabile per i funzionari, 68 anni. Noto per le sue posizioni moderate, il diplomatico lascia gli Usa in un momento difficile per le relazioni tra i due estremi del Pacifico. Ora la preoccupazione è che Cui possa lasciare spazio alla cosiddetta diplomazia da ‘wolf warrior‘, un atteggiamento più aggressivo e determinato a raggiungere gli obbiettivi di Pechino. Nel suo comunicato si legge: “Le relazioni tra Cina e Stati Uniti sono a un bivio critico, con gli Stati Uniti impegnati in un nuovo ciclo di ristrutturazione della loro politica del governo nei confronti della Cina, e si trovano di fronte a una scelta tra cooperazione e confronto”. E aggiunge: “In questo momento, i cinesi d’oltremare negli Stati Uniti devono assumersi una maggiore responsabilità, e spero che difenderete il vostro diritto a vivere negli Stati Uniti, con l’obbiettivo di aiutare a salvaguardare gli interessi fondamentali delle persone in Cina e negli Stati Uniti” [Fonte: SCMP]
Cina: vaccinare l’85% della popolazione per ottenere l’immunità di gregge
Dopo una campagna vaccinale iniziata al rallentatore, la Cina sembra determinata a spingere quanto prima per l’immunità di gregge. E alza le stime: Shao Yiming, un noto epidemiologo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, ha affermato lunedì 20 giugno che sarà necessario vaccinare almeno l’80-85% dei cittadini cinesi per dichiarare il paese fuori pericolo contagi. Le nuove stime al rialzo portano le dosi previste a 2,2 miliardi, in un momento in cui Pechino già dichiara di aver somministrato la cifra record di 1 miliardo di dosi di vaccino contro il Covid19. Ad aggiungersi al computo, anche i calcoli basati sull’efficacia dei vaccini cinesi, che allo stato della ricerca risulta inferiore rispetto al previsto. Per questo motivo, sottolinea l’esperto, bisogna alzare l’asticella, mentre in uno scenario di massima efficacia anche il 66% dei vaccinati sul totale sarebbe sufficiente. “Saremo in grado di produrre 5 miliardi di dosi di vaccino entro la fine dell’anno. Quindi, se calcoliamo due dosi a persona, 5 miliardi sono un numero sufficiente di dosi di vaccino”, ha detto Shao alla CCTV. “Abbiamo la capacità e le risorse per costruire una barriera di immunità di gregge a livello nazionale” . Il tasso di vaccinazione, però, non è l’unico fattore a determinare la resistenza di una comunità ai contagi: a preoccupare è soprattutto la variante Delta, che sembra più facilmente trasmissibile al punto che l’Oms l’ha schedata come “variante preoccupante”.[Fonte: SCMP]
Corea del Nord: cooperazione con Pechino o apertura di Washington?
Prima l’Asia, poi l’Europa. Ora Biden punta alla Corea del Nord per recuperare sugli errori in politica estera dell’amministrazione Trump. Ma non è solo: anche Xi Jinping strizza l’occhio a Pyongyang, con un appello pubblico attraverso la voce dell’ambasciatore cinese Li Jinjun in occasione del secondo anniversario dalla visita del presidente cinese. In un raro editoriale comparso su Rodong Sinmun, portavoce ufficiale del Partito dei lavoratori della Corea, il diplomatico ha parlato di “duratura e indissolubile” amicizia. Nel corso della stessa giornata il principale inviato della Corea del Nord a Pechino, Ri Ryong-nam, ha scritto un pezzo simile sul Quotidiano del Popolo, portavoce del Partito comunista cinese , sottolineando che l’amicizia e la solidarietà tra il popolo della Corea del Nord e la Cina “non svaniranno mai e non cambieranno mai”.
Sul fronte statunitense abbiamo invece un altro protagonista, Sung Kim, il rappresentante speciale degli Stati Uniti per la Corea del Nord. In un incontro avvenuto a Seoul con la controparti sudcoreana Noh Kyu-duk e giapponese Takehiro Funakoshi, ha affermato che la politica del nuovo presidente Usa richiede “un approccio calibrato e pratico”, che include l’apertura al dialogo con la Corea. L’incontro è uno dei primi ad avvenire sotto l’amministrazione Biden: ora starà a Kim Jong-Un decidere se accettare l’invito a comunicare con la Casa Bianca, anche se finché durerà la pandemia il paese sembra tornato a una chiusura totale verso l’esterno – fattore che comprenderebbe anche una qualsivoglia possibilità di faccia-a-faccia. La sorella Kim Yo Jong, figura chiave della politica nordcoreana, ha già comunicato che gli Usa starebbero “cercando in qualsiasi modo di interpretare la situazione per portarsi conforto”, ma che le aspettative di Washington sono sbagliate. [Fonti: Bloomberg, SCMP]
Myanmar: Min Aung Hlaing vola a Mosca
Il capo della giunta militare che ha preso il potere in Birmania si trova in Russia. Secondo quanto riportato dai media statali, il generale è in visita istituzionale soprattutto per discutere di armi e sicurezza: lo si evince dal dialogo con Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza russo, e dall’incontro con Alexander Mikheev, direttore generale dell’esportatore di armi russo Rosoboronexport. In via ufficiale Min Aung Hlaing parteciperà a una conferenza a una conferenza sulla sicurezza internazionale in programma dal 22 al 24 giugno. È la seconda volta che il leader del Tatmadaw viaggia all’estero per rappresentare il Myanmar, dopo la partecipazione all’assemblea dei vertici dell’Asean. Già in quell’occasione non erano mancate le critiche, che vedevano nell’atteggiamento cauto dei dieci paesi un primo passo verso la normalizzazione e accettazione del governo militare. Nel frattempo continua la violenza all’interno del paese, mentre le Nazioni Unite decidono un embargo sulle armi: ma sabato 19 giugno il ministero degli Esteri birmano ha respinto la risoluzione Onu, affermando che “si basa solo su accuse unilaterali e false supposizioni […] qualsiasi tentativo di violazione della sovranità statale e di interferenza negli affari interni del Myanmar non sarà accettato”. [Fonte: Nikkei]
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.