I titoli di oggi:
- Pechino pubblica le linee guida per la neutralità carbonica
- Covid19: la variante Delta continua a inceppare la strategia di Pechino
- Chiude l’ufficio di Amnesty International a Hong Kong
- Facebook ha censurato i dissidenti per conto del Partito comunista del Vietnam
- Crescita record per HarmonyOS, il sistema operativo di Huawei
- La Cina rafforza la protezione dei suoi confini
- La principessa Mako si è sposata
Pechino pubblica le linee guida per la neutralità carbonica
Il Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc) ha presentato un documento dal titolo: “Guida operativa per il picco di anidride carbonica e la neutralità carbonica nella piena e fedele attuazione della nuova filosofia di sviluppo”. Il testo contiene, di fatto, le linee guida che potrebbero determinare con più precisione il percorso di Pechino verso le emissioni nette entro il 2060, come annunciato dal presidente Xi Jinping nel settembre 2020. Gli obbiettivi enunciati nella bozza parlano di riduzione del consumo energetico del 13,5% e delle emissioni di CO2 del 18% rispetto ai dati del 2020 entro il 2025. Per quanto riguarda la riduzione delle fonti fossili nel mix energetico, si inizia con un buon 20% entro il 2025, per poi passare al 25% entro il 2030. Nel 2060, invece, la Cina prevede di sbarazzarsi delle fonti fossili per ben l’80% dei consumi attuali.
Rimangono fissi gli obbiettivi di miglioramento dei settori industriale e agricolo, con cenni alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2. Altri obbiettivi si concentrano, infine, sull’efficientamento degli edifici e dei trasporti, con un capitolo dedicato all’impatto ambientale dei commerci internazionali e dei progetti in ambito Belt and Road Initiative. Secondo gli analisti il documento arriva in tempo per segnalare le intenzioni della leadership cinese prima della COP26, ma anche per confermare ai governi locali la continuità del cambiamento in corso, nonostante la crisi energetica che ha costretto il ritorno alle scorte di carbone. Lunedì 25 ottobre il presidente della National development and reform commission ha poi puntualizzato che la transizione ecologica dovrà avvenire in modo sicuro, evitando scelte “eccessive e drastiche”. [Fonte: Xinhua]
Covid19: la variante Delta continua a inceppare la strategia di Pechino
Un nuovo aumento dei contagi da Covid19 in Cina ha spinto gli organizzatori della maratona di Pechino del 31 ottobre a posporre uno degli eventi più popolari della capitale. Lo stesso è accaduto nella città di Wuhan, dove la maratona doveva svolgersi nella giornata di domenica 24 ottobre. Non va meglio nella Mongolia Interna, dove la contea di Ejin è stata sottoposta a lockdown e il segretario del partito locale rimosso dall’incarico. Qui oltre 35 mila cittadini sono confinati in casa in attesa dei controlli a tappeto della autorità sanitarie, mentre gli ultimi dati parlano di 150 casi confermati in tutta la Repubblica Popolare.
A preoccupare è l’emergere dei casi di variante Delta, più rapida nel diffondersi e più difficile da individuare nei pazienti senza sintomi. Non solo: la correlazione tra i viaggi per turismo durante la Festa nazionale sarebbero alla base del picco di contagi di questi giorni. Stando agli ultimi dati sull’andamento dei contagi sembra che la variante stia riuscendo con più facilità a penetrare nelle crepe della strategia cinese contro il Covid19, che ancora oggi punta ai contagi zero anziché alla convivenza con il virus. [Fonti: Bloomberg, Scmp, Straits Times]
Chiude l’ufficio di Amnesty International a Hong Kong
La legge sulla sicurezza nazionale cinese non lascia spazio nemmeno alle organizzazioni internazionali. È quanto emerge dal caso di Amnesy International, l’Ong per la difesa dei diritti umani nel mondo, che ha annunciato lunedì 25 ottobre la chiusura dei suoi uffici a Hong Kong entro la fine del mese. Entro la fine del 2021, aggiunge in una nota, è previsto invece il trasferimento delle attività regionali dall’ex colonia britannica ad altri paesi limitrofi. Si tratta della prima volta in 40 anni che Amnesty non ha una presenza in Cina, nonostante le evidenti difficoltà a portare avanti le campagne di educazione ai diritti umani e di advocacy contro la pena di morte e gli abusi.
“La legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong ha reso effettivamente impossibile alle organizzazioni per i diritti umani di lavorare liberamente e senza timore di gravi rappresaglie da parte del governo”, ha affermato Anjhula Mya Singh Bais, presidente del consiglio internazionale di Amnesty. “Le ritorsioni, gli arresti e i processi contro i presunti oppositori ha evidenziato come la vaghezza della legge possa essere manipolata per costruire un caso contro chiunque le autorità scelgano di punire”. Dalla sua entrata in vigore nel giugno 2020, la legge di sicurezza nazionale è stata chiamata in campo per sanzionare organizzazioni civili, giornali e manifestanti. [Fonte: The Guardian]
Facebook ha censurato i dissidenti per conto del Partito comunista del Vietnam
Continua l’onda lunga di accuse contro la piattaforma più diffusa al mondo. I cosiddetti “Facebook papers” rivelano come Mark Zuckerberg in persona abbia preferito ignorare le distorsioni dell’informazione sul social network per mantenere e accrescere il proprio impero finanziario. L’ultima stoccata arriva dall’Asia, e più precisamente dal Vietnam: per non perdere uno dei mercati più redditizi nella regione, Facebook avrebbe accettato di soddisfare le richieste del governo in occasione del Congresso del Partito comunista vietnamita. In tale contesto, la società avrebbe “aumentato significativamente la censura dei post ‘sovversivi’, dando al governo il controllo quasi totale sulla piattaforma“.
Determinante, come conferma il caso della censura in Vietnam, il ruolo del Ceo di Facebook nel dettare le scelte poco etiche dell’azienda. Per il Washington Post, una delle 17 testate Usa ad aver diffuso l’indagine contro il social network, si tratta dell’ennesimo caso che “dimostra la sua [Zuckerberg, ndr] incessante determinazione a garantire il dominio di Facebook sui mercati, a volte a spese dei suoi valori dichiarati“. [Fonte: The Washington Post]
Crescita record per HarmonyOS, il sistema operativo di Huawei
A soli due anni dal lancio di HarmonyOS, il sistema operativo sviluppato dal colosso di telecomunicazioni cinese Huawei Technologies, sono 150milioni i dispositivi che lo impiegano tra tablet, cellulari e casse acustiche. Lo riporta l’amministratore delegato della sezione vendite e consumatori del colosso di Shenzhen, Richard Yu. Secondo Yu, questa cifra potrebbe raggiungere i 200 milioni di dispositivi entro la fine dell’anno, facendo di HarmonyOS il sistema operativo con la crescita più rapida di sempre. In arrivo anche l’aggiornamento del software, HarmonyOS3, finalizzato a migliorare in tre macroaree: architettura del sistema, nuovi terminali e opzioni multi device all’interno dell’ecosistema digitale Huawei.
Huawei ha inoltre annunciato una collaborazione con l’azienda di autoveicoli di Chongqing, Sokon Group, per l’impiego del sistema operativo HarmonyOS all’interno di vetture di ultima generazione. Il primo prodotto della joint venture sarà il Seres SF5, un SUV con abitacolo smart che verrà presentato entro la fine del 2021. Oltre ai settori elettronico e automobilistico, HarmonyOS sarà impiegato nei sistemi industriali della compagnia statale per la distribuzione energetica National Energy Group.
HarmonyOS è il primo sistema operativo interamente cinese, nato nel 2019 anche in risposta alle sanzioni statunitensi dell’amministrazione Trump, che hanno impedito a Google di fornire i suoi servizi (in particolare il sistema operativo Android) alla telco di Shenzhen. Da allora Huawei si è servita di un modello di sviluppo open source, condividendo i codici base del sistema per poterlo migliorare in tempi competitivi. Negli ultimi tre anni la compagnia ha investito 7.8 miliardi per sviluppare un ecosistema a supporto di HarmonyOS. Attualmente il progetto conta 1800 partner con la possibilità di connettere 4000 prodotti della gamma offerta da Huawei al sistema di software smart. [Fonte: Caixin]
La Cina rafforza la protezione dei suoi confini
La Repubblica Popolare Cinese ha varato per la prima volta nei suoi 72 anni di vita una legge per rafforzare la sicurezza ai propri confini. Con la Land Borders Law la Cina mette nero su bianco i 22 mila chilometri di frontiera che si estendono su 14 confini, sottolineando che il paese “adotterà misure efficaci per proteggere fermamente la sovranità territoriale e la sicurezza dei confini”. Tra queste, la Cina si riserva il diritto di chiudere le frontiere in caso di guerra o conflitto in paesi limitrofi. Il compito di proteggere le frontiere, intervenendo contro eventuali “invasioni, sconfinamento, infiltrazioni o provocazioni” spetta all’Esercito popolare di liberazione (Pla) e alla Polizia armata del popolo (Cpapf).
Secondo Bloomberg, le ragioni che hanno spinto la Rpc a promulgare una legge che rafforzi i controlli di sicurezza ai confini sono legate a tre principali aree di tensione. La prima riguarda le ostilità che insorgono cadenzate al confine con l’India, dove i soldati cinesi sono a uno stallo con i militari indiani da aprile 2020. La seconda ha a che fare con le preoccupazioni legate ai movimenti estremisti di matrice islamica al confine con l’Afghanistan e alla possibilità di un’affluenza di rifugiati dopo la riconquista talebana. Infine, rafforzando i controlli alle frontiere che danno sui paesi del Sud est asiatico, la Cina spera di contenere gli ingressi illegali che hanno causato la diffusione del Covid nel paese come accaduto con i casi di cittadini di Myanmar e Vietnam. [Fonte: Reuters; GT]
La principessa Mako si è sposata
Si conclude oggi, martedì 26 ottobre, la parabola mediatica intorno alle nozze della principessa giapponese, che ha sposato con un rito semplice il fidanzato Kei Komuro. Il caso aveva avuto una forte eco mediatica in tutto il paese, legata soprattutto ai retroscena finanziari del fidanzamento, annunciato nel 2017. Per la prima volta dal secondo dopoguerra, la famiglia imperiale ha registrato un matrimonio senza cerimonie tradizionali, né ha accettato la grossa dote che spetterebbe di diritto da parte della famiglia del marito. Il matrimonio più chiaccherato della storia contemporanea giapponese continua a dividere l’opinione pubblica, in quanto la principessa Mako rinuncia così definitivamente al suo titolo nobiliare per sposare un civile. [Fonte: Scmp]
A cura di Sabrina Moles e Lucrezia Goldin